Dalla vita al palco
La forza delle necessità, in contrasto con l’illusione dell’apparire:
“La terra sotto le unghie”
In un piccolo borgo incastonato tra le colline, vive Elvira, una donna dai capelli d’argento e dalle mani nodose. Non possiede molto: una casa di pietra che odora di pane e legna, un orto che cambia colore con le stagioni, e un vecchio mulo di nome Arturo. Ogni mattina, prima che il sole si alzi, Elvira è nei campi, con la schiena curva e il cuore dritto.
Nel paese, però, è arrivata una nuova moda. I giovani si fotografano davanti a muri colorati, con vestiti che non servono a nulla se non a essere visti. Parlano di follower, di filtri, di vite che sembrano brillare più di quanto vivao. Elvira li osserva con tenerezza, ma anche con una punta di malinconia.
Un giorno, durante la festa del raccolto, il sindaco indice un concorso per omagiare la vocazione rurale del paese: “Premieremo chi ha il giardino più bello. E di qualche murales che ne coglie il senso e l'anima.” (ormai va di moda!") pensano gli anziani.
I balconi si riempiono di piante comprate all’ultimo minuto, di luci artificiali e decorazioni vistose. Elvira non partecipa. Il suo orto è disordinato, ma ogni pianta ha una storia: il basilico, curato per il vicino malato, i pomodori per la mensa della scuola, le cipolle che fanno piangere e ridere insieme.
Quando la giuria passa davanti alla sua casa, uno dei membri si ferma. Non per le rose, ma per le mani di Elvira, sporche di terra, che stringono una cesta di verdure. “Questo non è un giardino da mostrare,” dice, “ma da vivere.”
La giuria, unanimemente cambia idea. Il premio non va al balcone più fotografato, ma all’orto che ha nutrito più bocche. Elvira non sorride per vanità nell'accogliere nelle sue mani nodose ill premio, ma per gratitudine. Perché la necessità non ha bisogno di applausi: basta che sia vera.
Il compito del creativo è trasformare una storia di vita in opera d'arte!
Trasformare la storia di Elvira in un’opera di body art significa incarnare la lotta tra necessità e apparenza direttamente sul corpo, rendendolo manifesto vivente di resistenza e verità. Ecco una proposta di performance:
“Radici sulla pelle” – Opera di Body Art, un progetto in tre atti
Atto I: Il Corpo come Terra
- Il performer entra nudo o con abiti grezzi, il corpo ricoperto di pigmenti terrosi: ocra, marrone, verde scuro.
- Sulla pelle vengono dipinte radici che partono dai piedi e si arrampicano fino al cuore, simbolo della connessione con la terra.
- Le mani sono sporche di vero terriccio, le unghie nere, le dita segnate da calli dipinti.
- Il volto è segnato da rughe disegnate a carboncino, evocando Elvira e la fatica scolpita nel tempo.
Atto II: Il Cesto dell’Apparenza
- Il performer porta un cesto vuoto, decorato con oggetti di plastica, luci LED, fiori finti, simboli dell’apparenza.
- Davanti al pubblico, il performer svuota il cesto lentamente, lasciando cadere ogni oggetto con gesto rituale.
- Ogni oggetto viene accompagnato da una parola pronunciata ad alta voce: “Like”, “Filtro”, “Follower”, “Trend”.
- Alla fine, il cesto viene riempito con verdure vere e terra, raccolte dal pubblico o da un angolo della scena.
Atto III: La Semina del Corpo
- Il performer si inginocchia e pianta semi veri sulla propria pelle, incollandoli con miele o argilla.
- Con un pennello, dipinge sul petto la parola “Necessità”.
- Il pubblico è invitato a partecipare: chi vuole può piantare un seme sul corpo del performer, diventando parte dell’opera.
- La performance si conclude con il performer che si sdraia su un letto di terra, in silenzio, come Elvira nel suo orto.
Questa performance di body art non è solo una rappresentazione: è un atto di contestazione contro la cultura dell’apparire, un ritorno alla verità del corpo, alla dignità del lavoro, alla bellezza dell’essenziale.
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