La complessa e affascinante origine orografica fa della
Calabria un posto magico: monti, valli, colline e prati ubertosi baciati dal
sole si prestano a innumerevoli letture di storie vere o presunte. La fantasia
percorre e sorvola gli ostacoli con serena lentezza aiutata dalla bellezza dei
luoghi.
La sua conformazione è
da sempre la peculiare bellezza di questa lingua di terra che diede origine a
storie di miti e leggende. Favole che sconfinano spesso con la realtà e fanno
grande il nome “Calabria”.
Briganti, uomini d’onore, contadini, latifondisti,
sfruttatori e sfruttati, artisti, letterati, gente comune, intellettuali,
filosofi, patrioti, cerchiobottisti … gente che puoi trovare ovunque ma che qui,
marchiati a fuoco da nomee ataviche e folcloristiche incutono terrore o, bene
che vada, sono osservati con sospetto dai forestieri, cioè, da chi non conosce
davvero l’anima dei calabresi. D'altronde la cronaca ama diffondere notizie dal
sapore aspro che toccano lo stomaco, infastidiscono e inducono alla reazione
rabbiosa, tant’è che uno “scrittore” scrisse: “… apri i cassetti della cucina
dei calabresi e trovi solo coltelli…”. Per certa letteratura la Calabria e i
calabresi sono sporchi brutti e cattivi…
ma:
C’era un tempo in cui i calabresi, più corretto dire i
bretti, erano costretti ad osservare il mare per proteggersi e preservare i
raccolti ottenuti col duro lavoro nei campi da tutta la famiglia, donne e
bambini compresi. Sì, dalle continue scorribande piratesche dei popoli africani
che s’affacciavano sul mediterraneo i bretti dovevano pur proteggersi!
I greci non furono da meno, e anche se qui fondarono la “Magna
Graecia” e riuscirono a creare nell’Italia meridionale, tra Sicilia, Calabria,
Campania, Basilicata e Puglia una colonia in cui trasferirono culture artigianali
e saperi sconosciuti prima, furono pur sempre degli invasori.
Da contadini e pescatori, il popolo bruzio, contaminato,
divenne artigiano, mercante, guerriero. E servì, volente o nolente la “magna
graecia”, i bizantini, i romani, gli spagnoli etc.
I promontori lungo le coste divennero luoghi privilegiati d’osservazione.
Sorsero torri di guardia, dette “cavallare” perché presidiate da uomini a
cavallo, pronti a correre e dare l’allarme in tempo debito per consentire ai
paesani di nascondersi, correre nei boschi e sfuggire a tristi destini di
schiavitù di saraceni e pirati provenienti dal mare.
Passata la paura degli invasori iniziò l’era dei mercanti. Le
navi solcavano il mare jonio e il mare tirreno per approdare sulle coste
calabre cariche di mercanzie che scambiavano con olio, vino, formaggi e altri
derivati. Nonché ortaggi e grano prodotti sui declivi e nei pascoli calabresi
dalle donne e dagli uomini forgiati dal sole e dal tempo trascorso a lavorare
sui campi.
A quel punto, in tempo di pace e scambi tra i popoli, fu
necessario rendere l’approdo agevole ai viandanti, creare un punto visivo
luminoso per evitare, come narrò Omero nella sua Odissea, che le navi dei
mercanti facessero la fine dell’impavido Ulisse costretto a fare i conti oltre
che con i personaggi mitologici anche con la furia del mare, gli scogli
sommersi e le scogliere non segnate nelle mappe nautiche o invisibili di notte.
Costruirono i fari. Dapprima i
faristi appiccavano dei grandi fuochi nella notte per segnalare la terra ferma
che si presentava improvvisa ai naviganti. E col tempo, a passo con le scoperte
scientifiche, i fari cambiarono aspetto e tecnologie. La legna fu soppiantata
da altri combustibili e le fiamme prodotte, cioè la luce fu irradiata lontana
da lenti e cristalli.
Il fascio di luce che taglia il nero della notte, simile ad
una mano tesa, accompagna e riceve i viandanti. Li accoglie sulla terra ferma. Terra
di storia e cultura: la Calabria!, è luogo di migrazioni forzate e volute. Gente
che conosce il sapore della fame. Fame di conoscenza. Gente caparbia che quando
crede in un sogno lo porta a compimento costi quel che costi!
Tutto questo e altro si trova nel lavoro di Ivan Comi;
filmati, foto, narrazione
Ecco, Ivan Comi ha
presentato alla libreria ubik in Catanzaro Lido un documentario sui fari della Calabria, frutto di un
lavoro durato tre anni tra terra, fondali incontaminati e cielo terso. Il
percorso storico si fa didattico e traccia un itinerario accattivante sul ruolo
del faro posto a indicare l’approdo sicuro ai marinai che si trovano al largo
dello jonio o del tirreno.
I ragazzi delle scuole elementari e sua figlia Nicole,
testimoni e attori del docu-film, hanno potuto sognare seguendo la rotta ideale
tracciata da Ivan che inanella di nuova luce il territorio impervio a picco sui
mari del mediterraneo.
Ripercorrere i siti dei fari della Calabria e magnificare in
uno spazio atemporale le intenzioni dei contemporanei visitatori senza
dimenticare le storie di chi ancora li cura con passione: i faristi e la
capitaneria di porto preposta, è un’idea creativa accattivante degna di essere
condivisa