Tradizioni valoriali tra crisi sociali e austerità

Avevate le scarpe!


Sì avevamo le scarpe, consumate … rotte, ormai. -risposi all'ospite che osservava incuriosito e commentava la foto sulla scrivania. Va be', stavate meglio di me e di tanti che non ce l'avevamo per niente. Ma eravate di lutto? Chi era morto? Mio padre. Risposi secco. E mi sovvenne alla mente Maria, la figlia di zia Rosina che faceva la sarta e insegnava a tagliare, cucire e risistemare gli abiti vecchi alle ragazze del paese. L'attività sartoriale e la propensione all'insegnamento che svolgeva al piano terra della casa le valse il titolo di “maistra”, maestra. Lei cuciva di sana pianta, risvoltava e aggiustava i vestiti ai paesani. E ovviamente anche a noi. Riusciva a dare nuova vita alle stoffe. Trasformava magistralmente cappotti, giacche, pantaloni, camicie e gonne.
Fu lei che cucì e riadattò i vestiti neri e i nastrini da tenere sui risvolti del bavero delle giacche per il tempo necessario alla celebrazione del lutto familiare.


La cugina Maria, per anni, per me è stata zia Maria. Imponente. Bionda, occhi verdi e carnagione chiara. Molto più grande di me; col suo fare serafico m'induceva tranquillità; la ricordo solare e sorridente. Sempre materna, m'interrogava: “Mangiasti ti fazzu na fetta e pana cu marmellata...”. E senza aspettare risposte ordinava alla lavorante di andare su per preparare la colazione.
La sua casa profumava di pulito, filo e stoffe. Mi affascinava la lunga scala di legno che portava in cucina, al piano di sopra. Talmente impervia che la salivo a carponi. Mentre la ragazza sembrava volare nello scendere con la colazione in mano.

Non credo di avere mai visto il marito. Non ricordo il suo volto. Di lui so che era un artigiano molto bravo e stimato in paese ma dovette fare le valigie e partire. Andò, mi sembra, a Milano, no, forse a Torino. Non ricordo. Sta di fatto che alla cugina Maria rimase, gioco forza, il compito di allevare e educare i figli in paese. Ma non si scompose. Riuscì a condurre la sartoria e seguire i figli. Compiti comuni alle donne di un tempo.

vai all'inizio della narrazione (ogni riferimento a persone o fatti realmente accaduti è puramente casuale)

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Abbiamo aperto questo blog nell’aprile del 2009 con il desiderio di creare una piazza virtuale: uno spazio libero, apolitico, ma profondamente attento ai fermenti sociali, alla cultura, agli artisti e ai cittadini qualunque che vivono la Calabria. Tracciamo itinerari per riscoprire luoghi conosciuti, forse dimenticati. Lo facciamo senza cattiveria, ma con determinazione. E a volte con un pizzico di indignazione, quando ci troviamo di fronte a fenomeni deleteri montati con cinismo da chi insozza la società con le proprie azioni. Chi siamo nella vita reale non conta. È irrilevante. Ciò che conta è la passione, l’amore, la sincerità con cui dedichiamo il nostro tempo a parlare ai cuori di chi passa da questo spazio virtuale. Non cerchiamo visibilità, ma connessione. Non inseguiamo titoli, ma emozioni condivise. Come quel piccolo battello di carta con una piuma per vela, poggiato su una tastiera: fragile, ma deciso. Simbolo di un viaggio fatto di parole, idee e bellezza. Questo blog è nato per associare le positività esistenti in Calabria al resto del mondo, analizzarne pacatamente le criticità, e contribuire a sfatare quel luogo comune che lega la nostra terra alla ‘ndrangheta e al malaffare. Ci auguriamo che questo spazio diventi un appuntamento fisso, atteso. Come il caffè del mattino, come il tramonto che consola. Benvenuti e buon vento a quanti navigano ogni singola goccia di bellezza che alimenta serenamente l’oceano della vita. Qui si costruiscono ponti d’amore.

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