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mercoledì 25 settembre 2024

IL vuoto, film di Giovanni Carpanzano

 Su prime video, film d'autore: il vuoto.


Nell’immaginario collettivo il diverso è colui che non rientra nei canoni della comune morale. Non è solo una questione di orientamento sessuale o intellettualmente non allineato al comune senso del pudore.

Il diverso fa paura! È qualcosa di oscuro anche per la famiglia d’origine.

domenica 9 ottobre 2022

In viaggio nel tempo

 


Tempo di vendemmia di festa e incontri.


Da nord a sud in autunno si ripropone la sagra dell'uva. Molti vitivinicoltori associati mettono in campo strategie mirate per la conoscenza e la commercializzazione dei brand prodotti nelle rispettive cantine. 

Anche in Calabria le più note e blasonate case vitivinicole partecipano alle sagre calendarizzate a livello nazionale con eventi mirati. E per divulgare il proprio prodotto in seno alla festa nazionale del vino nelle proprie cantine aprono a mostre, assaggi e guide assistite.

Le zone più rinomate sono definite in mappe territoriali geografiche mirate e circoscritte che vanno dal cirotano al lametino e, giù, al reggino. Ma questo itinerario geografico è ben noto ai più .

Io, invece, voglio raccontare del vino fatto in casa. Un'operazione di nicchia, esclusivamente elaborata e portata a termine non per scopi commerciali ma per la famiglia, da bere insieme a tavola e da offrire agli ospiti! 

Mi piace ricordare ogni cosa delle giornate d'autunno trascorse in campagna tra filari di viti e l'odore degli acini strappati coi denti!

Della raccolta dell'uva e dell'allegria che si respirava tra i filari e nell'aia; del profumo dell'uva appena raccolta adagiata nelle ceste di vimini, dall'odore delicato degli acini appena pigiati...

E dell'attività frenetica dei paesani che, quasi tutti, tra settembre e ottobre s'impegnavano le "giornate" e preparavano i “commodi” per raccogliere i grappoli d'uva, lasciare maturare il mosto e ... Ma andiamo per gradi.

La mia storia è ambientata in una campagna che potrebbe essere situata in un paese qualunque della Calabria. Però, essendo nato in un paesino montano del catanzarese,la mia storia si avvale di spunti autobiografici.


Per arrivarci, nelle vigne, il percorso era agevole e semplice. Quasi tutti i vigneti costeggiavano la strada principale: “A vianova” questo il nome che davamo alla nuova strada provinciale che tagliava in due il paese passando per la “Cona”, la piazza principale sede di bar e unico spazio logistico per l'installazione del palco eretto in occasione dei festeggiamenti popolari in onore della Madonna della Luce. L'uso del passato è d'obbligo! Molti di quei vigneti non ci sono più.

Il primo esteso appezzamento di terreno adibito a vigneto lo incontravamo al bivio, prima di imboccare il “rettifilo di Manno”. Gli altri vigneti erano disseminati all'interno delle campagne, al riparo degli agenti atmosferici e dalle ipotetiche ruberie.

E poi su, dopo l'agglomerato urbano, tra i castagneti. Lì la terra rossiccia sembrava esaltare gli acini viola appesi sui verdi filari.

La raccolta dell'uva, nel mio “immaginario vissuto”, presupponeva una predisposizione dell'anima totalizzante. Ogni azione, parola, canzone era in sintonia con la natura. E la stanchezza fisica, nonostante ci fosse, sembrava inesistente.

Le donne, instancabili, facevano la spola tra i filari e “u katojiu” il punto di raccolta che ospitava il tino per la pigiatura; “i fhimmini” si “caricavano” sulla testa enormi cesti di vimini colmi d'uva come se niente fosse! (per lo meno, ai miei occhi erano davvero grandi, ché facevo fatica a trasportare il paniere in cui riponevo i pochi grappoli da un “piede di vite all'altro).

La mia esperienza è limitata a brevi momenti di vita vissuta. A pochi fine settimana che, approfittando delle belle giornate, in macchina, una fiat 850 special, si faceva un salto al paese per stare coi parenti rimasti.

martedì 2 novembre 2021

La mia valigia di cartone

 (La nascita, le origini, le vite dei singoli non sono eventi fortuiti ma legami invisibili tessuti da  volontà superiori).

Questa terra non è per te!



Non ci vedevamo da almeno venti anni e come accade in simili circostanze abbiamo scambiato le notizie. Quelle più articolate ma con minore interesse per entrambi, ovviamente, limate dai particolari superflui. La sintesi è che Enzo si è trasferito a Torino. Lui e la moglie hanno deciso di seguire i figli all'università e, come accade nella maggior parte dei casi, sono andati a ingrossare le fila dei calabresi migrati al nord. Il loro è stato un esodo dorato. Non hanno riempito le valigie di cartone con i sogni e gli scarponi chiodati ancora sporchi di terra al pari dei nostri che tentarono la fortuna negli anni sessanta o cinquanta.

Enzo e Marilena hanno potuto chiedere il trasferimento ai rispettivi datori di lavoro che, vista l'esuberanza di personale in azienda, hanno ottenuto.

Torino non si presenta come la capitale metalmeccanica che ha dato lavoro e dignità a molti. L'archeologia industriale è storia che si fa corollario di innumerevoli pretesti generazionali che hanno modificato il corso degli eventi parentali.

Tante storie di vite che lì, tra i rumori delle fabbriche e il luccichio delle vetrine, si sono modificate, momenti vissuti da intere famiglie, quotidianità che hanno cambiato i percorsi e diradato se non tagliato i legami con le origini.

Anche se noi meridionali abbiamo fortemente radicato il concetto di appartenenza e non appena sentiamo l'accento di un idioma familiare subito ci associamo e dialoghiamo come se ci conoscessimo da sempre, nelle metropoli sappiamo tenere una certa “signorilità” nei costumi, una certa distanza dal pettegolezzo spicciolo.

Lì c'è puro pragmatismo.

Pur volendo conoscere le origini e le appartenenze, retaggio comune a qualsiasi latitudine e in tutte le lingue, nelle città produttive gli interessi della gente si concentrano principalmente nelle abilità dei singoli. Nelle opportunità di lavoro e produttività che ognuno sviluppa e può sviluppare.

Lì è possibile quella scalata sociale che a volte è negata nella propria terra per ragioni futili. L'invidia è un elemento che in Calabria indossiamo a mo' di armatura: nessuno è più bravo/a, intelligente, saggio/a, bello/a di me. Nessuno merita tranne me!

Ma, a nostra discolpa c'è sempre un ma o un però, abbiamo un cuore enorme. E ...

Togliamo la corazza per brevi attimi davanti a un tramonto, alle necessità dei bambini bisognosi, alle malattie, alle sofferenze degli altri, al diverso ma fino alla curva delle nostre ambizioni.

E tu? Chiede Enzo. Che fai, dipingi ancora?

Certo! È la mia risorsa. Mi tiene attivo mentalmente. L'arte è la mia arma di difesa contro la pochezza di pensiero imperante, immutabile da sud a nord e viceversa.

Sì ma forse in una grande città avresti, forse, potuto …

Sì! forse avrei potuto ma non rincorro glorie. Amo quello che faccio. Amo questa terra con tutte le sue eterne immutate contraddizioni e non m'importa di quello che dice la gentaglia dietro le spalle. Importante è potersi guardare allo specchio con serenità d'animo e non dovere mai abbassare lo sguardo davanti a niente e nessuno. La mia valigia di cartone è zavorrata qui. Piena delle mie umane contraddizioni e delle mie esperienze che, modestamente, metto a disposizione ... Ho scelto di vivere nella terra in cui sono nato. Troppi legami, troppe convinzioni mi impongono di convogliare energie per quanto riguarda il mio lavoro "intellettuale".

Questa è anche Calabria.

La Calabria che abbiamo costruito coi nostri tanti opportunismi e troppi silenzi.

La terra che abbiamo lasciato agli altri, che abbiamo donato, per indolenza? A una ristretta cerchia che non merita tanta bellezza.

mercoledì 11 agosto 2021

Storie di vita d'altri tempi

La campagna era tutta buona. Benevola con chi la curava! La terra dava soddisfazioni e non lasciava in sofferenza le famiglie dei contadini. I frutti copiosi dell'orto sfamavano anche i parenti e i vicini in affanno in quei tempi di magra immediatamente dopo la guerra.

Il dopoguerra lasciò rovine materiali, fisiche e mentali.

Chi viveva in campagna, delatori e traditori a parte, spie di regime che facevano la fronda miseramente, riusciva a cavarsela facendo crescere la famiglia. Col duro lavoro dei campi e le cure adeguate dovute agli animali per conservarli in buona salute anche quel duro capitolo fu chiuso.

L'appezzamento di terra attraversato dal torrente era il più fecondo. E lì crescevano le primizie di stagione.

All'alba si era già sul posto. D'altronde non era distante dalla casa. Bastavano pochi passi per arrivarci. Zappa sulle spalle e qualche sacco di stallatico sul dorso del mulo per concimare. Il meticcio trotterellava davanti a tutti, qualche canna nel campo dei fagiolini da risistemare e poi “stagliare” l'acqua.

Abbeverare i campi dava un senso di fresco anche al corpo. L'acqua s'infilava nei solchi poco alla volta; tracimava da un solco all'altro fino a completarne il percorso tracciato dalla sapienza contadina.

Sì quel quadrato di terra dava soddisfazioni! Le colture erano abbondanti e saporite. I bambini, ma anche i grandi, attendevano impazienti i frutti. I “zipangùli”, le angurie piantate e cresciute lì erano di un verde scuro intenso e la polpa era rossa fuoco densa e dal sapore indescrivibile. E poi, cetrioli, pomodori, zucchine tutti prodotti dalle qualità organolettiche alte degne dell'etichetta d'eccellenza cercata invano oggi sugli scaffali dei supermercati.

No. non è il racconto romantico tracciato sulla falsariga dei ricordi. È una realtà che vive nella memoria pulsante del tempo che fu.

E poi un maledetto giorno la vita prese una piega diversa. Amara!

Il campo devastato dall'irruenza della mandria priva di guida (il pastore si era assopito sotto un albero? O forse no... a quei tempi i dispetti erano dettati dall'invidia e dalle misere antipatie.) scatenò l'ira. Scoppiò la lite. E il cielo ebbe un altro Angelo.

Seguirono anni difficili. Qualcuno tentò matrimoni d'interesse ma non se ne fece niente. La donna, mamma di sette figli si rimboccò le maniche e prima che la famiglia si disperdesse tra matrimoni e partenze (la prima figlia, in età da marito e fidanzata, con la dote pronta da tempo: casa e corredo aspettavano solo che il padre l'accompagnasse all'altare) volle una foto.

Chiamò tutti e così come si trovavano si misero in posa.

Il fotografo arrivò al casolare di campagna. Piantò il treppiede e scomparve dietro il cappuccio nero. Fermi! Sorridete! Guardate davanti. Non muovetevi... fatto. La lampada del flash emanò fumo e s'increspò.

famiglia contadina, foto d'epoca, 1956-57


giovedì 16 aprile 2020

Ciao Franca

Rione “Baracche”, via Schipani, in Catanzaro al primo piano abitava una famiglia che oggi definiremmo numerosa. Una famiglia solare. E lei, Franca, era la penultima di 4 sorelle.

Nel mio immaginario la vedo allegra, sorridente, affabile. E poi l'incontro con Alfonso, Fofò per gli amici del Conventino di S. Antonio di Catanzaro.

Il “conventino” è situato alla sommità del quartiere s. Leonardo. La piazzetta antistante la chiesa alla fine delle scale che conducono ai giardini erano entrambi luoghi d'incontro e socializzazione di noi ragazzi, in momenti differenti, erano i nostri punti d'incontro: alla domenica per la s. messa frequentavamo la piccola chiesetta dei frati e quasi tutte le sere ci si vedeva ai giardini per bighellonare.

L'ultima volta ci siamo incontrati nei pressi del mercato “campagna amica” di Catanzaro lido, nel rione “fortuna”.
Abbiamo parlato come se ci fossimo lasciati da pochi giorni e invece non ci vedavamo da anni. Come al solito c'era qualche aneddoto della vita familiare di Franca e Alfonso da raccontare.

Uno dei tanti, il più simpatico che mi torna spesso alla mente e mi fa sorridere fu quando Fofò mi raccontò, sempre con l'inseparabile compagna di vita affianco, della sorpresa che le volle fare mentre lei era a scuola:

Sai, le disse contento di averla aiutata nei lavori domestici, ti ho steso i panni!
Quali panni? Chiese Franca.
Quelli che c'erano in lavatrice.
Sì, però, almeno avresti dovuto aspettare che la mettessi la lavatrice. E scoppiarono a ridere all'unisono. Anch'io sorrisi di gusto.

Ecco Franca ti voglio ricordare sempre così: col sorriso sulle labbra. Ciao Franca. Eppure quel giorno avevi già le prime avvisaglie del tuo malessere che hai minimizzato: devo andare a farmi una visita. Ho sempre un dolore alla testa. Devo vedere cos'è, mi hai confidato. E dopo hai cambiato repentinamente discorso. Abbiamo ricordato i vecchi tempi e parlato del presente. Mi hai chiesto dei miei interessi; del lavoro e poi ci siamo salutati come sempre. Con abbracci e baci e calde strette di mano.

Tu e Alfonso siete stati e sarete un esempio, una bella coppia. Sempre uniti e complici anche nelle piccole difficoltà che la vita propone inevitabilmente.



Sei andata via. Hai smesso il vestito terreno ma la tua armonia interiore resta e diviene forza per quanti ti sono stati vicini o hanno avuto il privilegio di conoscerti. Ciao Franca. Alfonso, un carissimo abbraccio, Mario.


venerdì 11 gennaio 2019

Una storia affidata al web

Il ragazzo incappucciato guarda fisso in camera. Chiede consiglio ai follower s. Racconta agli ipotetici seguaci una storia. La sua storia. E chiede cosa fare nel caso qualcuno si trovasse nelle sue stesse condizioni esistenziali.
Il dilemma del ragazzo consiste se andare a conoscere oppure no i consanguinei che lui non ricorda di conoscere. Eppure uno zio, per quanto mi è stato detto, fratello del padre defunto quando lui, Carletto, era piccolo, questo il nome di fantasia che do al postulante, per i primi anni andò metodicamente a fare loro visita. Ma la situazione che di volta in volta lo zio trovava non era delle più gradite.
Non sto a spiegare nei dettagli cosa o chi vedesse. Fatto sta che non l'approvava! Così iniziò a diradare le visite pur mantenendo il legame attraverso le notizie portate dal vento.

Ma il vento, si sa, non sempre è lo specchio veritiero dell'animo umano.

Anch'io ho vissuto di riflesso storie di vite vissute e anche se accanto ai protagonisti diretti molte sfumature non le ho sapute cogliere.

Ora, per rispondere al quesito iniziale del ragazzo del “confessionale”, dico che: se fossi in lui andrei a scovare la verità interrogando e venendo a conoscenza di fatti e fattori che hanno definito la storia di chi gli ha dato la vita. Anche col pericolo di fare scoperte scomode, poco edificanti e per niente romanzate o mediate dalle volontà di chi gli è stato accanto fisicamente per tutti questi anni. Perché la vita è dura e a volte crudele. Per questi motivi mi sento di suggerire un concetto semplice: vivi la tua vita e cerca di trarre il meglio seguendo i canoni della bontà e della correttezza. Il resto lascialo alle spalle. E se ci tieni a conoscere le persone che tu pensi ti abbiano “abbandonato” fallo ma accostati senza pregiudizi. Chissà, forse può nascere qualcosa di buono.

lunedì 9 ottobre 2017

Natuzza i carismi e l'aldilà

Natuzza, secondo me, è stata un gran mistero per quanti non credono nel sovrumano.
Nel trascendente!
Le persone razionali preferiscono avere a che fare con episodi tangibili e fatti concreti riscontrabili realmente e motivati scientificamente.
Ma i poteri della mente non sembrano essere appannaggio totale della scienza.
La creatività, ad esempio, si manifesta allorché la parte destra del cervello è libera; affrancata dalla logica e dal potere raziocinante, che risiede nella parte sinistra del cervello, trova soluzioni inaspettati a problemi difficili da districare seguendo filologie e teoremi scientifici.

La scienza stessa afferma che le potenzialità della mente umana non è completamente sfruttata e che le arti, la creatività, sfugge ai canoni comuni.

Si deve possedere una visione incontaminata, ingenua e pronta all'entusiasmo, essere aperti all'imprevisto e accettarlo per potere viaggiare nelle correnti mistiche che scorrono dentro e fuori di noi.
Natuzza questo lo sapeva! Li esercitava. E sorrideva. Lasciava che il tempo facesse il suo corso.
Probabilmente, nonostante dicesse sempre che il futuro è nelle mani del Signore, lei, era a conoscenza di moltissime cose a noi ignote. Aveva previsto la lite attuale? È irrilevante, lo so.
Ma
La natura umana è paradossalmente incongrua. E davanti ad avvenimenti destabilizzanti che riguardano la comunità in questione, indiscutibilmente dai nobili fini ma che ne minano i concetti prestabiliti dallo statuto, diventa legittima qualche riflessione. Quantomeno per capire se qualcuno ha abusato della buonafede dei devoti, se è uscito dal solco scavato dalle intenzioni cristiane che hanno edificato il tutto. È lecito conoscere la verità.

Non è, quindi, pura curiosità terrena e neanche un'effimera dannosa intromissione voyeuristica ma un'intima esigenza di chiarezza indagare quanto accaduto per comprendere e eventualmente tutelare in futuro da eventuali pecche la fondazione “Cuore Immacolato di Maria rifugio delle anime”.
Comprendere, anche, perché quello che stava bene prima (mi riferisco alla fondazione, alla stipula che ne regolamenta i fini associativi dell'enorme missione d'amore e alla firma apposta in segno d'approvazione dal vescovo di allora mons. Cortese) non va bene oggi.

Prendo atto delle esigenze della curia e della nota diramata dal rappresentante della fondazione. Saggio smussare gli angoli e dialogare per trovare un'intesa ma così facendo si pone qualche dubbio sulla lungimiranza mistica di Natuzza che, guidata dalla Madre Celeste, benedisse il tutto. Statuto compreso.

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