Facciamo il punto:
Il termine "dittatura degli ayatollah" si riferisce al regime teocratico instaurato in Iran dopo la rivoluzione del 1979, guidata dall'ayatollah Ruhollah Khomeini. Da allora, il potere supremo è detenuto dalla Guida Suprema, una figura religiosa sciita che esercita un controllo esteso su politica, giustizia, esercito e media.
Il sistema socio-politico imposto in Iran dagli ayatollah è criticato per la repressione delle libertà
individuali, la censura, le esecuzioni pubbliche e la discriminazione verso
minoranze etniche e religiose. Negli ultimi anni, le proteste popolari si sono
intensificate, sia all'interno del Paese che tra le comunità iraniane
all'estero, denunciando violazioni dei diritti umani e chiedendo un cambiamento
radicale; ciò, però, non determina la volontà degli iraniani a sottostare alle
ingerenze dai governi esterni alla loro cultura. Le rivoluzioni culturali
devono, com’è ovvio che sia, nascere dai semi degli autoctoni e trapiantati nel
terreno dei residenti secondo metodi consoni alla crescita dei rispettivi canoni
intellettuali.
Dopo la rivoluzione islamica del 1979, il Paese ha visto un
drastico cambiamento nella condizione femminile: l’obbligo del velo (hijab), la
segregazione di genere e le limitazioni nell’accesso a certe professioni e
nelle libertà personali sono diventati parte inaccettabile della vita quotidiana.
Negli ultimi anni, la repressione si è intensificata. Le
donne che sfidano l’obbligo del velo rischiano multe, carcere e persino la pena
di morte. Il movimento “Donna, Vita, Libertà”, nato dopo la morte di Mahsa
Amini nel 2022, ha portato alla luce la brutalità del regime, ma anche il
coraggio di molte donne e uomini iraniani che chiedono il cambiamento.
Nonostante la repressione del regime le donne iraniane
continuano a lottare. Molte sono altamente istruite, attive nella società
civile e protagoniste di proteste pacifiche. La loro determinazione è una
testimonianza potente contro l’oppressione. Ecco, loro sono le seminatrici del
nuovo auspicato processo sociale in Iran.
La recente escalation tra Stati Uniti e Iran ha visto intensificare
un forte asse tra il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il
presidente americano Donald Trump. Dopo l’attacco congiunto a siti nucleari
iraniani, Netanyahu ha elogiato Trump definendo la sua decisione “coraggiosa” e
capace di “cambiare la storia”.
L’operazione, chiamata Rising Lion, ha coinvolto bombardieri
stealth americani e un coordinamento strategico con Israele, con l’obiettivo
dichiarato di impedire all’Iran di ottenere l’arma nucleare. Netanyahu ha
dichiarato: “Io e il presidente Trump diciamo spesso: prima viene la forza, poi
viene la pace”.
Tra gli ebrei, questa mossa ha rafforzato la
posizione politica di Netanyahu?
La carneficina ancora in atto nella Striscia per la gestione
del conflitto a Gaza sembra niente in confronto al piano d’azione nei confronti
della popolazione iraniana. Lo spauracchio dell’atomica ottiene sempre l’effetto
desiderato e nasconde le vere intenzioni degli aggressori.
Trump, dal canto suo, ha parlato di “un momento storico per
gli Stati Uniti, Israele e il mondo”. Ma Trump, Netanyahu, nello specifico, e
Putin a latere non sono e neppure rappresentano il Mondo!