Le periferie soffrono conflitti d’inferiorità. È questa una
costante comune presente in ogni dove. Nel nord come nel sud le periferie sono
lasciate ai margini salvo rare eccezioni.
I problemi presenti negli agglomerati abitativi delle zone
abbandonate perché dimenticate dalle gestioni comunali li conosciamo per esperienza
diretta, per le narrazioni ascoltate da chi li ha vissute prima e, in certi
casi, perché lette sulla stampa locale. Che
fare per emanciparsi dalla sottocultura intessuta con garbo dai ceti che
vivacchiano nel limbo clientelare assunto
a filosofia di vita dal pressappochismo strutturale diventato scheletro immarcescibile
delle società malate?
La risposta è scontata: studiare! Lavorare! Essere indipendenti.
Purtroppo non sempre è possibile emanciparsi dal sottobosco culturale che sovrasta le vite dei
bisognosi. E la Calabria è terra di bisognosi!
In Calabria le migrazioni sono stati fenomeni desertificanti
di paesi e campagne.
Un tempo andavano via le maestranze. Contadini e manovali. Muratori
e artigiani. Misera carne venduta dai bisogni per un pezzo di pane. Oggi vanno
via i giovani che hanno studiato!
Cervelli in fuga! Si dice così.
Cervelli in fuga sono i tanti ragazzi che rimangono nelle
città in cui si sono trasferiti per studiare. Ragazzi che non intendono fare il
viaggio a ritroso neppure per amore nei confronti di chi li ha generati.
Giovani che hanno messo a tacere sentimenti e sensazioni:
Paesaggi. Storie. Cultura. Tradizioni del proprio vissuto
formativo iniziale.
L’imprinting, però, per qualcuno è duro a morire! Anzi non muore
mai. E questa sera ho avuto il piacere di conoscere una storia, comune a molti,
incarnata da un signore anziano che ha deciso di trascorrere il tempo della sua
meritata quiescenza a Marina di Catanzaro: un poeta! Sergio Scicchitano.
In sintesi ha vissuto laddove il destino ha deciso ma non ha
mai abbandonato o pensato mai di recidere il cordone ombelicale che lo
congiungeva alla terra natia: a Marina e Catanzaru.
Nelle sue poesie in vernacolo “marinotu” non c’è semplice
nostalgia di un tempo che fu. C’è, sì, un mondo antico, animato da scorci paesaggistici
che vivono solo nel suo vissuto. C’è un folklore quasi romantico nelle sottolineature
in vernacolo dei fonemi ormai desueti. Sì. Ci hanno imposto di parlare l’italiano
a scuola, in società e in famiglia. Perciò alcune locuzioni sono sconosciute
alle nuove generazioni. E mentre certa cultura cerca di salvaguardare le
minoranze linguistiche affinché non vada disperso il tesoro semantico degli
avi, gli emigranti di ritorno siedono ai bar e passeggiano sul lungomare facendo
sfoggio di cadenze e locuzioni verbali estranei alla terra dei padri.
Indubbiamente le lampare a gas o petrolio rimangono accese
nella testa dei poeti. E le spatole, le sarde, ritenuti pesci di poco conto,
non sono rigettati in mare o regalate ai clienti in attesa sulla spiaggia dei
pescherecci. Quel piccolo mondo antico non esiste più. È la vita. dobbiamo
farcene una ragione! Ma non possiamo derogare all’insana cementificazione che
ha deturpato Catanzaro intera!
Ecco, Scicchitano dice: eu tu cuntu tu pénzaci…
Esco dalla libreria. Mi incammino verso la stazione
ferroviaria. Sono le 20,00 circa. Il traffico è quasi fermo nel budello d’asfalto
tra le case del quartiere marinaro. Catanzaro Lido è paralizzata in entrata e
in uscita. Faccio a piedi il sottopasso della ferrovia. Arrivo nel parcheggio
del polifunzionale antistante la stazione ferroviaria e sembra di essere in una
realtà urbana totalmente diversa. Pochissimi minuti e sono a casa con ancora i
versi in vernacolo di un calabrese “marinotu” di ritorno per amore.
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