‘On tu prejji. cchi culistrhu Ci para ca mi ficja mbresca. È sulu nu
culistru e mmerda! È comu na vermitura chi lassa a vava quandu passa. Nu piritu
fhetusu chi fa sulu fhetu. Burdellu e fhetu. *”
Impenna sulla moto luccicante. Cammina sulla ruota posteriore. Frena di botto e inchioda la moto sulla ruota anteriore. Gongola pieno di sé il centauro imberbe facendo girare gli astanti, convinto di avere fatto una buona impressione su quanti hanno assistito alla sua bravata.
Che la gente osservi infastidita è naturale!
Disturbato dall’inutile quanto pericolosa acrobazia qualcuno sbotta: “!il solito fanatico che crede di impressionarmi, si sente figo, ganzo, e invece è un cretino un essere inconsistente. È aria putrida e puzzolente. È un peto! Uno che non lascia traccia…*”.
Dal canto suo il giovane esprime immaturità! Appunto. Deve ancora forgiarsi alla vita; agli ostacoli, alle delusioni, alle sconfitte e ai traguardi raggiunti con fatica e senso del dovere magari
seguendo esempi più coerenti e sensibilmente attento ai rapporti
interpersonali. Ma d’altronde chi non ha fatto qualche marachella di gioventù?
Viviamo come se fossimo eterni nonostante la morte ci ricordi il contrario ogni istante.
Accumuliamo ricchezze,
quando possibile. Intrecciamo rapporti. Studiamo
strategie. L’altro è spesso un antagonista da fottere. Sbaragliare. Mettere all’angolo.
E il vissuto quotidiano diventa una lotta perenne. Sempre attenti a primeggiare e sul chi va là diffidiamo di tutti e tutto.
Esempi ce ne sono a bizzeffe.
In politica, che dovrebbe essere l’espressione più alta in
democrazia, a qualsiasi livello i rappresentanti vestono divise da guerra. Lo scontro è incessante
in parlamento e nella vita quotidiana almeno in apparenza.
La trasparenza è un concetto ostico da attuare nella gestione
della cosa pubblica. Certi accordi sono al di sopra del bene comune e le
risorse comuni sono destinati e suddivisi spesso secondo il famigerato manuale
Cencelli.
Alcuni soggetti dalla personalità esasperata tentano
percorsi utilitaristici: vogliono lasciare il segno nella piazza d'appartenenza. Esigono un
obelisco nel centro dell’agorà che ricordi a futura memoria le gesta e la
valenza. Uno specchio in cui riflettersi senza riflettere, per suscitare ammirazione, invidia. Rincorrere la notorietà ad ogni costo, disconoscendo volutamente o per totale ignoranza chi si è fatto sberleffo della vacuità esistenziale vergando argute sintetiche righe nella citatissima metafora de “La Lumachella”: Trilussa:
La Lumachella de la Vanagloria,
ch'era strisciata sopra un obbelisco,
guardò la bava e disse: Già capisco
che lascerò un'impronta ne la Storia.
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