Digitalizzare un concetto e renderlo visivamente fruibile donandogli corpo e dimensione virtuali equivale a de-materializzare la struttura fisica dell'opera d'arte tradizionale.
In antitesi al gesto plastico-pittorico, il fare arte digitale significa nel lessico corrente, comunque creare qualcosa di inesistente, nuovo, per lo più dare senso e volume ai manufatti corposi “ingombranti” sulle piattaforme informali de-strutturandone i supporti fisici. Inscenare, in sintesi, la grande bugia visionaria in pixel e non coi mezzi pittorici usati fin dall'antichità.
Nessun supporto che abbia corpo specifico, quale carta, legno, tela, rocce o cemento.
Esternare e rendere visibili mondi personali anche in pochi centimetri di spazio con le nuove tecnologie che abbiamo a disposizione è una possibilità d'espressione da considerare.
Distorcere i pixel e le cromie che li compongono, implementarli con la fantasia, disegnarci sopra e
Conferire realtà tematiche inodore ai pensieri socializzanti attraverso il lessico che accomuna giovani e adulti non necessariamente smanettoni è uno strumento in più che può essere usato magistralmente oltre che nella cinematografia d'autore anche nella narrazione segnica.
Gli effetti virtuali superano gli ostacoli fisici connessi alla mortalità e vi si innescano affiancando il filo narrativo della finzione senza consumare materia e “sporcare”. Impalpabili mondi pregnanti di allegoriche figure dialogano con lo spettatore. E si offrono al pari di un bel dipinto eseguito con i pigmenti estratti da fonti naturali o sintetici secondo i canoni costruttivi cari agli accademici o, poiché l'accademismo è soverchiato dall'arte contemporanea che sembra disattenderli, forte di quella anarchica scintilla creativa che ebbe inizio in Francia en plein air a metà dell'800 sviluppa e propone nuovi lessici.
Le opere d'arte materiche occupano spazi fisici; Invadono case, piazze e musei, ingombrano coi loro volumi imprescindibili persino gli ambienti di lavoro dei creativi fino a renderli inagibili. … capannoni, case, spazi chiusi o all'aperto si saturano a seguito del lavoro creativo che, come un fiume in piena, non si arresta mai, anzi, si gonfia e tracima oltre i margini fisici inizialmente auto-imposti.
L'arte inquina?
“Fare arte” creare è una condizione dell'anima! E chi è contaminato dal sacro tarlo della creazione capisce cosa intendo. La creatività è energia. Forza propulsiva che imprime moto. Azione!
Impossibile stare fermi quando si ha dentro tale energia. Non si può abdicare. Smettere. Dire basta! È impossibile. Lavorare è un imperativo assoluto più forte di qualsiasi altra determinazione. Si può smettere di fumare, recidere qualsiasi altro “vizio” andare controcorrente ma non contro natura, staccarsi da ciò è impensabile!
Intanto i lavori si accumulano. Fanno lievitare la montagna rosicchiando spazi logistici d'azione vitali fino a inibire persino l'accesso nella stanza da lavoro.
Che fare? Gli spazi fisici, come già detto, sono occupati dalla se pur poetica quanto ingombrante ricerca polimaterica imperniata sui linguaggi metropolitani e le derivanti scorie.
Uno, due, tre giorni di fermo totale imposto dalle circostanze è d'obbligo. La mente però lavora! Il corpo, gli arti, le mani non possono seguire i voli pindarici. I progetti rimangono sospesi, accatastati al pari delle opere nello studio danno la sensazione di cadere dagli scaffali e rovinare a terra da un momento all'altro
Sento la mancanza della fucina, l'odore della pittura e prima ancora la corposità materica degli elementi che compongono la plasticità dei lavori; gli assemblaggi cuciti, maltrattati, lacerati e rinsaldati.
La necessità di esternare concetti e pensieri inespressi mi opprime.
Focalizzare creazioni oniriche. Sviluppare dialoghi. Proporre intimità. Narrare non più attraverso la materia ingombrante ma con altro medium che consente di de-materializzare il lavoro. Sospendere l'artigianalità del lavoro e riproporlo in forma digitale. E stamparlo.
Rispolvero il programma di digitalizzazione fotografico e ricomincio a giocare con le immagini, il colore, il gesto, la grafia per non morire d'inedia.
Le immagini digitali, strutturate e veicolate secondo i canoni linguistici creativi assumono corpo nei pixel dello schermo e consentono di proseguire il percorso intrapreso tantissimi anni addietro.
Il distacco momentaneo dalla materia e dal colore pesa ma il ritrovato impegno narrante, de-materializzato ravviva la dialettica creativa e la ricerca semantica assume nuove vesti formali.
La nuova narrazione digitale de-materializza l'opera e dà la possibilità di divulgarla capillarmente; consente di offrire il prodotto dell'ingegno privo di copyright in ossequio alla pluralità del web a chiunque voglia interagire. Rendere fruibile la nuova narrazione non per scopi commerciali o di lucro ma per mero interscambio semantico mirato alla crescita culturale collegiale intellettualmente pura, avulsa dalle rincorse edoniste dissacranti contaminate dai rimandi a effimeri feticci pubblicitari ammiccanti che, a seconda dei casi, sussurrano o urlano artificiosi mondi plasmati dalla blasfemia imperante degli interessi privati.
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