Gratteri, una voce libera contro la riforma della giustizia
Nicola Gratteri, procuratore capo di Napoli e figura di riferimento nella lotta alla criminalità organizzata, ha espresso con forza la sua contrarietà alla riforma sulla separazione delle carriere dei magistrati proposta dal governo Meloni. Le sue critiche non si basano su interessi personali o corporativi, ma su una visione profonda del funzionamento della giustizia e dei rischi istituzionali che la riforma comporterebbe.
Le ragioni della sua opposizione
1. Rischio di subordinazione del PM al potere esecutivo
Gratteri sottolinea che nei Paesi dove le carriere sono separate, il passo successivo è spesso il controllo politico sull’attività del pubblico ministero. Il timore è che il ministro della Giustizia possa dettare l’agenda delle indagini, stabilendo quali reati perseguire prioritariamente.
2. Una riforma sproporzionata per un problema marginale
Solo lo 0,2% dei magistrati chiede ogni anno di passare da giudice a PM o viceversa. Gratteri si chiede: ha senso modificare la Costituzione per una casistica così irrilevante?
3. Burocratizzazione e indebolimento della magistratura
Secondo Gratteri, la riforma mira a trasformare i magistrati in “soldatini burocratici”, limitando la loro capacità di condurre indagini complesse e autonome. Questo, a suo avviso, favorirebbe indirettamente i criminali e rallenterebbe il lavoro dei tribunali.
4. Preoccupazione per la tutela delle vittime
Separare le carriere, dice Gratteri, renderebbe più difficile garantire processi giusti e rapidi, soprattutto per le parti offese. Il PM indebolito potrebbe non avere la forza necessaria per sostenere l’accusa in modo efficace.
5. Nessun vantaggio per i magistrati
Gratteri chiarisce che la sua posizione non è dettata da vantaggi economici o di carriera: “Il nostro stipendio sarà lo stesso. Parliamo perché siamo preoccupati per il funzionamento della giustizia”.
Gratteri ha promesso di continuare a parlare pubblicamente contro la riforma fino a 48 ore prima del referendum, convinto che essa rappresenti un pericolo per l’equilibrio democratico e per l’efficacia della giustizia penale.
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