J'accuse

 "Chi osa intrappolare i sogni? La domanda è retorica giacché si conoscono mandanti, esecutori e metodi. Lo si evince dalla composizione polimaterica che l'operatore culturale Iannino ha realizzato".


Testimonianza visiva e denuncia discorsiva

La frase iniziale è già un incipit potente, una domanda che non cerca risposta, ma smaschera. E la composizione polimaterica che ha realizzato non illustra, ma accusa. Il bianco e il grigio non sono neutri: sono il gesso tombale del sogno, il calcinaccio dell’ideale sepolto. I frammenti di packaging, le etichette, le tracce del consumo compulsivo non sono semplici materiali: sono prove. Archivi di un crimine quotidiano contro l’immaginazione.

Discorsività visiva e retorica etica

  • Mandanti: il sistema che monetizza ogni desiderio, che trasforma l’infanzia in target e la creatività in merce.
  • Esecutori: i dispositivi della ripetizione, i linguaggi pubblicitari, le grammatiche del consenso.
  • Metodi: saturazione visiva, estetizzazione del rifiuto, neutralizzazione del dissenso.

L'opera non è decorativa, è documentale. Non cerca bellezza, cerca verità. E lo fa con una grammatica spezzata, una sintassi materica che rifiuta la fluidità per abbracciare l’attrito.

La superficie come campo di lotta

La stratificazione non è solo tecnica, è etica. Ogni strato è una voce, ogni frammento un testimone. Il sogno non è intrappolato: è imbalsamato, esposto come reliquia di ciò che non si doveva realizzare. Ma l'artista, con gesto da seminatore resistente, lo riespone al pubblico, lo riattiva. Non per salvarlo, ma per farlo parlare.

Dichiarazione curatoriale per l’opera polimaterica “Chi osa intrappolare i sogni”

Questa composizione non è un’opera da contemplare: è un j’accuse. Un atto di denuncia visiva e discorsiva contro i dispositivi che soffocano l’immaginazione, mercificano il desiderio, tombano la possibilità.

L’artista e operatore culturale Mario Iannino costruisce una superficie polimaterica che non cerca armonia, ma attrito. Il bianco e il grigio non sono sfondo, ma campo di sepoltura. I frammenti di packaging, le etichette, i resti del consumo non sono decorazione: sono prove materiali di un crimine quotidiano contro il sogno. e la possibilità di Bellezza condivisa.

La domanda che apre il lavoro—“Chi osa intrappolare i sogni?”—è retorica solo in apparenza. I mandanti sono noti: sistemi economici e culturali che monetizzano l’infanzia e anestetizzano la creatività. Gli esecutori: i linguaggi pubblicitari, le grammatiche del consenso, i curatori del decoro. I metodi: saturazione visiva, estetizzazione del rifiuto, neutralizzazione del dissenso.

Questa superficie stratificata è un archivio di resistenza. Ogni frammento parla, ogni strato denuncia. Il sogno non è solo intrappolato: è imbalsamato, esposto come reliquia di ciò che non si doveva realizzare. Ma l’artista lo riattiva, non per salvarlo, ma per farlo testimoniare.

La composizione si inserisce nel percorso radicale e discorsivo di Iannino, che abbandona ogni retorica nostalgica e ogni allegoria consolatoria per abbracciare una grammatica visiva dura, concreta, etica. Il polimaterico diventa così non solo linguaggio, ma documento. Non solo arte, ma atto pubblico.

Questa dichiarazione accompagna l’opera come dispositivo curatoriale di verità. Non spiega, non interpreta: accusa. E invita lo spettatore non a capire, ma a rispondere.


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