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lunedì 5 aprile 2021

Racconti calabresi: l'estate a Tropea

Tropea, isola della mia infanzia.

Siamo agli inizi degli sessanta. 

L'antico convento suscitò in me sensazioni fiabesche.

Sembrava di essere in un castello edificato da qualche principe o dai pirati in un'isola nel bel mezzo dell'oceano. 

La calura estiva si sentiva e l'acqua del pozzo non riusciva a chetarla. E le camere, ampie, coi letti a baldacchino; le tende appese tra un letto e l'altro per creare un po' di privacy, bianche, forse, all'origine ma rese grigie dal tempo, svolazzavano sollecitate dalla brezza che entrava dalle alte bifore. 

Le bifore si trasformavano, a seconda dei momenti, in torri o avamposti d'avvistamento. E da lì prendevano forma i velieri dei pirati. era una gara a chi inventava la favola più bella e originale.

La fantasia ci faceva vedere i velieri stagliarsi all'orizzonte. Dapprima minuscoli. Poi enormi e minacciosi con le bocche di fuoco dei cannoni armati per l'assalto.

La madonna dell'isola non era un'icona sacra. Era la damigella da difendere dagli assalitori. La principessa da custodire e portare in salvo a costo della propria vita.


Tropea distava pochi chilometri da casa mia ma all'epoca arrivarci era un avvenimento importante. una storia indimenticabile da raccontare. E poi l'isola! che non era di fatto un'isola ma un promontorio attaccato al paese che si presentava simile a un'isola deserta situata in mezzo al mare con una spiaggetta privata dove solo noi avevamo accesso. Questo pensavo mentre scendevamo dagli interminabili gradini che univano il cortile dell'isola alla spiaggia.

L'acqua era di colore cristallo, impalpabile. Trasparente! Difficilmente il mare era agitato in quel punto. E poi un giorno la quiete fu interrotta dall'incursione di uno strano signore. Non portava con sé ombrellone o telo da bagno e neppure il costume indossava. 

Piantò nella sabbia, ricordo bene, un coso fatto di legni che si aprivano a compasso e si serravano con delle viti a farfalla. E poi mise su un pezzo di cartone marroncino. Osservò il mare. Prese da una scatola di legno dei tubetti simili al dentifricio ma la pasta che usciva non era bianca. Erano dei vermetti colorati! Noi bimbi ci mettemmo in cerchio attorno a lui. Incuriositi. Ci scrutò ben bene e chiese al più grande: ti metteresti in posa? Il ragazzino lo guardò con aria interrogativa. Nessuno aveva capito cosa volesse dire “mettersi in posa”.

Senza aspettare risposta l'uomo lo guidò a qualche metro di distanza, gli mise in mano una canna e lo invitò a stare fermo.

In un batter d'occhio abbozzò la figura del giovane e poi iniziò a colorarlo. Era come assistere ad una magia! Pennellata dopo pennellata l'azzurro del mare si congiungeva al cielo e in lontananza, all'orizzonte, dei cirri tenui si mescolavano coi gabbiani. Il pittore, un uomo minuto coi baffetti stava in silenzio. Poi smise di dipingere. Estrasse una scatolina di metallo lucido, color argento, prese una cartina biancastra, l'adagiò tra le dita e con l'altra mano prese un batuffolo di tabacco, l'arrotolò e infine passò la punta della lingua per sigillare il cilindretto. serrò la sigaretta tra le labbra, l'accese con un fiammifero, uno di quelli che solitamente si accendeva il fuoco nelle case. Aspirò mentre osservava il dipinto. Per qualche istante non fece nulla. Pulì solo i pennelli ad una pezzolina e li sistemo nella cassetta di legno.

il sole era alto. Stava per scoccare il mezzodì. e noi dovevamo risalire per il pranzo. Il suono del fischietto richiamò la nostra attenzione. In fila per due e march. 

Quel giorno la figura del pittore catalizzò i nostri discorsi che, nonostante i nostri auspici, non incontrammo più.

domenica 14 marzo 2021

Una favola d'altri tempi?

Carte e inchiostro ne ho a volontà. Quindi, avanti!

Oggi m'è presa così. Mi va di disegnare. Abbozzare qualcosa di familiare. Qualcosa che fa parte del vissuto storico di quanti, come me, hanno fatto il salto epocale e dalla campagna o dal paesino rurale sono andati a vivere in città.

Dedico questi minuti di gioco creativo alla rivisitazione romanzata del tempo che fu corredando la scrittura con alcuni bozzetti degli animali domestici del quotidiano familiare che ancora è possibile vedere nelle campagne ai margini degli agglomerati urbani in Calabria.


Ricordo, anche se molto piccolo, la cantina -katojo in calabrese-, dalle molteplici funzioni, che, all'occorrenza, fungeva da legnaia e ripostiglio per alcune provviste stagionali ma era anche rifugio invernale dei fedeli compagni di lavoro nei campi: il mulo, l'asino, qualche capretta che riforniva di latte caldo la famiglia; le galline ovaiole. E c'era anche chi si era industriato nell'allevamento olicicolo, ovvero, nell'allevare lumache a chilometro zero, come diremmo oggi. 

Odori pungenti, aspri, quindi, ma non tanto sgradevoli, perché manca il termine di paragone. È il profumo naturale del luogo; simile all'abitudine olfattiva del casaro che lavora  il latte e cura la stagionatura dei formaggi o il pastore che governa le greggi. O chi insacca lo stallatico per concimare i campi e fare proliferare i raccolti biologici.

Ricordo chiaramente che gli effluvi dei miasmi inondavano i vicoletti e si mescolavano all'odore del mosto e del pane appena sfornato; del fieno nelle mangiatoie e degli escrementi comprese quelle dell'uomo. E sì non sempre c'era l'impianto fognario, la maggior parte delle abitazioni erano corredate di pozzo nero. E anche l'acqua corrente in casa era un lusso che non tutti si potevano permettere. E  avere un bagno tra le mura domestiche arredato con tazza, bidet e lavabo era un miraggio. 

All'epoca dei fatti le donne caricavano le ceste coi panni sporchi e si recavano al lavatoio comunale oppure al fiume. E indovinate un po' quale detersivo usavano?

Ovviamente non c'erano tutti i prodotti che la pubblicità ci suggerisce oggi per la cura della casa e della persona. All'epoca le massaie lavavano panni, piatti e persino i bambini e loro stesse con un bel pezzo di sapone fatto in casa. 

Il sapone era di colore grigio e aveva la consistenza di un pezzo di terra morbida tagliata col coltello, un pezzo d'argilla oleoso prodotto del grasso di maiale e degli avanzi dell'olio bolliti. A questo aggiungevano la “lissja” ovvero una poltiglia fatta con la cenere del focolare. Tutto al naturale!

Comunque, il fumo della legna che bruciava e riscaldava gli ambienti, igienizzava batteri e mitigava il fetore dei bassi quando la vita familiare si trascorreva ai piani inferiori mentre nei piani alti non si avvertiva nessun odore sgradevole.

La cruda descrizione del tempo passato lascia un po' perplessi. M non è degrado anche se oggi la definiremmo tale perché si presenta simile a certe atmosfere maleodoranti e degradate di una qualsiasi baraccopoli venuta su senza un minimo di criterio urbanistico, con fogne a cielo aperto, fuochi improvvisati e cumuli di spazzatura sparse ovunque.

Insomma, se dimentichiamo il tempo storico in cui è ambientato il racconto, verosimilmente potrebbe essere la trasposizione plastica contemporanea di una realtà degradata vista in tv.

 Quando gli emarginati non ce la fanno più e reagiscono in malo modo al sistema imposto dai caporali e fanno notizia. Immigrati regolari o peggio clandestini impauriti e sottomessi. Persone senza tutele che mettono a ferro e fuoco le loro misere baracche. 

Gente ai margini. Donne, bambini e uomini che vivono nelle periferie degradate per necessità.

Per noi non era così. Era casa nostra!

Case costruite secondo i criteri del tempo. Coi muri divisori interni tirati su con canne e paglia rivestite d'argilla e calce; prodotti naturali e ottimi coibentanti, altro che i moderni pannelli in cartongesso.

Era il nostro mondo. Ci si faceva l'abitudine per forza di cose. E poi, il sapore del latte caldo appena munto, il calore del contatto umano, lo scorrere del tempo lento scandito dalle stagioni, il sapore dell'orto, i profumi della campagna. Definirla un'esperienza indimenticabile può sembrare riduttivo.

Cose d'altri tempi!

Tempi di grama ma sempre preferibili a quanto di pseudobuono abbiamo incontrato lungo la strada.

Il progresso ha un prezzo. Amaro e ostico specie se imposto.

sabato 28 settembre 2019

Fari della Calabria, magia di un luogo

La complessa e affascinante origine orografica fa della Calabria un posto magico: monti, valli, colline e prati ubertosi baciati dal sole si prestano a innumerevoli letture di storie vere o presunte. La fantasia percorre e sorvola gli ostacoli con serena lentezza aiutata dalla bellezza dei luoghi.
 La sua conformazione è da sempre la peculiare bellezza di questa lingua di terra che diede origine a storie di miti e leggende. Favole che sconfinano spesso con la realtà e fanno grande il nome “Calabria”.
Briganti, uomini d’onore, contadini, latifondisti, sfruttatori e sfruttati, artisti, letterati, gente comune, intellettuali, filosofi, patrioti, cerchiobottisti … gente che puoi trovare ovunque ma che qui, marchiati a fuoco da nomee ataviche e folcloristiche incutono terrore o, bene che vada, sono osservati con sospetto dai forestieri, cioè, da chi non conosce davvero l’anima dei calabresi. D'altronde la cronaca ama diffondere notizie dal sapore aspro che toccano lo stomaco, infastidiscono e inducono alla reazione rabbiosa, tant’è che uno “scrittore” scrisse: “… apri i cassetti della cucina dei calabresi e trovi solo coltelli…”. Per certa letteratura la Calabria e i calabresi sono sporchi brutti e cattivi…
 ma:
C’era un tempo in cui i calabresi, più corretto dire i bretti, erano costretti ad osservare il mare per proteggersi e preservare i raccolti ottenuti col duro lavoro nei campi da tutta la famiglia, donne e bambini compresi. Sì, dalle continue scorribande piratesche dei popoli africani che s’affacciavano sul mediterraneo i bretti dovevano pur proteggersi!
I greci non furono da meno, e anche se qui fondarono la “Magna Graecia” e riuscirono a creare nell’Italia meridionale, tra Sicilia, Calabria, Campania, Basilicata e Puglia una colonia in cui trasferirono culture artigianali e saperi sconosciuti prima, furono pur sempre degli invasori.
Da contadini e pescatori, il popolo bruzio, contaminato, divenne artigiano, mercante, guerriero. E servì, volente o nolente la “magna graecia”, i bizantini, i romani, gli spagnoli etc.
I promontori lungo le coste divennero luoghi privilegiati d’osservazione. Sorsero torri di guardia, dette “cavallare” perché presidiate da uomini a cavallo, pronti a correre e dare l’allarme in tempo debito per consentire ai paesani di nascondersi, correre nei boschi e sfuggire a tristi destini di schiavitù di saraceni e pirati provenienti dal mare.
Passata la paura degli invasori iniziò l’era dei mercanti. Le navi solcavano il mare jonio e il mare tirreno per approdare sulle coste calabre cariche di mercanzie che scambiavano con olio, vino, formaggi e altri derivati. Nonché ortaggi e grano prodotti sui declivi e nei pascoli calabresi dalle donne e dagli uomini forgiati dal sole e dal tempo trascorso a lavorare sui campi.
A quel punto, in tempo di pace e scambi tra i popoli, fu necessario rendere l’approdo agevole ai viandanti, creare un punto visivo luminoso per evitare, come narrò Omero nella sua Odissea, che le navi dei mercanti facessero la fine dell’impavido Ulisse costretto a fare i conti oltre che con i personaggi mitologici anche con la furia del mare, gli scogli sommersi e le scogliere non segnate nelle mappe nautiche o invisibili di notte. Costruirono i fari. Dapprima i faristi appiccavano dei grandi fuochi nella notte per segnalare la terra ferma che si presentava improvvisa ai naviganti. E col tempo, a passo con le scoperte scientifiche, i fari cambiarono aspetto e tecnologie. La legna fu soppiantata da altri combustibili e le fiamme prodotte, cioè la luce fu irradiata lontana da lenti e cristalli.
Il fascio di luce che taglia il nero della notte, simile ad una mano tesa, accompagna e riceve i viandanti. Li accoglie sulla terra ferma. Terra di storia e cultura: la Calabria!, è luogo di migrazioni forzate e volute. Gente che conosce il sapore della fame. Fame di conoscenza. Gente caparbia che quando crede in un sogno lo porta a compimento costi quel che costi!
Tutto questo e altro si trova nel lavoro di Ivan Comi; filmati, foto, narrazione
Ecco, Ivan Comi ha presentato alla libreria ubik in Catanzaro Lido un documentario sui fari della Calabria, frutto di un lavoro durato tre anni tra terra, fondali incontaminati e cielo terso. Il percorso storico si fa didattico e traccia un itinerario accattivante sul ruolo del faro posto a indicare l’approdo sicuro ai marinai che si trovano al largo dello jonio o del tirreno.
I ragazzi delle scuole elementari e sua figlia Nicole, testimoni e attori del docu-film, hanno potuto sognare seguendo la rotta ideale tracciata da Ivan che inanella di nuova luce il territorio impervio a picco sui mari del mediterraneo.
Ripercorrere i siti dei fari della Calabria e magnificare in uno spazio atemporale le intenzioni dei contemporanei visitatori senza dimenticare le storie di chi ancora li cura con passione: i faristi e la capitaneria di porto preposta, è un’idea creativa accattivante degna di essere condivisa

ivan comi, presentazione documentarioc/o la libreria ubik di cz lido: i fari della calabria

domenica 27 agosto 2017

Piccolo mondo antico

L'invito.

(...)
Su dai fatti vedere. M'invita con voce gioviale Pino. Lo so fa caldo ma qui in montagna si sta bene e poi con la trasversale delle serre si arriva in pochissimo tempo. Venti minuti al massimo. Ti aspetto e sei mio ospite. Ceniamo insieme questa sera.
D'accordo. A stasera.

È seduto nel patio insieme ad un altro signore il mio ospite. Parlano mentre sorseggiano qualcosa nei bicchieri di vetro. Mi dirigo verso di loro e noto che mi guarda con occhi interrogativi.
È trascorso molto tempo. Circa vent'anni se non di più. È chiaro; non mi riconosce nell'immediatezza. Qualche attimo di titubanza e mi viene incontro:

Oh, carissimo. Scusa. Esclama Pino salutandomi con trasporto. Siediti. Prendi qualcosa? È stato difficile trovarmi?

Questo è un mio carissimo, vecchio amico. Stasera è mio ospite! Cena con me.

Mi raccomando. - dice rivolgendosi al gestore del B&B. Un antipastino come al solito, casareccio. Olive, melanzane, zucchine e salame nostrale. Il vino. E la minestra, quella che mi fai solitamente, come si faceva un tempo.

Allora. Torniamo a noi. Mi dice mentre si accomiata dall'ospite e dà gli ultimi suggerimenti al colono che ha in uso gratuito la proprietà.
Vieni, ti faccio vedere la mia casa di campagna. Il mio rifugio estivo. Entra! Io sto qua. È la vecchia casa dei contadini che ho adattato alle mie esigenze. La mia l'ho trasformata in casa d'accoglienza. Le camere le ho dedicate ai miei.

L'antico casolare immerso tra i castagni mi affascina. È un'oasi di pace. Lo sguardo vaga sereno tra il verde cangiante della macchia mediterranea accarezzata dal sole pomeridiano fino all'orizzonte, dove si stagliano le montagne delle serre calabresi. Il verde e l'azzurro predominano nell'ambiente esterno mentre l'ossigeno dell'aria penetra fin dentro le mura e corrobora.

Ecco; questo è il mio tavolo da lavoro. Siediti! -Mi fa accomodare sulla sedia impagliata e si avvicina alla finestra. Tira la tenda-. Che spettacolo! La veduta sul bosco è semplicemente incantevole! Una favola a portata di mano! L'ampio tavolo è invaso da libri in pile ordinate e da fogli con appunti. Sulle pareti, tra la libreria che ne occupa quasi l'intero spazio, le foto dei genitori e le sue in compagnia di studiosi e ricercatori noti nel mondo scientifico e accademico completano l'arredamento.

Usciamo all'aperto. La tenuta è un laboratorio per le nuove generazioni che hanno vissuto solo la città. Un pezzetto di mondo antico da far conoscere.
Lontano dal frastuono tecnologico. Lontano dal rumore dei motori. Nell'assoluto silenzio, intervallato dal cinguettio degli uccelli e dal fruscio delle foglie mosse da un lieve venticello, giunge gradevole il salto dell'acqua che va a rimpinguare l'antico abbeveratoio fino ad adagiarsi quietamente nel laghetto delle papere, a valle.

Il piccolo mondo antico sta tutto lì. Nell'appezzamento di terra tra i boschi delle preserre calabresi. In cui si coltiva frutta autoctona, si cucinano i prodotti dell'orto e si servono le carni allevate in loco.

A pochi metri della casa padronale adibita a b&b, saliti pochi gradini, in un corpo staccato in pietra si contano pochi tavoli, un bel camino e, in fondo, la cucina.

Sono tornati dopo vent'anni dalla Germania, -mi fa sapere Pino gettando uno sguardo oltre il vetro che separa la sala dalla cucina in cui una coppia di mezza età traffica tra i fornelli- sono bravi e ottimi lavoratori. Ho concesso loro in forma gratuita la tenuta. Conoscono il tedesco e per l'inglese intervengo io.

La cena frugale sprigiona i sapori della terra. Nei piatti che precedono la minestra, c'è il giusto apporto calorico dalle tipiche caratteristiche qualità organolettiche locali: Una fetta di mozzarella tutto latte; tre olive nere; una fetta di zucchina grigliata; una fettina di capocollo e una di salame; una ricottina; un po' di funghi sottolio; ortaggi in salamoia; e in tavola una brocca d'acqua fresca della sorgente, una bottiglia di vino e del buon pane casareccio. La minestra vegetale, servita in ciotole di terracotta, è un'armonia per il palato: zucchine, carote, cime e fiori di zucca, sedano e aromi.
La coppia di emigranti è davvero brava. Marito e moglie conoscono le ricette calabresi e preparano i piatti secondo la tradizione.
Come si usava fare un tempo... tra i contadini della Calabria, rapporti umani inclusi.

venerdì 11 agosto 2017

Un milanese del sud che ha fatto strada

È soddisfatto di sé l'uomo: 80 anni; magro, fisico ancora atletico parla delle sue giornate presenti e passate e non nasconde un pizzico di orgoglio nella voce squillante ma non, alta, da infastidire gli astanti.

Ho visto la pubblicità sul corsera e mi è piaciuta subito. Però prima di comprare e investire i venti milioni della liquidazione che mi ero preso appena da pochi giorni ho chiesto in giro. Ho chiamato parenti e amici che mi hanno rassicurato.

Poi, un giorno, siccome facevo la consulenza con una azienda che aveva dei lavori qui al sud, visitai il cantiere: fango, fango ovunque! E come fanno a consegnarmela per giugno? Vuoi vedere che è la solita storia? E mentre pensavo questo e mi rabbuiavo vedo in lontananza un ometto basso. Mi avvicino e gli chiedo; “sapete se … “ non finisco la frase che il piccoletto mi fa: “Uhè Fra' e tu che ci fai qua?”. Era un mio vecchio compagno di scuola che lavorava al cantiere.

Ho comprato sulla carta a Milano e mi hanno assicurato che per questa estate avrei fatto le ferie qui. E le farai! Mi rispose convinto. Vedi quel materiale accatastato? La tua casetta è là. Sono moduli abitativi prefabbricati e in un baleno si montano. Tranquillo. Avrai la tua casa nei tempi stabiliti.
Infatti, le ferie dell'81 li feci qui e da allora non mi sono spostato. Ogni anno inizio da giugno-luglio e finisco a settembre.
Qua c'è tutto quello che serve. Abbiamo il centro commerciale. La rosticceria che cucina i piatti tipici calabresi: melanzane ripiene, peperoni ripieni, polpette, arancini con la 'ndujia. E poi ci sono i campi da tennis e quelli di bocce. L'anfiteatro. E quattro ingressi sulla spiaggia coi punti doccia e le rastrelliere per lasciare le biciclette. Io arrivo in bici. La lego per evitare sorprese e vado al mio solito ombrellone. Siamo otto amici e ogni anno facciamo quadrato.
Insomma; inizio la stagione col costume, pantaloncini corti e maglietta e finisco allo stesso modo.. indosso i pantaloni lunghi e la camicia il giorno che devo prendere l'aereo per ritornare a Milano.

È soddisfatto della propria vita, dei figli, ormai grandi, che vivono in giro per l'Europa con incarichi di prestigio. Se non ho capito male sono dei manager. Gente del sud che si è fatta una posizione su al nord ma che non taglia col passato. Le radici sono conficcate saldamente nella propria terra anche se aspra.
Storie comuni. Storie di persone che hanno tentato la fortuna altrove e che sono riuscite a coronare i propri sogni durante il boom economico degli anni 60 e 70 quando il nord cercava mano d'opera qualificata e da qualificare; giovani diplomati e laureati disposti a sacrificare qualcosa pur di arrivare all'apice delle carriere. E anche se adesso è qui a raccontare con piglio spavaldo la sua ascesa sociale, il tono della voce tradisce un attimo di incertezza, subito motivata da impossibilità naturali o da scelte private, di uno dei figli ancora senza prole. Però, aggiunge, col sole negli occhi e un sorriso smagliante, quando arriva il mio piccolo Niccolò ci facciamo delle interminabili passeggiate in bici e delle partite a tennis memorabili. Ha cinque anni, il figlio di Fabio. Mio figlio. Gli ho fatto fare una racchetta su misura apposta per lui. E quando grida: “Nonno nonno” mi sento felice come non mai.
Credo che questa sia la vera gioia. Senza gli entusiasmi ingenui dei bambini la vita non ha senso! Solo questi ripagano dei sacrifici fatti.

martedì 26 aprile 2016

Ricezione, le cose buone della Calabria


Calabria: uno sguardo verso il mare jonio
 dalla presila catanzarese

Peccato non potere godere del panorama e degli odori della terra di questo lembo di Calabria che si affaccia sul mare jonio.
Piove e il vento è forte. Il maltempo ci impone un'entrata veloce nel casale
Dentro, nella struttura agrituristica, il caminetto è acceso. Nel piccolo salone due tavoli sono occupati da giovani coppie e dai loro figli. E, poco discosti dalle pareti, una sequela di tavolinetti, affiancati l'un l'altro, compongono una tavolata a forma di L.
Prendiamo posto. Inizia la girandola degli antipasti rigorosamente calabresi e prodotti in loco: frittelle di verdure, polpette di carne e di patate, capocollo, salsiccia affumicata, olive, pecorino, fagioli con verdura, fave condite con l'olio extravergine della casa e tante altre buonissime cibarie che degustate divinamente stroncano inevitabilmente l'appetito.
Impossibile, per me, continuare il pranzo e assaporare le altre portate: pasta al forno ripiena; risotto con speck e asparagi; pollo ripieno, tagliata con rucola e filetti di formaggio...


Questo è solo un assaggio, dell'agriturismo e delle sue peculiarità parleremo inseguito in un post ad hoc.

Per il momento diciamo che è a pochi minuti da Catanzaro e a due passi dalla ss 106, sulle colline che portano nella presila catanzarese e che, da quanto ho potuto constatare in questa prima visita, vale la pena scoprire, apprezzare e divulgare.

giovedì 31 ottobre 2013

come eravamo: I Braccianti in Calabria, di Ledda e Veltri

Dicembre 1983; da appena un mese è uscito il libro di Quirino Ledda e Filippo Veltri:
©aore12blog

I braccianti in Calabria” è la testimonianza storica difficilmente fruibile sui media massificati ma circoscritti dagli interessi del capitalismo, dei latifondisti e dalle forze politiche avverse che, in quegli anni, detenevano il potere politico.

La raccolta, con prefazione del prof. Saverio Di Bella, copre uno spazio temporale che va dal 1970 al 1980 raccontati attraverso 140 scatti degli autori, immagini in bianco e nero di vita quotidiana e di lotta per i diritti sociali.

Quirino, all'epoca, ricopriva l'incarico di consigliere regionale del PCI in Calabria, con alle spalle un passato di segretario della federbraccianti cgil calabrese.

Filippo Veltri era un giovane giornalista, redattore dell'Unità. Ha scritto anche per il Giornale di Calabria e il quindicinale “questa Calabria”.

Entrambi appassionati di fotografia regalano scatti pieni di pathos di un mondo ormai, per i più, morto. Consigliatissimo, comunque, alle nuove generazioni ed a quanti hanno resettato la memoria e rimosso sofferenze e sogni dei calabresi contaminati da sano sciovinismo e un pizzico di enfatica demagogica certezza ugualitaria.

venerdì 3 maggio 2013

gelato al cioccolato? nero modicano di Antonio cosentino al Marrons Glacès in Catanzaro Marina

"nero modicano", il nuovo gusto al cioccolato
del maestro Antonio Cosentino
25 anni sono trascorsi da quando Tonino e Gisella hanno iniziato la loro avventura fatta di passione e coerenza. Tonino è un pasticciere che, dopo la cosiddetta “gavetta”, è riuscito ad aprire una sua attività artigianale affiancato amorevolmente dalla cara consorte Gisella.

È orgoglioso del suo impegno e non disdegna di raccontare di quando si intratteneva oltre il tempo pattuito per l'apprendistato nei laboratori di pasticceria.
Ha lavato utensili e sbirciato le movenze dei maestri pasticcieri per carpirne i segreti fino a quando lui stesso è stato messo a lavorare gli ingredienti e fare le prime paste dolciarie.

Il giovane Tonino è cresciuto. E nel frattempo ha saputo unire passione e volontà. È diventato un piccolo valente imprenditore locale. Con lui lavorano le figlie, la moglie Gisella e alcuni commessi.
Definirlo un'eccellenza nella lavorazione della pasticceria nonché maestro gelataio non è un'esagerazione.

La passione lo spinge a sperimentare continuamente. Nel suo laboratorio le alchimie non cessano mai di stupire e accalappiare i palati più esigenti.

Quest'anno è il “nero modicano” il nome del gelato al cioccolato appena creato appositamente per festeggiare i 25 anni di attività del Marrons Glacès, questo il nome della sua pasticceria, situata sul lungomare di Catanzaro Lido.

È un gelato a base di cioccolato di Modica con aggiunta di granelli di zucchero grezzo e altre spezie che il nostro pasticciere tiene gelosamente segrete. Ma a noi poco importa. Quel che conta è il piacere che il gelato sprigiona a contatto con le papille gustative e i rimandi aromatici dei retrogusti abbinati magistralmente dal maestro Antonio Cosentino.

venerdì 29 marzo 2013

Calabria, abbazia Santa Maria di Corazzo, Carlopoli

Tra Carlopoli e Soveria Mannelli.
la mia Calabria: tra i resti dell'abbazia di Corazzo


Nella campagna di Carlopoli, piccolo centro calabrese a due passi da Soveria Mannelli, in località Castagna, nel bel mezzo di prati coltivati a grano, sonnecchiano, dimenticate tra le macchie mediterranee, sobri ruderi della prima architettura romanica.

Sono i resti dell'antica abbazia di Santa Maria del Corazzo.

Un luogo aperto a chiunque e privo di tutele, che stuzzica la curiosità storica e fa riflettere sul tempo dell'uomo, sulla laboriosità e sulla spiritualità che ancora aleggia nell'aria. Basta socchiudere gli occhi dopo aver osservato i resti per vedere nella propria mente il maestoso edificio ormai ridotto a rudere.
Sono proprio i ruderi che permettono di immaginare la maestosità dell’abbazia e la sua centralità sociale nel medio evo tra i boschi silani.

I resti delle camere dei monaci, i magazzini, i locali per la foresteria, la cappella per i visitatori, la farmacia, il refettorio, i magazzini, insomma, tutto quanto serviva alla comunità religiosa dei benedettini, nonché l'intervento sul fiume Corace, deviato per irrigare i campi e per le necessità idriche del convento.

La cronaca monastica testimonia la presenza dell'illustre monaco fra' Giocchino da Fiore, e la stesura delle sue opere più belle e significative ad opera di esperti amanuensi del pensiero gioachimita.

lunedì 27 agosto 2012

Calabria, il carattere di una regione

Svegliarsi ogni mattina con uno scenario simile davanti agli occhi non ha prezzo!


Ogni scarrafone è bello a mamma sojia.
Il bimbo è sempre bello agli occhi della madre. Quindi, perché stupirsi se i calabresi difendono coi denti la propria terra?
Una terra bellissima!
Descritta da Omero, Cassiodoro, Douglas e dai contemporanei che la visitano e rimangono incantati difronte a tanta bellezza.
Va beh, c'è qualche depuratore che non funzione; la raccolta differenziata inesistente e tantissimi soldi che girano attorno all'affare ecosistema. Quisquilie che navigano nel mare della politica al sud come al nord da sempre.
Se a questi problemi sommiamo i giochi sporchi di certi affaristi, l'affaire si trasforma in gestione disinvolta da imputare a ecomafie e affini. Ingredienti buoni per scoop giornalistici e antagonisti politici che fino all'altro ieri hanno governato e mantenuto gli stessi standard qualitativi ambientali perché preoccupati di assegnare incarichi a commissari incompetenti o comunque obbedienti alle direttive di chi tira le fila.
Il caso ilva o italsider, come si preferisce denominare o ricordare, ha inquinato per anni Taranto e ucciso lavoratori e cittadini che hanno vissuto sotto la cappa delle ciminiere dei grandi impianti siderurgici mal bonificati per via dell'enorme spesa che avrebbero dovuto affrontare i proprietari dell'azienda, è significativo.

In Calabria non ci sono grandi industrie da proteggere che consentono di trincerarsi dietro il metodo machiavellico del fine che giustifica i mezzi, cioè, il mantenimento del lavoro a scapito dell'ambiente (ma anche questa è una scusa), forse c'è qualche piccolo predatore che gioca a fare l'ammiraglio nel mare nostrum e questo non è ammissibile.

martedì 1 novembre 2011

sbirciando qua e là

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Dai monti al mare in 15' tra natura e archeologia

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