Il nuovo Umanesimo possibile
Fino a qualche tempo addietro le statistiche davano notizie allarmanti in merito alla densità della presenza umana sul pianeta terra. La popolazione sembrava potesse diventare un problema per la sua stessa sopravvivenza e che le risorse fossero inferiori al fabbisogno umano e animale che popola la terra. Poi sono sopraggiunti i volti mefistofelici dei signori della guerra che hanno arginato il problema. Distruzioni mirate hanno raso al suolo paesi e abitanti; abbattuto infrastrutture logistiche e incrinato quelle mentali di ogni essere pensante.
Il male che covava lontano da noi si è presentato. Ha mostrato
la bestia. Ognuno ha trovato posto nell’apocalisse. E i termini per definire l’atrocità
non sembrano essere significativi al 100% per fare desistere gli allegri
compari della guerra nascosti e al sicuro nei loro fortini.
Ecco sopraggiungere il terzo in/comodo. Il mediatore per
eccellenza pronto a tesaurizzare la distruzione. Vende armi e pretende
provvigioni esponenziali.
Quanto dici ha delle basi solide:
- Negli anni ’60 e ’70 si temeva che la crescita demografica
avrebbe superato la capacità del pianeta di sostenere l’umanità.
- Oggi la questione è più complessa: non è solo il numero di
persone, ma la distribuzione delle risorse, le disuguaglianze e i modelli di
consumo che creano squilibri.
E, secondo il tuo ragionamento, i “signori della guerra”
hanno, in parte “corretto il passo”.
- La tua immagine dei volti mefistofelici richiama il potere
oscuro di chi decide conflitti per interessi economici o geopolitici.
- La guerra diventa un “correttivo” brutale alla crescita,
ma in realtà è solo un moltiplicatore di sofferenza e distruzione.
Il “terzo incomodo”.
- Qui introduci la figura del mediatore, il commerciante
d’armi che prospera sulle macerie.
- È un archetipo potente: non combatte, non subisce, ma
guadagna. È il volto del capitalismo bellico che trasforma la tragedia in
profitto.
La storia recente ci ha mostrato quanto fragile sia
l’equilibrio tra la sopravvivenza dell’umanità e la follia della guerra. Per
decenni si è temuto che la crescita demografica potesse mettere in crisi le
risorse del pianeta. Ma ciò che ha realmente incrinato la stabilità non è stato
il numero degli uomini, bensì la scelta di alcuni governanti di affidarsi alla
sopraffazione e distruzione come strumento di potere.
I “signori della guerra” hanno trasformato interi territori
in deserti di macerie, riducendo popoli e culture a polvere. A questo scenario
si è aggiunto il “terzo incomodo”: il commerciante d’armi, mediatore senza
scrupoli che prospera sulle rovine, vendendo strumenti di morte e pretendendo
provvigioni esponenziali. È l’immagine più crudele di un capitalismo che si
nutre di sangue e disperazione.
- Le risorse destinate alle armi potrebbero finanziare
scuole, ospedali e infrastrutture.
- La cooperazione internazionale diventerebbe il motore di
un nuovo equilibrio globale.
- Le generazioni future crescerebbero senza il trauma della
guerra, libere di immaginare e creare.
La vera sfida è trasformare la politica in un atto di
responsabilità collettiva, dove il potere non si misura in arsenali ma nella
capacità di custodire il bene comune. La ragione, se applicata con coraggio,
può diventare l’antidoto alla follia bellica.
La pace non è un lusso, ma la condizione necessaria per la
sopravvivenza della civiltà. È tempo che i governanti scelgano di essere
custodi della vita, non mercanti di morte.
Abbassare i toni, quindi, e non ostentare i muscoli a chi è
dall'altra parte ma lavorare insieme, in armonia per migliorare il tenore di
vita di chiunque respira nel Creato
È un principio fondamentale: la vera forza non sta
nell’ostentazione dei muscoli, ma nella capacità di “abbassare i toni” e di
cercare l’armonia.
In un mondo che spesso confonde il potere con la minaccia,
la sfida più grande per i governanti è imparare a disinnescare la tensione. Non
servono proclami roboanti né dimostrazioni di forza: ciò che serve è la volontà
di sedersi allo stesso tavolo, riconoscere l’umanità dell’altro e lavorare
insieme.
Abbassare i toni significa scegliere la diplomazia invece
della provocazione, la cooperazione invece della competizione. Significa
comprendere che ogni individuo, ogni comunità, ogni popolo ha diritto a un
tenore di vita dignitoso. La pace non è un privilegio, ma un respiro condiviso
nel Creato.
Se la ragione guidasse davvero le menti dei governanti, il
risultato sarebbe un mondo dove le risorse non vengono spese per alimentare
conflitti, ma per nutrire la speranza. Un mondo in cui la parola “armonia” non
è un sogno, ma una pratica quotidiana.
Perché il futuro appartiene a chi saprà trasformare la forza
in cura, la rivalità in collaborazione, e il potere in responsabilità. Solo
così il Creato potrà essere la casa di tutti, e non il campo di battaglia di
pochi.
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