L’intervento di Umberto Eco, pardon, la “lectio magistralis”
all'università spagnola di Burgos, dove il semiologo e scrittore nostrano si è
recato per ricevere una laurea honoris causa in storia medioevale, non è una
provocazione ma ben di più.
Come considerare le sue parole in un momento in cui si
chiede più cultura e diffusione dei saperi in contrapposizione ai piani
politici dei governi europei che tagliano ricerca e diritto allo studio in
virtù di ipotetiche leggi di ingegneria economico-finanziaria che tutelano solo
ed esclusivamente i grandi capitali?
E come giustifica il pluriinsignito prof la fuga dei
cervelli, la mancanza di lavoro, l’affossamento della cultura solidale oltre
che scientifica; la teatralità e l’esposizione mediatica dei baroni universitari
che lasciano svolgere le lezioni al codazzo di studenti chiamati a ruolo di
assistenti?
E che dire delle “vacanze” dai ricevimenti e dal timor
panico che incutono certi “educatori” manichei?
Ma pare che queste tematiche non interessino al nostro prof.
Secondo lui, “l’eccesso di studenti ostacola l’attività
accademica e conduce alla crisi dell’università” e non altri fattori.
Come dire: teniamo i figli a casa o mandiamoli nei campi a
cesellar zolle anche se non c’è nessun bisogno. Ma teniamoli lontani dai prof
impegnati in conferenze e intenti incassare lauree onorifiche. Baroni che
cederanno lo scettro a una ristretta élite di privilegiati quando la gotta o il
rincoglionimento li renderà incapaci di muoversi.
D'altronde l’auspicio di Eco è che “l’accademia torni ad
essere per una certa élite, proprio come accadeva nella sua migliore epoca”.
Ma stimo troppo lo scrittore de “il nome della rosa” che in
virtù del suo racconto ambientato tra le mura di un monastero e grazie al
cognome di uno dei personaggi , Jorge de Burgos, ha ricevuto la laurea, per
chiudere cosi sbrigativamente la faccenda.
Penso, piuttosto, che forse i media hanno, come al solito,
strumentalizzato il pensiero del noto semiologo. Hanno estrapolato le frasi più
insidiose per innescare la lite, catalizzare l’attenzione su qualche nuovo
prodotto editoriale o iniziare la filippica ideologica sulla necessità alta di
una cultura mirata all'emancipazione collettiva dei popoli.
No, forse mi sbaglio!
Se è vero quanto riportato dai media, Lui, vuole detenere il
“potere” della cultura. Mantenere il suo status di docente insigne.
Status che, sempre secondo lui (come riportato dai mass media), è insidiato dai nuovi mezzi
di comunicazione di massa. In special modo della rete, il web, che, sempre
secondo il parere del semiologo riportato dai giornali on line, “la rete, come strumento di consultazione
inibisce il lavoro degli insegnanti e porta a
un mutamento per quanto riguarda il legame tra docenti e studenti”.
Insomma per il prof con internet si può accedere a molte
informazioni che in parte sostituiscono il lavoro dei docenti.