Voglio essere Pinocchio, grezzo, tra foreste e filosofi
Nel legno vivo del burattino si specchia l’uomo naturale di Rousseau e la vitalità dionisiaca di Nietzsche, sospeso tra l’innocenza selvaggia e le regole della società.
Preferisco “pinocchio” quando era ancora un burattino allo stato grezzo e il suo essere non era contaminato da sovrastrutture cerebrali funzionali di tutto ciò che determina lo stare in società secondo canoni prestabiliti.
Penso, quindi ad un Pinocchio grezzo come metafora
filosofica riferito al pensiero di Rousseau e l’uomo naturale, in cui il
Pinocchio-burattino non ancora “civilizzato” ricorda l’“uomo naturale” che vive
libero e spontaneo prima di essere corrotto dalle convenzioni sociali. La
trasformazione in bambino vero è il passaggio all’“uomo civile”, che guadagna
razionalità e ordine ma perde innocenza e autenticità.
E, per dirla con Nietzsche e l’oltreuomo: il burattino
grezzo incarna una vitalità istintiva, un “sì alla vita” privo di morale
imposta. Nietzsche avrebbe visto in lui una forza dionisiaca, che la società
tenta di reprimere imponendo regole apollinee. La metamorfosi di Pinocchio è
quindi una tensione tra istinto e norma, tra caos creativo e ordine sociale. Mentre,
in Heidegger e l’autenticità, il Pinocchio grezzo è ancora vicino all’“essere
autentico”, non ancora caduto nel “si dice” e nel conformismo del mondo.
Diventare bambino vero significa anche entrare nel dominio dell’inautenticità,
dove si vive secondo aspettative altrui.
E in Marx e l’alienazione il burattino non contaminato è
ancora libero dalla logica produttiva e dalle strutture economiche. Una volta
“umanizzato”, Pinocchio deve lavorare, obbedire, inserirsi in un sistema che lo
aliena dalla sua natura originaria.
In sintesi, il Pinocchio allo stato grezzo è simbolo di
un’umanità primordiale, non ancora piegata alle regole della società. La sua
trasformazione in bambino vero può essere letta come il destino inevitabile
dell’uomo costretto, educato a perdere
spontaneità per guadagnare appartenenza, ma al prezzo di una certa
alienazione.
A tutti i “bambini allo stato grezzo, agli eterni bambini:
ai creativi!” dedico un breve “dialogo immaginario” tra Pinocchio “allo stato
grezzo” e due filosofi che incarnano bene la tensione evocata come se stesse
davanti a Rousseau e Nietzsche.
Pinocchio (burattino grezzo): «Io sono ancora legno vivo, non ho imparato
regole né obbedienze. Mi muovo come voglio, senza pensare a ciò che la società
pretende. Perché dovrei cambiare?»
Rousseau: «Piccolo
burattino, tu sei l’immagine dell’uomo naturale: libero, innocente, non
corrotto dalle convenzioni. Ma la società ti chiamerà a diventare “bambino
vero”, e lì perderai parte della tua spontaneità. È il prezzo della civiltà:
guadagnare ordine e sicurezza, ma sacrificare la purezza originaria.»
Nietzsche: «Non
ascoltare chi ti vuole addomesticare! La tua vitalità grezza è forza
dionisiaca, è vita che trabocca. Diventare “bambino vero” significa piegarsi a
regole apollinee, a morali che soffocano. Se vuoi davvero essere libero, non
devi imitare l’uomo civile, ma creare te stesso oltre ogni norma. Diventa il
tuo oltre-uomo, non il figlio obbediente.»
Pinocchio: «Ma se resto burattino, mi diranno che non sono
completo. Se divento bambino, mi sentirò imprigionato. Dove sta la mia
verità?»
Rousseau: «La tua
verità è nell’innocenza che porti. Ma la società ti insegnerà a vivere insieme
agli altri, e non potrai sfuggire a questo destino.»
Nietzsche: «La tua
verità è nel dire sì alla tua natura, anche se contraddice il mondo. Non
lasciarti contaminare: sii artefice del tuo destino, non vittima delle
regole.»
Pinocchio (pensieroso):
«Forse resterò legno vivo dentro, anche se fuori mi faranno diventare
bambino. Così non perderò mai la mia libertà.»
E nello scrivere, mi
sovviene la figura dei Rousseau, il pittore. Che ambienta Il dialogo tra Pinocchio e i
filosofi, perso tra la natura selvaggia e incontaminata cara al pittore naif. Henri Rousseau, detto il Doganiere, con le
sue foreste immaginarie e la natura selvaggia e incontaminata, si presta
perfettamente a fare da scenografia simbolica al dialogo tra Pinocchio e i
filosofi. La sua pittura naïf, apparentemente ingenua ma carica di mistero,
diventa un palcoscenico ideale per la tensione tra spontaneità e regole
sociali.
Viaggiamo quindi sulle ali della fantasia nella foresta di
Rousseau, tra: alberi enormi, foglie lucide, animali esotici che osservano
silenziosi. Scorgiamo Pinocchio, ancora burattino grezzo, che cammina tra le
piante. Rousseau, con pennello in mano, dipinge la scena. E dice: «Vedi,
piccolo burattino, io dipingo la natura come la sogno: pura, incontaminata,
senza le catene della civiltà. Tu appartieni a questo mondo selvaggio, dove
l’innocenza non è ancora corrotta.»
Pinocchio: «Qui mi sento libero, nessuno mi dice cosa fare.
Ma mi dicono che devo diventare bambino vero, imparare regole e doveri.»
Rousseau (filosofo): «La società ti chiamerà, ma ricorda: la
tua essenza è naturale. Ogni regola che ti imporranno sarà una maschera.»
E Nietzsche (apparendo tra le ombre della giungla) lo
rincuora: «Non temere la foresta,
Pinocchio. Essa è il tuo regno dionisiaco. Non diventare schiavo delle morali:
sii artefice di te stesso, come questa giungla che cresce senza chiedere
permesso.»
Rousseau pittore (sorridendo): «Io ti dipingo così:
burattino tra le foglie, simbolo di un’umanità che sogna di restare selvaggia.
Forse, anche se diventerai bambino, dentro di te resterà sempre il legno vivo
della libertà.»
In questo modo, la foresta naïf di Rousseau diventa un luogo
filosofico: un Eden immaginario dove Pinocchio può confrontarsi con la tensione
tra natura e società, tra spontaneità e regola.
Ecco una possibile conclusione filosofico-poetica al
percorso che abbiamo immaginato:
Pinocchio, immerso nella foresta naïf di Rousseau il
Doganiere, rimane sospeso tra due mondi: quello della natura selvaggia, che lo
accoglie come burattino grezzo, e quello della società, che lo reclama come
bambino vero. I filosofi gli hanno mostrato due strade: la spontaneità
originaria e la disciplina civile, la vitalità dionisiaca e la norma
apollinea.
Ma la sua verità non è scegliere l’una o l’altra: è
custodire dentro di sé il legno vivo, anche quando la carne lo riveste. Così
Pinocchio diventa simbolo dell’essere umano che, pur entrando nel gioco delle
regole sociali, non dimentica mai la propria radice selvaggia e autentica.
In fondo, il burattino e il bambino non sono opposti: sono
due volti della stessa condizione umana. La libertà primordiale e
l’appartenenza sociale convivono, e la sfida è non smarrire mai la scintilla
originaria che ci rende vivi.
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