Taranto: morire di lavoro o per lavoro.
Novemila lavoratori più gli occupati nell’indotto che ruota
attorno all’unica acciaieria italiana rimasta a simboleggiare gli anni della
ripresa economica e industriale del mezzogiorno d’ Italia.
L’ex Ilva è stata fonte di guadagno per gli imprenditori che
si sono susseguiti nella gestione degli affari che, stando alla storia dei
tumori causati dagli scarichi industriali degli altiforni siderurgici, hanno
avuto a cuore più la produzione che la salute pubblica e la tutela ambientale.
Gli studi condotti e divulgati dicono che i tumori si sono
moltiplicati nell’area tarantina. Veleni nell’aria e nei terreni sono stati la
causa di morti e malformazioni fetali di persone e animali in gestazione. Ma queste
sono notizie risapute! Nonostante ciò continua il balletto. Da una parte l’esigenza
del lavoro e dall’altra la tutela della salute pubblica.
Morire per il lavoro o lavorare per vivere una vita
dignitosa?
Secondo alcuni che hanno il chiodo fisso e l’occhio attenti
ai guadagni economici le vite di uomini e natura sono niente, semplici e
insignificanti numeri percentuali intercambiabili e rinnovabili vista la
disoccupazione e le prese di posizione degli opportunisti che si lanciano come
avvoltoi sulle prede in difficoltà.
Teste vuote che prima di aprire bocca non collegano il
cervello.
Ma è così difficile salvaguardare lavoro e ambiente in
funzione di corrette prassi sociali e considerarli beni inalienabili per
chiunque?
Invece assistiamo a tristi balletti politici e a ricatti. Cordate
di industriali che cercano il massimo profitto col minimo dispendio. Politici
farseschi che sanno parlare alla pancia delle persone in difficoltà sfruttando
il momento e le paure dell’ignoto.
È giunto il momenti di mostrare serietà e volontà d’intenti.
Recuperare gli sfiduciati. E fare politiche serie per garantire il presente
degli operai e impiegati dell’area ex ilva di Taranto e lasciare che i giovani
possano sperare nei sogni di un futuro migliore.