Ormai fa notizia solo l'azione estrema.
L'azione che, pur facendo parte della vita, se fatta in contesti
estremi diventa “provocazione” destabilizzante che colpisce le
coscienze e la morale comune.
Alcuni, come documentano le cronache degli ultimi giorni, usano il corpo per fare l'amore, anzi sesso davanti ai giornalisti; altri, spinti dalla disperazione, si chiudono nelle celle di carceri dismessi o occupano le miniere per salvaguardare il lavoro e la propria dignità.
Ma, dicevamo, la notizia corre solo se
è estrema.
Quindi assistiamo impotenti a sedicenti
gruppi punk che, stando ai critici non sono un granché come band e
si votano alla politica e chiedono alla Madonna di cacciare Putin in
tutte le salse.
La salsa migliore, per loro, è stata l'ultima, in ordine di tempo. Quella che li ha visti impegnate in una manifestazione nella Cattedrale di Mosca, con condanna per teppismo motivato da odio religioso. Parlo delle pussy riot che dopo l'orgia contro Medvev e l'ultima trovata pubblicitaria vedono salire l'interesse effimero dei media e quindi iniziano gli affari e diventare un marchio. Come ha annunciato Mark Feigin, avvocato delle tre musiciste in carcere. Il legale ha precisato che l'iter di registrazione del marchio è stato avviato lo scorso aprile per evitare l'uso del nome del gruppo in varie azioni e progetti. Le componenti della band si aspettano di ricevere i documenti di registrazione nei prossimi mesi. Per ora, a Mosca circolano solo magliette ispirate al movimento anti Putin ma viste le performance tutte le strade sono aperte.
E mentre in Russia, patria del
comunismo e di Karl Marx, si fanno cose turche per sfondare nello
spettacolo, nella più modesta Sardegna, nella democratica Italia, esattamente nelle miniere Nuraxi Figus, alle undici e cinque di oggi, Stefano Meletti si taglia
di netto l'avambraccio. Due colpi di coltello, davanti ai giornalisti
seduti e nervosi, perché si trovano per la prima volta a 373 metri,
di fronte al cancello che conduce alla "riservetta", il
deposito di esplosivo, 690,250 kg di Premex 300 1b con 1.221
detonatori.
È stato un attimo. Il portavoce dei
minatori della Carbosulcis a Nuraxi Figus, visibilmente incazzato
alza la voce: «Se qualcuno ha deciso di uccidere i minatori allora
ci tagliamo noi».
E giù due fendenti al braccio che lo
fanno sanguinare e perdere i sensi tra i colleghi che tentano di
togliergli dalle mani il coltello e farlo desistere. Giù, in miniera
anche donne. Madri di famiglia con gli occhi pieni di tensione e
speranza. Donne fiere. Dolci. Con l'elmetto da minatore in testa,
guardano fiere gli interlocutori che stanno comodamente seduti
davanti ai monitor in superficie. Dignitosamente: lavoratrici, anzi Minatori!
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