Eccomi di ritorno dalla spesa. La
solita fila ordinata. Il solito vigilantes all'ingresso del
supermercato che gentilmente fornisce due buste che fungono da
guanti. Coppie di coniugi che chiedono di poter entrare insieme.
Gente di tutte le età fanno il paragone tra prodotti e prezzi.
Carrelli semivuoti. L'emergenza iniziale non si ravvisa più. E la
normalità sembra essere alle porte. Quantomeno da noi in Calabria
che viviamo, apparentemente, di sole e ambiente pulito e che ci
portiamo dietro secoli di sopraffazioni, piagnisdei e conflitti a parte, osserviamo le leggi dello Stato e, perciò, vorremmo essere coinvolti nelle gestioni emergenziali specie quando queste risultano essere impopolari e drastiche da attuarsi.
Per chi come me abituato a stare in
sede, sono, come si suol dire, un pantofolaio, uno che preferisce
stare a casa, riflettere e lavorare in fucina, l'effetto
“domiciliari” imposto dalle misure governative per contenere la
diffusione del virus non è pesato più di tanto e non ha sortito
l'effetto “capanna” postulato dalla psicologia moderna. Anzi
potrei affermare che la situazione di messa a dimora di alcune
pratiche socializzanti si è dimostrata persino terapeutica per
l'ambiente.
Quantomeno si è risolto il problema
del buco nel'ozono. L'aria che respiriamo è più ossigenata e
persino gli animali timidi come i cerbiatti si avventurano verso le
periferie cittadine. È stato avvistato un esemplare sotto il ponte
Morandi, lungo la fiumarella di Catanzaro. E, Per la prima volta si è
parlato dell'avvistamento di un grosso cinghiale. Una bestia enorme
quanto una cinquecento! Così lo ha definito una ranner che se l'è
visto davanti durante la sua consueta corsa lungo il perimetro del
quartiere corvo, periferia alquanto dimenticata del capoluogo
calabrese.
Però adesso anche basta! Può bastare
la chiusura e l'isolamento da appestati.
Lo stato di allarme ha imposto
l'adozione di soluzioni estreme. E non tutti hanno reagito nello
stesso modo. Vuoi per cultura. Per abitudini. E per necessità.
Dopo la lunga detenzione gli effetti
dell'isolamento si presentano esasperanti per alcune categorie.
I soggetti deboli e quanti traggono
sostentamento dal commercio soffrono maggiormente il lockdown, ovvero
la chiusura totale o parziale delle attività lavorative rispetto ad
altre categorie produttive. E Le serrande abbassate dei negozi, delle
sale cinematografiche, dei musei, dei parchi giochi, ristoranti, bar,
e quant'altro evidenziano nuovi problemi che sfociano in nuove
necessità sociali se non addiruttura in nuove povertà visto
l'indotto che ruota attorno alle attività imprenditoriali.
Dalla patologia sanitaria alla
necessità sociale ed economica del paese il passo è breve.
Senza fare le pulci al mercato e senza
difendere a spada tratta nessuno ancora una volta siamo difronte
alla nascita di nuovi mostri mediatici. Personaggi che presenziano
tutti i salotti televisivi e che hanno una risposta certa,
categoricamente e scientificamente inoppugnabile, bontà loro, ai
problemi della gente comune.
Rispondono, i tuttologi, ai quesiti
esistenziali di persone portatori di handicap mentali e fisici comuni
e non. Blindano spiagge e monti. Irrigidiscono la mobilità tra i
confini geografici regionali, provinciali e comunali.
Sembra che ci sia una gara in atto per
chi la spadella più grossa e la rende originale. Avendo, dato il
tempo a disposzionine, la possibilità di ragionare e meditare sui
mali e le storture creatasi dovremmo ricordare anche a noi stessi che
siamo dotati di raziocinio cos'è bene e cos'è male!, che
l'autoconservazione non è un optional e sa quando fare scattare il
campanello d'allarme.
Non è un caso se le zone più colpite
e che rimangono a rischio siano quelle col più alto tasso
d'inquinamento atmosferico.
Come non è un caso se in Calabria la
pandemia abbia portato paure e psicosi invece dell'ondata devastante
del virus. E qui l'analisi si fa seria. Antropologica. Ambientale.
Logistica.
Buon senso, quindi. Per la sicurezza e
il bene comune. Osserviamo le regole ma senza esagerare con la caccia
agli untori.