La fiera del libro e il paradosso della democrazia negata

 Il muro contro muro che impoverisce il dibattito.

Quando la cultura diventa censura: il rifiuto di confrontarsi tradisce lo spirito democratico.

Alla fiera del libro si è consumata una polemica che va oltre la cronaca: alcuni autori, autodefinitisi “democratici”, hanno scelto di non presentare i propri lavori accanto a una casa editrice etichettata come di estrema destra. Una decisione che, più che difendere la democrazia, rischia di svuotarla del suo senso più autentico.

La democrazia, come ricordava John Stuart Mill, vive di confronto e di libertà di espressione: “Se l’opinione è giusta, si priva la verità della possibilità di emergere; se è sbagliata, si perde l’occasione di confutarla”. Imbavagliare teorie, per quanto discutibili, non significa confutarle: significa sottrarre al pubblico la possibilità di valutarle criticamente.

La contestazione, se autentica, deve avvenire sul piano culturale. Voltaire ammoniva che la vera forza della ragione sta nel difendere il diritto dell’altro a esprimersi, anche quando non si condivide ciò che dice. E Antonio Gramsci ci ha insegnato che l’egemonia culturale si conquista con la capacità di elaborare idee più forti e persuasive, non con l’esclusione dell’avversario.

A questo si aggiunge il monito di Karl Popper, che nel suo celebre “paradosso della tolleranza” avvertiva: una società tollerante deve difendersi dall’intolleranza, ma non attraverso la censura indiscriminata; piuttosto con la forza della ragione e del dibattito pubblico, smascherando le derive estremiste senza rinunciare al confronto.

Infine, Hannah Arendt ci ricorda che la libertà politica nasce e si alimenta nello spazio pubblico, dove gli individui si incontrano e discutono. Privare la comunità di questo confronto significa ridurre la democrazia a un simulacro, svuotato della sua dimensione vitale: la pluralità delle voci.

Solo pensatori lungimiranti, capaci di smontare dialetticamente le arroganze estremiste di destra e di sinistra, possono rendere fertile il terreno del confronto. La fiera del libro, luogo simbolo del pluralismo, dovrebbe essere lo spazio in cui il dissenso si trasforma in dialogo, non in silenzio imposto.

Negare la presenza dell’“altro” non rafforza la democrazia, la indebolisce. Perché la cultura vive di contrapposizioni, e solo nel confronto aperto può davvero affermarsi come antidoto agli estremismi.


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