Catanzaro, 4 passi tra folklore e storia

 

"Giangurgolo, maschera catanzarese
dall'enorme naso e dalla bocca larga"



Oltre alla comprensibile retorica cosa c'è di buono nelle raccolte dedicate ai personaggi, al folklore e alle storie locali?

La documentaristica locale è avvezza a raccogliere dati dal sapore nostalgico e spesso si lascia andare a facili proselitismi che interessano pochi malinconici residenti.


Ricordare il maestro delle elementari, il sarto, il falegname ché maestro e primo trombone della banda musicale paesana è mera esercitazione mnemonica di fiera appartenenza.


 

"Catanzaro, castello di Carlo V"

Importante, senz'altro! Ma fine a sé stessa.

Partendo dal presupposto che nessuno è esente dalla visceralità storica familiare e locale, e se è chiamato a sviluppare ricerche antropologiche nel proprio teritorio, inevitabilmente si lascia andare a sdolcinate melanconie.


I catanzaresi amano i colori della squadra cittadina. Giangurgolo, la maschera dalle origini romanzate risalenti al 1500. Secondo la leggenda, Giangurgolo soccorre uno spagnolo aggredito da briganti. Costui, in punto di morte, lo nomina suo erede e lo incarica di liberare la città dal domino spagnolo. E in suo onore assume il nome di Alonso Pedro Juan Gurgolos. Da questo momento ha inizio la lotta di Giangurgolo contro l'occupazione spagnola,  non con la lunga spada che tiene legata alla cintola ma con la satira dei teatranti in compagnia di guitti girovaghi.

E il piatto povero della cucina catanzarese: il succulento morzello. Che pare sia stato inventato dalla moglie di un inserviente del macello comunale pagato per il lavoro svolto con poca carne e molte interiora: trippa e centopezzi, rigorosamente sporche, u cannarozzu, l'esofago, la milza, il fegato, il polmone, i reni, insomma le frattaglie invendibili. 

Che dire dei preziosi damaschi catanzaresi? 

In pochi conoscono la tradizione serica e i filati esportati nelle regge di Napoli, Francia e nelle corti europee. Il velluto catanzarese, le cui origini risalgono al medio evo, conquistò le dame delle corti europee.

"catanzaro, viadotto sulla fiumarella"

Parlare della seta e delle implicazioni sul territorio ci porta al medioevo, periodo in cui la coltivazione dei gelsi, l'allevamento dei bachi da seta, la filatura e la tessitura dei bozzoli erano abilmente praticati in Calabria. In quei tempi Catanzaro era una delle principali fornitrici di seta a livello globale.

La lavorazione e le conoscenze seriche furono introdotte in Calabria dai Bizantini e dai mercanti provenienti dall'Oriente che portarono i primi tessuti e gli insegnamenti produttivi dell'intera filiera, successivamente perfezionati dai Saraceni.

L'inventiva e la laboriosa azione dei catanzaresi fece suo il sapere e trasformò nella nobile arte della seta i manufatti durante l'era Normanna e Sveva.

La colonia ebraica ebbe un ruolo importante in questo processo. Il ghetto e la sinagoga situate nel centro storico di Catanzaro furono, insieme alle prime istituzioni bancarie in città, trainanti.

L'introduzione dell'arte della seta in Calabria sembra risalire al periodo tra la fine dell'XI secolo e la prima metà del XII, con l'arrivo dei Normanni. Questo momento storico segnò il passaggio dall'epoca Bizantina a quella Latina.

Ancora di più,

Tuttavia, è innegabile, nel XIII secolo la Calabria vanta la supremazia nell'arte serica in tutta la penisola e Catanzaro gode di notevoli privilegi. 

Privilegi che contribuirono alla crescita dell'Arte della seta. I mercanti di Catanzaro godettero di esenzioni doganali, e tra il XV e il XVI secolo fu addirittura istituito il Consolato dell'Arte della Seta, il primo consolato del Regno dopo Napoli composto dai tre consoli dell'arte nobile della seta.

Altre testimonianze storiche li riscontriamo nella toponomastica: via della Seta, del Gelso bianco e via Filanda. Quest'ultima via è situata nel quartiere Maddalena. E' un omaggio alle filande che, proprio lì, un tempo lavoravano il prezioso filato: la seta, il velluto catanzarese.

Nel nostro caso non è retorica! È testimonianza di una comunità laboriosa che affonda la sua storia in manufatti e situazioni singolari:




Il morzello “u morzeddhu!” non è più un piatto della cucina povera, in senso lato è il vanto della gastronomia catanzarese e calabrese.

Giangurgolo è stato riesumato ed è bandiera della catanzaresità giallorossa nel mondo che simboleggia “U gargiutu e u mortu e fhama, u pezzenta arricchisciutu”, chi parla troppo e ha sempre fame.

Rimane nell'oblio ma ben incasellata tra le pagine della storia il velluto, l'arte serica catanzarese soppiantata dai filati tecnologici ricavati dalla plastica riciclata.

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