venerdì 6 marzo 2015

Calabria, tra alti e bassi

Come eravamo.


LA FAMIGLIA TIPO.

Diventa quasi un obbligo, per i calabresi, ricordare il nome del padre attraverso il figlio. Rinnovare il nonno paterno chiamando il primo figlio maschio col suo nome e il secondo con quello materno, è una tradizione che ancora oggi qualcuno rispetta.

Nonno Carlo ebbe quattro figli. Tre donne e un maschio. Inutile dire che il maschio era il centro delle sue attenzioni e quando morì in guerra soffrì moltissimo. Ma non lo fece vedere. Non era dignitoso per un uomo maturo piangere o dimostrarsi tenero.
Fiore, questo il nome del maschio, rinnovava la memoria del padre. Rosina si portava dietro il ricordo della mamma e poi c'era Angiola Peppina e Gesa che rinnovavano, in ordine di tempo, la nonna materna e la zia paterna.


Anche se di fatto, la famiglia era retta da una sorta di matriarcato, l'uomo aveva l'obbligo di accrescere e tutelare la discendenza, rinnovando nella tradizione i rami dell'albero genealogico. Si riteneva una iattura enorme l'assenza del discendente maschio. Questo è uno dei motivi delle famiglie numerose composte da molte donne e un maschio.

Ma c'era anche chi, come nonno Antonio, amava la famiglia numerosa. Lui diceva sempre che preferiva essere ricco di sangue e non di terreni anche se, pure lui, era un latifondista. Ma, nonna Teresa non era d'accordo e dopo cinque figli: Salvatore, Vincenzo, Giovanni, Maria, Rosaria, disse basta, vanno bene questi.

L'albero della vita

Anche mio padre sentì il dovere di “rinnovare” i genitori, suoi e quelli della moglie Angiola Peppina. Sposata dopo avere ottemperato ai rituali incontri tra genitori per gli obblighi del caso, la dote e quant'altro. Ma andiamo per gradi.
Vincenzo, Vicè per parenti e amici, conobbe Angiola alla festa di san Rocco. Parlare di conoscenza, a quei tempi, è arduo. Si videro. I loro sguardi s'incrociarono e si piacquero.
Ma gli uomini dovevano stare a dovuta rispettosa distanza dalle ragazze e prima ancora di rivolgere loro la parola, dovevano inviare un messo, solitamente il compito era affidato alla comare che interloquiva con la mamma della ragazza e poi lei parlava col marito, la famiglia valutava il censo e se ritenuto un buon partito iniziavano le trattative matrimoniali tra i genitori delle rispettive famiglie. Così avveniva la concessione della mano di una signorina perbene.

Dall'unione videro la luce ben sette figli, ciò vuol dire che le trattative o il destino avevano preso una buona piega.


LUTTO IN FAMIGLIA.

Di mio padre ricordo il buon umore. L'allegria che infondeva in famiglia al suo ritorno dal lavoro. Amava giocare coi figli e la sera, davanti al focolare, prendeva a strimpellare la chitarra.
Tutto sembrava andare per il verso giusto. In famiglia non mancava nulla. E poi improvvisamente venne a mancare. La sua morte sconquassò la famiglia. E prima che si disperdesse del tutto il risibile patrimonio rimasto, mia madre, donna dignitosa, se pur assediata dalle pene terrene e privata dai continui accadimenti della tranquillità economica, prima di lasciare il paese, volle immortalare la famiglia unita.



(ogni riferimento a persone o fatti realmente accaduti è puramente casuale)

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