I due compari lavoravano alacremente.
Si dovettero fermare e puntellare le pareti per evitare di essere
sommersi prima di poter continuare a scavare.
La buca fognaria comunale era situata tra le vecchie case del
borgo in una stradina stretta ma talmente stretta che consentiva alle
comari di scambiare il lievito per fare il pane e altre cose utili
dai balconi.
Gli uomini lavoravano in silenzio
dall'alba. Ad un certo punto il più anziano si fermò. Passò il
dorso della mano sulla fronte e guardandosi attorno valutò che
potevano smettere di scavare. È profonda abbastanza! -disse-
Sì. -acconsentì l'altro- Possiamo
posizionare le tubature e finalmente da oggi in poi la si fa da gran
signori ah ahah ah... -concluse con una grassa risata-
All'epoca dei fatti i servizi igienici
erano situati fuori dalle abitazioni, sul ballatoio o dietro la porta d'ingresso. Qualcuno, tra gli agiati,
svuotava il pitale in un buco nel pavimento che sfiatava giù in
cantina.
Un tempo, all'incirca fino negli anni
cinquanta, quasi tutte le case dei borghi rurali erano provviste di
“katojio”, una sorta di magazzino utile per albergare l'asino,
accatastare la legna, il fieno e allocare la fossa biologica. E chi
nn aveva lo scarico dei liquami interno, durante la notte, sovente
svuotava il pitale dalla finestra.
L'acqua in casa era una chimera; un
sogno avveniristico come il telefono senza fili fino a qualche
decennio addietro. I bidoni o le taniche di plastica erano ancora
sconosciuti e solo qualche secchio di latta, riempito alla fontana
pubblica, fungeva da riserva per le abluzioni corporali.
E i rifiuti? I rifiuti non erano una
emergenza ma una risorsa. Persino “a brodata” l'acqua scaldata
per lavare piatti e pentole diventava alimento per maiali.
Meditiamo gente meditiamo.