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Il sole picchia sulla spiaggia deserta e gli ombrelloni sonnecchiano scossi da leggeri aliti di vento. Anche l’uomo seduto sotto l’unico ombrellone aperto sonnecchia. Il bagnino chiude le sdraio vuote e le poggia di fianco l’un l’altra, le allinea diligentemente seguendo uno schema predefinito che non si scosta minimamente dagli altri insediamenti balneari limitrofi. Se non fosse per la varietà di colore, che distingue gli insediamenti l’uno dall’altro, sembrerebbe di essere in un unico stabilimento balneare chilometrico.
Ma, quanto prima anche qui sarà la stessa cosa –dice la signora all’amica- pare che una società del nord abbia messo gli occhi su questo posto e poi, addio spiaggia libera! Neanche questo metro quadrato di spiaggia ci lasceranno! – E accende l’ennesima sigaretta con stizza- Ha lineamenti ben disegnati la signora petulante: naso piccolo, occhi leggermente a mandorla, capelli curati… Il reggiseno copre appena i capezzoli irti, anzi sembra che siano loro a puntellare la stoffa sottile memori di un antico pudore.
Il corpo, color ambra, vive attimi propri: con estrema delicatezza, le dita delle mani ben curate tirano giù le spalline del reggiseno, infilano tra i glutei il microscopico slip e ungono con un intruglio arancione quella parte di territorio intimo appena scoperto. Più in là, poco discosti, due fanciulli giocano sulla battigia. Il maschietto lancia pietre nell’acqua, la ragazzina impasta della sabbia fine, l’appallottola e tenta d’infilargliela nel costume. Tra urla e risate cadono in acqua. Gli schizzi infastidiscono le due bagnanti che atterrite irrigidiscono i muscoli.
Noo i capelli nooo ho fatto cinque ore di fila dal parrucchiere nooo basta! Samantha! Thomas! Smettetela!, basta ho detto basta!, non schizzateeee! Se v’acchiappo… Buon giorno Cavaliere! Ragazzi!, smettetela che bagnate il Cavaliere…
Ma il Cavaliere, per tutta risposta, alza la mano e prosegue. È taciturno oggi il Cavaliere! Solitamente scambia convenevoli, racconta qualche aneddoto; invece, oggi, cammina lentamente sulla battigia con la testa bassa. Immerso nei suoi pensieri osserva i suoi piedi comparire e scomparire nei giochi d’acqua e sabbia. L’orma dura un attimo. L’abbraccio molle dell’acqua avvolge i piedi, cancella i segni e rilassa i nervi. Il moto è simile alle nenie tribali propiziatorie, quando, in cerchio, le tribù danzano seguendo lo sciacquio del bastone della pioggia agitato dagli sciamani sulla terra arida dell’Africa. Sì, lui è stato anche in Africa. L’odore acre dei carri impregnati del sudore di uomini e animali è una sensazione ricorrente. Gli ritorna alla mente spesso, specie quando vede alcune scene in tv; ma ora, quell’odore acre e pungente gli penetra davvero nelle narici.
La carretta del mare si è spiaggiata all’alba. Oltre la piccola duna, alla foce del Beltrame, pochi stracci abbandonati testimoniano il passaggio furtivo dei profughi. E, tra le povere cose disseminate sulla spiaggia un pezzo di legno, grossolanamente sbozzato, attira la sua attenzione. Lo raccatta. Lo rigira tra le mani mentre ne valuta la consistenza: è pesante! Le linee degli occhi e della faccia sono incavate ad eccezione del naso e delle grossa labbra che sbalzano di poco. Uno scudo a forma di uovo istoriato protegge il corpo.
Gli alti tigli sfiorati dal vento agitano lievemente i rami; le foglie vibrano; i tronchi flessibili ma fermi sembrano cullare pensieri antichi nell’azzurro del cielo. La scenografia avvolgente dello spettacolare teatro naturale accoglie creature libere, chiassose. Il coro degli uccelli, delle cicale e dei grilli è infastidito da un miagolio sommesso. Non segue il ritmo naturale del coro: è un linguaggio a sé, estraneo e lontanissimo dalle spensierate melodie agresti. Il cavaliere tende l’orecchio; s’avvicina alla fonte e, oltre il cespuglio, un fagottino di stracci bagnati sussulta affianco al corpo inanimato di un adulto.
Il cucciolo d’uomo piange! Accasciato, il piccolo, stringe la testa dell’anziano naufrago. Gli accarezza il volto mentre ricompone i capelli stopposi che lo ricoprivano. Non può fare altro! È impotente davanti allo scempio di vite disseminate tra le misere cose che possedevano. Rivolge lo sguardo verso il nuovo arrivato: rivoli di lacrime solcano le sue gote paffute. Ha occhi celesti; riccioli neri e pelle d’alabastro il piccolo naufrago.
Il cavaliere urla verso la spiaggia il suo grido d’aiuto. In pochi attimi, i bagnanti diventano spettatori attoniti di quel che resta di un esodo della speranza.
Povero piccolo chissà chi sono i genitori. Vieni vieni …andiamo… no no …portate un po’ d’acqua… chiamate l’ambulanza… il 113.
Nel parapiglia generale, il bambino passa di braccio in braccio. Le signore lo coccolano nel tentativo di calmarlo. Lui si dimena. È terrorizzato! Non vuole abbandonare la sua gente, i suoi cari lì su una terra sconosciuta.
La figlia di un venditore ambulante, uno dei tanti che percorrono le spiagge per qualche centesimo, anche lei con la cassettina di ninnoli, dice qualcosa e sorride al piccolo naufrago. Il bimbo si calma. La signora, sollevata, allenta la presa, lo lascia con la bimba e va a curiosare altrove.
Gli ululati delle sirene si fanno sempre più distinte. Il suono diventa pungente e,in una nuvola di polvere, appare una macchina del pronto intervento.
Gli uomini della polizia si danno subito da fare: allontanano i curiosi e transennano con del nastro bianco e rosso la zona.
Il cavaliere è il primo ad essere sentito dalle forze dell’ordine. Arriva anche l’ambulanza. I sanitari constatano amaramente che non c’è più nulla da fare e lo trasmettono alla sala operativa. No no aspettate, interviene una ragazza, c’è un bambino… Dov’è il bambino? Il bambino dagli occhi celesti color cielo con quei riccioli neri, la pelle d’alabastro… dov’è?
Spiaggia di Caminia, ore 18,30
La ragazza col motorino, quella dell’inizio, ricordate?, è puntuale: parcheggia e s’incammina verso la piazzetta.
Al bar del Blanca, seduti sotto un gazebo, alcuni ragazzi cazzeggiano. Il mega schermo trasmette musica life.
Ei ragà come ve bbutta oggi stò a pezzi non ho chiuso occhi mi madre che rompe che devo dormì de giorno a solita piattola che ppalle ‘ste mamme. Baci baci smack smack… lo avete saputo che hanno riaperto il Tempio di Atlantide? Nooo daveru Allora tutti al Tempio stanotte…
Però, quanto so’ affettuosi ‘sti ragazzi èh? –commenta un’anziana signora che osserva la scena dal suo terrazzino- e poi dicono che non hanno valori che i ragazzi hanno perso ogni voglia di vivere e pensano solo a divertirsi nelle discoteche. Guarda con quanto affetto si salutano, si abbracciano con trasporto… Nonna nun stà a dì fregniaccee tu manco li conosci…
Sul mega schermo del Blanca un’edizione straordinaria del telegiornale interrompe l’esibizione del cantante: coppie di anziani salvati in extremis dalla morte… …proiettili all’uranio impoverito e l’uso di utensili contaminati la causa delle morti sospette nella missione di pace… Le immagini del disastro sono più eloquenti delle parole del bravo cronista: ammassi di mattoni, ferri contorti, mobili maciullati in bilico sui solai dimezzati e, tra le macerie, ragazzi sporchi che raccattano qualcosa di utile.
Ragazzi di ogni età, se ancora si possono definire ragazzi quando sono costretti a guadagnarsi la vita come delle persone adulte, scavano tra le macerie in cerca di cibo e che non esitano ad arraffare generi di qualsiasi tipo da barattare.
La macchina da presa circoscrive l’inquadratura; zumma su un esserino piccolo, scalzo, che saltella tra le macerie: si ferma e scava. L’operatore indugia con la telecamera su di lui: fa un primo piano. L’esserino, si volta, si passa il dorso della mano sugli occhi e spalanca due spicchi di cielo color celeste. Sorride all’operatore e continua a scavare in cerca di qualcosa, per lui importante.
Baastaaaa!!! Basta con queste stronzate vogliamo musicaaa cambiate canale buuuuu –urlano i ragazzi-
Inizia ad imbrunire ed il cielo si carica di nuvole. Qualche goccia cade violenta sul coro di voci. – niente paura ragà è il solito acquazzone estivo mò passa.
Gli ultimi bagnanti raccattano gli asciugamani e corrono verso la tettoia del lido. La pioggia cade violenta. Qualcuno corre a rifugiarsi in macchina.
Povera gente! Pensa se piove anche da loro: danni su danni. Il tempo a volte è inclemente. Quando la butta non risparmia nessuno; se c’è un riparo a disposizione ti copri altrimenti…
D'altronde, non è la natura a provocare le guerre, al massimo ti provoca un terremoto, ma anche le scosse sismiche si possono prevenire: basta un po’ di buon senso e onestà nel programmare e costruire gli insediamenti urbani…
Ricordo il terremoto di Reggio Calabria del 1908, più che un ricordo vero e proprio è un sogno. –dice un signore avanti negli anni- mio padre me ne parlava spesso. Reggio e Messina sono zone a rischio e lì devono stare molto attenti! Mio padre era un giovanotto a quei tempi e aiutò i suoi paesani, qualcuno lo ospitò anche. Quello che lo angustiava, e me lo ripeteva spesso, era di non essere riuscito a salvare un ragazzino piccolo. Lui, papà, sentì una vocina leggera leggera provenire da sotto un cumulo di macerie; si diedero da fare in molti ma quando lo liberarono…: era maciullato!, solo la faccia aveva intatta, neanche un graffio: gli occhi aperti, sereni, di un colore celeste brillante con dei riccioli neri che gli incorniciavano un viso bianco e roseo, sembrava di porcellana tanto era bello…
Il cielo è cupo. Le nuvole hanno rovesciato il fardello d’acqua ma ancora stanno lì, stazionano sulle colline del golfo di Squillace. Ai ragazzi poco importa!, hanno deciso di trascorrere la notte al people; la discoteca è a pochi minuti da Caminia; 10 km, direzione Catanzaro. Oppure al cafè solaire sul lungomare di Soverato.
non piove più da qualche ora: le famiglie sono rientrate nelle rispettive case e i ragazzi continuano a valutare come e dove trascorrere la notte. Organizzano le macchine, l’ora e il luogo dell’incontro. Mezzanotte: ci sono tutti tranne Sabry. Jenny le manda un sms. Passano i minuti. Sabry arriva con un ritardo di un’ora abbondante. ‘Si cazzi dovrebbero ‘ncomare per legge tutti i genitori che rompono i coglioni!, perché non stai a casa dove vai con chi sei? uffa che rottura. Allora!, si và? tutti in macchina viaaa…
Il falò illumina la spiaggia. Le pigne raccolte nella vicina pineta scoppiettano. Frizzanti palline di fuoco brillano per pochi attimi, danzano nel buio e poi si spengono cadendo.
Cori stonati imbrogliano le parole originali del testo.
Risate, miste ad acuti urli in falsetto coprono le corde della chitarra. Qualcuno fuma. Aspira e passa la sigaretta. L'odore dolciastro si spande nell'aria. Qualcuno tossisce, qualcun'altro ride. Alcuni si rincorrono. Sbocciano alcuni amori. Baci appassionati, scambiati senza remore davanti agli amici inclementi che esternano ilarità giocosa e chiassosi fischi d'incitazione.
La luna piena si riflette nelle acque calme dello jonio. La sua luce pallida rischiara qualcosa. Lentamente la macchia si fa più nitida: sembra una barca! No è un gommone grande. No è una zattera, sì una zattera alla deriva. Ma c'è qualcuno là sopra. Guardate si buttano in acqua. Improvviso, un faro illumina la zona. Nessuno può sfuggire. I mezzi della capitaneria di porto controllano i clandestini. Uomini e donne, bambini e qualche anziano vengono issati a bordo delle motovedette mentre un elicottero perlustra dall'alto. I naufraghi sono spossati. Ringraziano e chiedono aiuto in un italiano stentato. Il capitano chiede notizie. Nessuno capisce o sa dare risposte. Non si conoscono gli scafisti; forse sono nascosti tra i naufraghi oppure sono scappati dopo averli trainati fin sotto la costa. Trasmette il tenente per radio. La solita storia!
Sguardi carichi di paura invocano aiuto; si rivolgono speranzosi ai salvatori. Le madri stringono a sé i bambini e le poche cose di proprietà. Gli uomini sono dall'altra parte, con gli anziani e osservano. Osservano guardinghi ma fiduciosi.
Il capitano ha l'ordine di non farli sbarcare fino a nuovo ordine. Ma loro non lo sanno. Sperano che le loro sofferenze siano alla fine. Hanno bisogno di cure fisiche e morali. Ma nella loro estrema dignità, aspettano silenziosi.
Passano le ore. Le fiamme del falò sono basse. I ragazzi guardano in direzione dei naufraghi. Anche loro aspettano di vederli da vicino; aiutarli a scendere. Parte della comitiva organizza l'accoglienza procurando beni di prima necessità: acqua, pane, biscotti, latte, chiesti e donati dai commercianti in attività vicini allo sbarco. Hanno raccolto un bel po' di roba e aspettano.
L'aurora li trova tutti lì, naufraghi e soccorritori. Fermi nello stesso punto. I ragazzi sulla spiaggia attizzano il falò: il freddo della notte si è fatto sentire; sono stanchi ma non vanno a casa. Parlano, si scambiano opinioni:
Chissà poverini quanto avranno sofferto... ma quale sofferto!, quelli vengono qua a rompere le palle a noi, mio padre dice che da quando ci sono loro non funziona più nulla: il commercio non tira perché loro offrono roba che fa cagare a pochi centesimi e la gente pur di risparmiare se la compra; li trovi dappertutto nei cantieri edili, nei campi a raccogliere pomodori... Sì è vero!, ma sai quanto sono pagati? Lavorano 10, 12 ore per neanche venti euro al giorno! Sono impiegati nei lavori più umili e faticosi. I nostri imprenditori li trattano come trattavano noi Italiani all'estero. Ho sentito storie di emigranti che hanno sofferto ogni tipo di vessazioni in Svizzera, Germania, America, Argentina e persino in Brasile. Il dopoguerra è stato un periodo triste per i nostri padri, come lo è oggi per questi poveri cristi che non hanno di che sfamarsi.
Il sole inizia a scaldare l'aria. Qualcuno desiste:
Sciiao ragà vado a casa che sennò chi li sente i miei fatemi sapere, ci sentiamo... ssì vabbè sciaoo.
Intorno alle 9, la spiaggia si anima: famiglie che scendono a mare e ambulanze pronte per eventuali emergenze.
Il battello si muove. Il comandante ha ricevuto l'ordine di accompagnare i clandestini nel centro di accoglienza di S. Anna, nei pressi di Crotone. La notizia si sparge a macchia d'olio. I profughi confabulano. Il più anziano chiede chiarimenti. Qualche giovane si butta in mare; molti lo seguono. L'acqua ribolle sotto gli occhi attoniti delle donne e dei bambini rimasti sul battello.
Il comandate parla al megafono: tranquilli! State tranquilli! Vi accompagniamo in un centro di prima accoglienza. Non sarete rimandati indietro. State tranquilli. Salite sulle scialuppe! I più forti riescono ad arrivare a terra; e lì, in braccio alle forze dell'ordine che, prestate le prime cure, sono radunati sui pullman diretti a Crotone.
È mezzogiorno nel centro d'accoglienza. La mensa è allestita. I nuovi arrivati fraternizzano. Finalmente mangiano dopo lunghi interminabili giorni di digiuni. Un bimbo dagli occhi celesti e dai riccioli neri tende la scodella per un po' di riso; non ha madre né padre vicino a sé. È giunto lì, non si sa come e con chi; nessuno l'aveva notato durante la traversata. Il piccolo uomo si siede con gli altri ospiti del centro. Nessuno parla ma si osservano. Portano il cibo alla bocca e masticano lentamente. Chissà cosa pensano. Probabilmente, noi occidentali, nelle loro condizioni, penseremmo di essere estremamente sfortunati; il nostro egocentrismo ci porterebbe a rendere unico il nostro stato come se l'altro, il compagno di viaggio, non vivesse le stesse sofferenze. Vedremmo ostilità inesistenti ovunque e saremmo lì lì per scattare al primo segnale d'insofferenza.
Già, l'insofferenza! Quanto fastidio comporta l'attesa dal medico; l'appello di un esame; il mancato riconoscimento di un diritto elementare a noi mentre loro, i migranti stando alle notizie: hanno iniziato il viaggio da 8 mesi. Mediamente, ad ognuno, è costato 8000 euro. Ottomila euro per viaggiare peggio delle bestie e arrivare in una società altamente evoluta che con moltissime probabilità darà loro pochissime chance. La democrazia è sulla Carta!, come il diritto alla vita e la tutela delle minoranze etniche; l'ospitalità e la fratellanza.
Quante storie dietro ognuno di loro; dentro quelle teste dignitose. E quante persone care hanno fissato quegli occhi! Figure che li accompagnano in silenzio. Scolpite nella memoria…
Ehi! Ehi! Rispondi c'è un messaggino! Mi chiamo viirgoola sono un gattino...: c vdmo stasera solita ora tvttb manù.
Vabbè và a stasera. Sciaoo.
Ragà era Manu dice che ci becchiamo stasera al solito posto. Ma voi avete dormito?, io neanche un'ora! Avevo d'avanti quella zattera a pelo d'acqua piena di gente. E smettila cu sta lagna! Finiscila và... 'sta storia mi deprime. E comunque non ci voglio pensare! Pensiamo ch'è estate! Punto! Pensiamo a divertirci cazzo!, che per la rottura di coglioni abbiamo tempo. Già bastano i miei vecchi a frantumarmeli con le solite menate.... Allora le facciamo 'ste squadre? Dai facciamo la conta: Barby Fede Riki Peppe.... da questa parte con me. E chi perde paga il gelato! No chi perde procura l'erba. Ma và và quale erva!, mi vinna Massimu Ranieri cu l'erva da casa mia, vida duva ai e jira và. Ricogghiati!
La sabbia fine è rastrellata ed il campo di pallavolo delimitato da nastri colorati. Corpi più o meno atletici si esibiscono. Le ragazze sfoggiano grazia e allegria mentre i maschietti esternano passionale mascolinità di gioco. I ragazzi sono irruenti. Si tuffano e mangiano sabbia pur di fare punti. Le ragazze, con molta grazia, limitano le evoluzioni alle alzate o a qualche sporadica schiacciata.
Ad ogni punto guadagnato scoppia lo sfottò per chi lo ha subito. I momentanei vincitori accerchiano gli avversari; li deridono benevolmente e si riprende a giocare con enfasi.
Il sole picchia. La sabbia si attacca ai corpi sudati. I ragazzi si fermano. Scambiano occhiate d'intesa. Acchiappano il più debole e splasc in acqua!L'acqua ribolle. Sembra di assistere alla pesca dei tonni. Lottano; si fanno calate; schizzano e si rincorrono. Basta! Ragazzi smettetela! Intima il bagnino. Disturbate i bagnanti.
I bimbi fanno castelli di sabbia. La loro pelle è color oro. Un bimbo, accovacciato, riempie con la palettina il secchiello. Aggiunge dell'acqua con l'innaffiatoio; passa il dorso della manina sulla fronte; scosta i capelli e apre due spicchi di cielo su una donna bellissima: mammina è buona adesso la formina? La donna socchiude il libro, tiene il segno col dito e: sì tesoro, credo che dovrebbe andare bene. Vuoi il succo di frutta? No mammina voglio un gelato! Ok, sciacqua le manine che andiamo al bar.
È una bella giornata estiva. Il sole è caldo ma non scotta. L'acqua del mare è alla giusta temperatura e nel cielo neanche una nuvola. Disteso, sulla sdraio con lo schienale rialzato, un signore osserva la distesa fluida che ha d'avanti: a ore 12 la calma piatta del mare concilia la riflessione; anzi, acquieta i pensieri, li narcotizza. L'azzurro cristallino del vicino fondale attrae, prende per mano e porta il corpo astrale a mescolarsi nell'infinito. A raccogliere sogni; interagire; cullare, vezzeggiare e incoraggiare tutta quella miriade di sogni rimasta a metà. Sogni mai nati per pigrizia o perché osteggiati. Sogni infranti; spiaccicati, annichiliti da realtà mercivendole. E bearsi, godere appieno dei sogni che hanno trovato spazi e luoghi per crescere, formare uomini e cose.
Il pedalò scivola verso la scogliera di Copanello. Due ragazzi pedalano e, alle loro spalle, le compagne battono il tempo. Tamburellano con le mani sui sedili mentre scandiscono secchi uno!, due! Uno! Due!
La spiaggetta di Caminia, tra Pietragrande e Copanello, è accessibile solo via mare. In quel tratto, la costa è a strapiombo. Solo pochi fortunati proprietari, che hanno costruito in tempi remoti, possono adoperare ripide scalinate corrose dalle intemperie.
I ragazzi spiaggiano il pedalò nella piccola ansa e compongono le coppie al riparo da occhi indiscreti.
Tra gli scogli, sbocciano i primi timidi inebrianti approcci dei giovanissimi liceali: lei, timida lascia ciondolare le braccia lungo il corpo esile; lui impacciato, le prende la mano per abbandonarla subito dopo.
Boccioli appena schiusi, le labbra sfiorate da leggeri aliti alla scoperta di territori ignoti. Le giovani membra, scosse da fremiti nuovi, vibrano.
La ragazza si scosta dal contatto giunto ad uno stadio estremo. Scappa via. Singhiozzi, misti a brividi inconsueti, pervadono la sua pelle al primo appuntamento. Lui tenta di fermarla…
Sulla sabbia calda gli asciugamani stesi mantengono il calco informe dei corpi dell'altra coppia. Una coppia storica: stanno insieme dall'elementari. Osservano gli amici e sorridono alle loro timide incomprensioni.
Saltellando sui gradini sconnessi, un bimbetto riccioluto, si avvicina. Sorride e tende la manina. Tieni dalle questa! E porge una rosa al ragazzo. L'imbarazzo è annullato! occhioni sinceri spalancati sul mondo, anticamera di una nuova era, infondono amore e annullano le distanze.
(© mario iannino)
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