mario iannino, 1992, olio su tela, ritratto di Guido Rhodio |
La figurazione in pittura è puro diletto.
È un attimo temporale che racchiude e palesa in sé, nell’ambito del mero esercizio manuale, fattori professionali acquisiti nel tempo.
Il pittore costruisce e personalizza, organizzandoli, secondo parametri soggettivi, spazi figurali inesistenti prima del suo intervento.
Insomma, il pittore costruisce e personalizza anonime superfici con l’ausilio di strumenti tecnici, conoscenza e pratica che, suffragate da sensibilità individuali, assurgono a linguaggio iconico universale.
La figurazione è l’esposizione del conosciuto, al di là delle somiglianze più o meno precise dal punto di vista fotografico. A tal proposito è sufficiente immaginare la figurazione elementare fatta di pochi ma eloquenti segni: un cerchio con due puntini e una linea curva sotto è l’ologramma di un faccione sorridente, riconoscibile in Cina come in Italia nonostante la distanza geografica e linguistica della parola scritta e parlata. Ciò non esima il pittore, sia esso artigiano o artista, che vuole intraprendere la carriera decorativa, dallo studio della figurazione e a lavorare secondo parametri scolastici o di bottega come si usava un tempo. Questo concetto è valido per chiunque. Pittori della domenica che dipingono per hobby, appassionati, studenti di liceo o dell’accademia devono apprendere i trucchi del mestiere, capire cosa struggeva la mente dei Maestri del passato quando studiavano le forme, la luce, il colore e da essi trarne l’anima.