Non in mio nome!
❝Non in mio nome❞: quando la solidarietà diventa bersaglio
La Flotilla e il rovesciamento morale
Il paragone di Franco Cimino: una denuncia che scuote
Diplomazia o complicità?
Il grido civile: “Non in mio nome”
La recente reazione del governo Meloni nei confronti dei volontari della Flotilla ha sollevato un’ondata di indignazione tra cittadini, attivisti e osservatori internazionali. Invece di riconoscere il valore umanitario dell’iniziativa, i rappresentanti istituzionali hanno scelto di stigmatizzare l’azione, accusando i partecipanti di irresponsabilità e di mettere a rischio la sicurezza nazionale.
Ma cosa rappresenta davvero la Flotilla? È un gesto di pace, un atto di testimonianza civile che mira a portare aiuto concreto e simbolico alle popolazioni martoriate da un conflitto che ha già mietuto migliaia di vittime innocenti. I volontari non portano provocazioni, ma medicine, cibo, parole di conforto. Eppure, vengono trattati come potenziali complici di tensioni internazionali.
In questo contesto, il paragone proposto da Franco Cimino è tanto duro quanto illuminante: “È come quando, in uno stupro, si colpevolizza la violentata e l’opinione pubblica scandaglia la sua persona, com’era vestita, se è stata allusiva…” Una metafora che denuncia il meccanismo perverso della colpevolizzazione della vittima, applicato qui ai volontari della Flotilla. Invece di interrogarsi sulle cause profonde del conflitto e sulle responsabilità politiche, si punta il dito contro chi cerca di alleviarne le conseguenze.
Si invoca la diplomazia, si parla di equilibri geopolitici, ma il risultato è un immobilismo che rasenta la complicità. Nessuno degli esponenti che oggi gridano contro la Flotilla ha proposto azioni concrete per frenare la deriva ultranazionalista del governo israeliano. Nessuna sanzione, nessuna presa di distanza, nessuna iniziativa parlamentare. Solo parole, spesso contro chi agisce.
Di fronte a questo rovesciamento morale, il grido “Non in mio nome” si fa manifesto. È il rifiuto di essere rappresentati da chi delegittima la solidarietà e normalizza la violenza. È la voce di chi crede che la politica debba servire la giustizia, non il potere. È la difesa di un principio semplice e universale: aiutare chi soffre non è mai un crimine.
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