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Pensieri e Paesi in vetrina per essere ripopolati.
Da qualche decennio il miraggio industriale che ha spogliato
i paesi degli abitanti ha raggiunto il suo apice.
La crisi
economica investe la società. I prodotti industriali, trasformati in rifiuti,
cambiano la geografia dei luoghi: colline maleodoranti inquinano le campagne.
Le fabbriche chiudono. Operai e impiegati perdono il lavoro e con esso la
dignità di cittadini operosi. I paesi dell’entroterra vivono declini
inarrestabili.
L’agricoltura, la pastorizia e i piccoli artigiani soccombono
lentamente alle nuove tecnologie e al miraggio consumistico delle grandi città.
L’Italia, da nord a sud, indistintamente, è coinvolta dalla mutazione sociale.
Una mutazione priva di programmi strutturali che adegua le esigenze immediate
dell’economia agli anni di plastica, alla filosofia dell’usa e getta. Monta,
così, la diseducazione sociale e infetta anche i campi della cultura.
Le
provocazioni intellettuali e le operazioni artistiche, viste come nuovi fonti
di guadagno diventano beni rifugio e a nulla valgono le proposte alte se non
supportate da grandi sponsor commerciali. Ma i circuiti dell’arte mirano a
immettere sul mercato un’arte misera che solletica e invoglia il già
conosciuto.
In questo clima nasce e si diffonde la grottesca farsa dell’arte
popolare. La stessa che ha ripresentato in tutte le salse i multipli serigrafici
di grandi nomi, la figurazione sdolcinata e le operazioni minimaliste. Insomma
anche il campo dell’arte ritenuto sacro da alcuni è stato contaminato e
dissacrato dallo sterco del diavolo: il denaro che tutto governa sulla terra!
Il denaro assicurato dal lavoro in fabbrica provoca, nel suo
piccolo, il depauperamento della cultura contadina con relativo abbandono dei
piccoli centri rurali e l’assalto ai sobborghi delle metropoli ormai sotto i
riflettori del miraggio industriale.
Nello stesso tempo la pseudo arte
contestualizzata dagli imbonitori prezzolati o asserviti e quello mentale, se
mai ci fosse stato un accenno di reattività al volgare modello di essere nella
società, decreta la morte del pensiero autonomo. Quel pensiero che, sviluppato
in completa autonomia induce a preoccuparsi dell’altro, del diverso e benché
privo di stimoli materiali riesce a muovere il mondo e fa sentire vivi quanti
lo praticano quando il sorriso sui volti dei deboli e degli oppressi rischiara
e cancella i morsi della sofferenza. Un sorriso corrisposto, che nasce dall’essere
lì, in quel preciso momento, in quei luoghi e paesi sconosciuti, dove uomini, armati
solo di beni di prima necessità, pronti alla fatica, sorretti dall’amore e in
contrapposizione al modello imperante nei paesi indottrinati dalle logiche di
potere laddove tutto ha un prezzo prestano la loro opera disinteressatamente. Non
militari armati mascherati da truppe di pace che pagano il tributo di sangue e
lasciano vedove e orfani e una decorazione al valore. Non contratti di
compravendite per la ricostruzione.
Ecco, noi non vogliamo essere paesi in vendita! Paesi
urbanizzati, desertificati dall’indolenza o dall’avidità.
Paesi abitati dai fantasmi del presente… lussuria, potere. Ma…
Paesi in vetrina, notturni, solari, la cui bellezza,
palesata e sorretta dal linguaggio poetico della visione, diventa faro per la
rinascita di una nuova umanità.