Collisioni
Estetiche della dissonanza nel (rifiuto) ricomposto
Tra armonie e dissonanze cromatiche si celebra la Bellezza.
L’idea della Bellezza è fuorviante se si ha davanti agli occhi e nella testa la concezione del bello classico come descritto e studiato sui testi scolastici. La narrazione per immagini aveva senso nelle epoche storiche in cui l’analfabetismo era situazione comune nel popolo.
Bellezza oltre il canone: tra cromie e coscienza
La Bellezza, evocata tra armonie e dissonanze cromatiche,
non è più un ideale statico né un concetto universale. Essa si manifesta oggi
come tensione, come dialogo tra opposti, come vibrazione emotiva che supera la
mera estetica. L’idea classica del bello — simmetrico, proporzionato,
idealizzato — è una lente che rischia di distorcere la percezione del reale,
soprattutto se imposta come unico metro di giudizio.
Nel mondo contemporaneo, la Bellezza si è liberata dai
vincoli accademici e dai modelli scolastici. Non è più solo ciò che “piace” o
che “rassicura”, ma ciò che interroga, che provoca, che fa pensare. Le
dissonanze cromatiche, le rotture formali, le narrazioni visive frammentate
sono oggi strumenti di espressione autentica, capaci di raccontare complessità
e contraddizioni.
La narrazione per immagini, un tempo necessaria per superare
l’analfabetismo, oggi si reinventa come linguaggio universale, ma non più
semplificato. È stratificato, simbolico, spesso criptico. Non serve più solo a
“mostrare”, ma a “suggerire”, a “evocare”. In questo senso, la Bellezza non è
più un fine, ma un processo: un’esperienza che coinvolge l’intelletto, la
sensibilità e la memoria culturale.
Il lavoro di ricerca di Mario Iannino si colloca nel solco
della sperimentazione visiva e semantica, con un forte accento sulla trasformazione
dei linguaggi comunicativi e sull’interazione tra parola e immagine.
Mario Iannino: una
ricerca tra segno, senso e visione:
L’artista Mario Iannino, attivo da oltre mezzo secolo, ha
sviluppato un percorso di ricerca che intreccia *studio semantico*, *grafia
creativa* e *poesia visiva*. La sua recente mostra “Linguaggi mutevoli”,
allestita a Catanzaro, raccoglie più di 80 opere che rappresentano l’evoluzione
di un’indagine iniziata decenni fa.
I cardini della sua ricerca:
- Grafia creativa: Iannino esplora il disegno come forma di
scrittura, dove il segno non è solo estetico ma anche portatore di significato.
Il suo libro *Appunti di grafia creativa. Teoria e pratica del disegno*
testimonia questa attenzione al gesto grafico come veicolo di pensiero.
-Poesia visiva: Le
sue opere fondono testo e immagine, creando cortocircuiti semantici che
invitano lo spettatore a una lettura stratificata. Non si tratta di illustrare
concetti, ma di *sublimare* ciò che comunica sensazioni, come lui stesso
afferma .
Contestualizzazione culturale
Il lavoro di Iannino si inserisce in una tradizione italiana
che ha visto protagonisti artisti come Emilio Isgrò, Ugo Carrega e Ketty La
Rocca, capaci di interrogare il linguaggio e il suo potere evocativo. Tuttavia,
Iannino si distingue per una *poetica del segno* che non cerca la rottura, ma
la *trasfigurazione*.
In un’epoca dominata dalla comunicazione digitale, la sua
ricerca assume un valore critico: ci invita a rallentare, a osservare, a
decifrare. Le sue opere non si offrono come messaggi chiari, ma come *enigmi
visivi* che stimolano la riflessione.
Frammenti di senso: l’enigma visivo di Mario Iannino
Nel caos ordinato della società consumistica, dove ogni
superficie è invasa da slogan, loghi, confezioni e promesse di felicità acquistabile,
Mario Iannino raccoglie gli scarti. Li assembla, li stratifica, li trasfigura.
Le sue opere polimateriche non sono collage, ma *collisioni*. Non decorano,
*detonano*.
Ogni frammento di packaging, ogni residuo pubblicitario,
ogni eco visiva del mercato diventa parte di un linguaggio che non vuole
sedurre, ma *scardinare*. Sembrano ossimori: pittura e rifiuto, armonia e
rottura, bellezza e disagio. Eppure, in questa tensione, si apre uno spiraglio.
Non per gli occhi, ma per la mente.
La sua pratica pittorica non è pacificatrice. È una *tentata
armonizzazione*, un gesto che cerca di contenere l’urlo visivo in una forma che
non si lascia addomesticare. Sono pugni nello stomaco, sì, ma avvolti in veli
cromatici che non anestetizzano: *ritardano il colpo*, lo rendono più profondo.
Iannino non denuncia: *interroga*. Non illustra: *evoca*. Le
sue opere sono enigmi visivi che chiedono di essere decifrati non con lo
sguardo, ma con la coscienza. In un mondo che consuma immagini, lui le
*ricompone* per restituire senso.
Ecco che gli oggetti diventano analisi:
- Il seme raggrinzito con siringa non è provocazione, è
diagnosi: un dispositivo che interroga il corpo sociale, la cura, l’abbandono. E
la barchetta di carta non è un residuo
di festa o di consumo. È lì, come
testimone muto di un tempo fissato sulle assi verticali delle colonne
instabili, forse voci contaminate di rosso, giallo, maculato. Che non decorano,
ma reggono il fondo cartonato dell’ archivio mobile che si fa palcoscenico
povero, dove ogni elemento è chiamato a dire qualcosa.
La stanza affollata di lavori è come la mente piena di
tentativi, di prove, di fallimenti che non si nascondono. È il contrario della
vetrina. È il laboratorio del pensiero visivo, dove ogni opera è anche un
appunto, una domanda, una ferita.
Il seme di avocado non è tappo, non chiude. È potenziale, è
centro carnoso e oscuro, sospeso tra nutrimento e scarto. E la siringa inserita,
non è ironia medica, ma innesto: un gesto che interroga la cura, la crescita,
la manipolazione. È un dispositivo artificiale nel cuore vegetale che promette
vita.
La barchetta È navigazione minima, fragile, domestica. Un
guscio che galleggia tra i materiali, portando con sé il carico invisibile
della memoria. Non trasporta liquidi, ma testimonianza. Il tutto sulle assi
verticali che non sono semplici supporti. Sono personaggi, voci. Il rosso è
urgenza, il giallo è avvertimento, il maculato è contaminazione. Non reggono,
interrogano. E la carta accartocciata non è rifiuto, ma pensiero in crisi.
Un’idea che non si è lasciata scrivere, ma che insiste a vivere nella piega.


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