Intrecci di memoria
C’era una volta, in Calabria, un mondo che oggi sembra lontano ma che vive ancora nella memoria dei gesti e degli oggetti che hanno accompagnato vite.
Riflessione sul sapere antico: i lavori di una volta, abitudini e stili di vita in Calabria.
Il catoio, con il suo soffitto basso e i panieri sospesi, era un microcosmo di vita antica. Lì dentro, tra la penombra e l’odore di salice bagnato, si consumava un rito che non era soltanto lavoro: era memoria, era filosofia incarnata nei gesti. L’uomo che intrecciava vimini e canne non faceva solo cesti, ma tesseva un legame invisibile tra la natura e la comunità, tra il sapere dei vecchi e la necessità dei giovani.
Ogni ramo di salice, raccolto con la luna calante di gennaio, portava con sé la saggezza dei cicli naturali. Non era superstizione, ma osservazione paziente: il freddo rendeva la fibra più docile, la luna calante favoriva la conservazione. Così, il contadino-artigiano non si limitava a produrre un oggetto, ma insegnava che la vita ha bisogno di tempi lenti, di rispetto per i ritmi che non si possono forzare.
Seduto su una sedia impagliata, bassa e solida, l’uomo mostrava che la comodità non è lusso, ma armonia. Le sue mani, callose ma sapienti, trasformavano la materia grezza in contenitori utili, capaci di accompagnare la vita quotidiana: raccogliere funghi, trasportare olive, custodire masserizie. Ogni paniere era un frammento di filosofia pratica: ciò che serve davvero è ciò che dura, ciò che si ripara, ciò che si tramanda.
La sera, davanti al fuoco, i vecchi intrecciavano non solo canne, ma storie. Raccontavano di campagne arate con la zappa, di greggi guidati con il bastone, di falci che segnavano il tempo del raccolto. Ogni strumento era essenziale, mai superfluo. La loro utilità reale stava nel rispondere a bisogni concreti, senza sprechi, senza eccessi. Era una lezione di vita: la semplicità non è povertà, ma ricchezza di senso.
Oggi, nell’era delle plastiche e del consumo veloce, quelle scene sembrano vetuste. Eppure, se ci fermiamo a riflettere, scopriamo che la filosofia nascosta in quei gesti è più moderna di quanto sembri. L’artigiano che intrecciava cesti ci insegna che il progresso non è solo accumulare, ma saper scegliere. Non è solo velocità, ma capacità di fermarsi. Non è solo profitto, ma equilibrio.
La memoria di quei lavori diventa allora un monito: recuperare il valore del tempo, della manualità, della comunità. Non per nostalgia, ma per saggezza. Perché la vera utilità degli strumenti antichi non era solo nel loro uso, ma nel ricordarci che l’uomo vive bene quando vive in sintonia con la natura e con gli altri.

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