Visibilità, divulgazione, dono.
Blog personale o fonte storicizzata per divulgare bellezza senza vanagloria?
Spesso ci chiediamo: è più affidabile un blog personale, con la sua autenticità e immediatezza, o una fonte storicizzata, validata e riconosciuta? La verità è che entrambe hanno un valore, ma da sole rischiano di lasciare zone d’ombra.
Il blog personale custodisce frammenti preziosi, voci sincere che non
sempre trovano spazio nei palcoscenici patinati della comunicazione ufficiale.
La fonte storicizzata, invece, garantisce permanenza e riconoscimento, ma può
escludere chi non ha accesso ai canali canonici. Senza un ponte tra i due, la
bellezza rischia di svanire nell’oblio.
Divulgare senza vanagloria significa trasformare la
condivisione in un atto di servizio. Non si tratta di chiedersi “chi brilla di
più?”, ma “quale frammento di verità rischia di andare perduto?”.
Le strategie possibili sono molte:
- creare archivi digitali condivisi,
- pubblicare su riviste indipendenti,
- tradurre le opere in linguaggi accessibili come podcast o
mostre itineranti,
- sostenersi reciprocamente in reti di artisti e appassionati,
- scegliere licenze aperte per favorire la circolazione
libera.
Così la bellezza diventa patrimonio comune. Il blog
personale è seme, gli archivi digitali sono terreno, la comunità è acqua e
luce. Solo insieme questi elementi creano un giardino che resiste all’oblio,
restituendo dignità alle voci silenziose e bandendo la vanagloria.
ma l'artista è di per sè un solitario, a volte diffidente
per natura come ogni essere sensibile che ha preso più botte che carezze e
comprensione.
L’artista spesso vive come un solitario, non per scelta di
vanità, ma perché la sensibilità lo porta a percepire più intensamente le
ferite e le incomprensioni.
La diffidenza naturale in chi ha ricevuto più “botte” che
carezze è scudo, corazza che tende a
proteggere, a custodire il proprio mondo interiore. E la sensibilità è vulnerabilità: la capacità
di cogliere sfumature e bellezza è la stessa che rende più esposti al
dolore. Quindi, la solitudine creativa
non è isolamento sterile, ma spazio necessario per trasformare ferite in
linguaggio, dolore in forma, incomprensione in opera.
La persona sensibile è un essere traslato dal solitario al
custode e la solitudine dell’artista non è un muro, ma un laboratorio segreto. Lì si sedimentano esperienze che, una volta
condivise, diventano patrimonio comune. E
la diffidenza può trasformarsi in rigore: non tutto viene esposto, solo ciò che
ha senso per la memoria collettiva.
La sensibilità fattasi visibile, se accolta, diventa dono:
un modo per restituire bellezza a chi non riesce a vederla da solo.
L’artista, la persona sensibile che vive le contraddizioni sociali in prima persona e le mette sotto il sole per illuminarne le ombre, non è condannato alla solitudine, ma la porta come
segno distintivo. È proprio quella distanza che gli permette di vedere oltre,
di dare voce a ciò che altrimenti resterebbe invisibile. La sfida è trasformare la diffidenza in cura
e la solitudine in ponte tra sé e l’altro: non per cercare applausi, ma per
lasciare tracce di bellezza che resistano al tempo.
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