Leggo che Damien Hirst, uno degli
artisti contemporanei più quotati al mondo, è additato dagli
animalisti per aver sacrificato 9000 farfalle in una delle sue
installazioni presso la Tate Modern di Londra.
L'installazione “incriminata” genera interrogativi legittimi,
non solo negli animalisti ma in tutte quelle persone che pur
nutrendosi d'arte s'interrogano e pongono il quesito atavico su ciò
che è eticamente lecito e cosa non lo è, anche nei linguaggi della
creatività, “anarchica” per antonomasia.
Insomma, senza farsi troppe pompe mentali o giocare sulla sorpresa scandalistica che l'operazione potenzialmente può provocare, chiedersi fino a che punto l'uso e l'abuso di certa “mercanzia” può far bene all'arte? Se poi, la licenza di “uccidere” presuppone temi come l'eutanasia attraverso le forme di vita elementari, come in questo caso, delle farfalle, che già per natura non sono molto longeve, di certo si può parlare di morte della cultura ma non di arte.