Il caso Di Pietro, in qualche maniera
mi riporta alla mente il “caso Dreyfus” visti i tanti
interrogativi che ancora sorgono dopo la trasmissione “Servizio
Pubblico” di Santoro, andata in onda ieri 8 novembre 2012, nella
quale, col beneplacito della Gabanelli, è traslocata, per il tempo
strettamente necessario a ripercorrere e chiarire la “questione Di
Pietro” la clip giornalistica incriminata di “Report” sui fondi
e le proprietà del presidente di IdV e il partito.
Entrambi vittime di guerre intestine
tra poteri, il primo, nostro contemporaneo, messo alla berlina per ,
forse, troppa ingenuità, è vittima di una ricostruzione
giornalistica particolare che lascia intendere in quanti hanno
seguito la trasmissione “Report” che anche lui, il demolitore
della prima Repubblica, si è lasciato contaminare dal malaffare.
Tesi, questa, smentita da Santoro nella
sua trasmissione di ieri “servizio pubblico” ma, stando ai fatti
esposti e documentati dall'ex pm di mani pulite Di Pietro, qualche
dubbio rimane. E, ci si chiede: come mai, dopo i chiarimenti di Di
Pietro, la Gabanelli, quale conduttrice del programma rai in
questione non ha chiesto scusa per lo strafalcione giornalistico?
Anche perché, un conto è la buona fede e altro, invece, la furba
attuazione di piani antisociali quali sono le dissolutezze delle
finanze pubbliche donate ai partiti.
Bene ha fatto Michele Santoro e il suo
staff a trattare l'attuale scottante tema per Di Pietro, l'IdV e i
suoi elettori.
La ricostruzione dei fatti, esposta da
Di Pietro e dibattuta da Veltri, Mentana, Costamagna davanti alle
telecamere di “Servizio Pubblico” ha ricucito il rapporto tra
giornalisti e politica e, cosa importante, dato un Servizio
conoscitivo apprezzabile alla collettività.
Per i curiosi:
Piccolo promemoria. Il capitano Alfred Dreyfus lavorava al
ministero della Guerra francese e fu arrestato nel 1893, condannato,
degradato e spedito alla Guyana con l’accusa di spionaggio a favore
della Germania. Suo maggiore accusatore, l’addetto militare tedesco
a Parigi, Maximilian von Schwartzkoppen, che grazie all'immunità
diplomatica faceva dello spionaggio istituzionalizzato e garantito.
Ma pare che l’Armée avesse bisogno di un capro espiatorio dopo la
scoperta della fuga di notizie e Dreyfus, in quanto ebreo , si
prestava bene all'accusa dato l'antisemitismo francese di allora.Secondo alcuni studiosi, alla base di tutta la montatura c’era l’epistolario fra Schwartzkoppen e il suo collega italiano, Alessandro Panizzardi (l’Italia, all’epoca, era uno dei tre soci della Triplice, dunque alleata della Germania e potenziale nemica della Francia).
Pare che Schwartzkoppen e Panizzardi non siano stati solo colleghi e alleati ma anche amanti, come, inequivocabilmente, dimostrano le loro lettere: si chiamano «Alexandrine» e «Maximilienne».
Se Schwartzkoppen e Panizzardi si scambiassero carezze e bigliettini insieme ai piani della mobilitazione o delle fortezze francesi non si sa per certo. Né Dreyfus fu mai esplicitamente accusato di essere, anche lui, omosessuale. Ma nel dossier segreto messo insieme dal controspionaggio francese, illegalmente trasmesso ai giudici militari e mai a Dreyfus né ai suoi difensori, si faceva cenno a questi gusti sessuali. Di sicuro, il dossier Dreyfus fu talmente gonfiato da montagne di documenti inutili che trovare il bandolo della matassa è diventata un'impresa difficilissima.
Ma che c'azzecca!, direbbe il buon Di Pietro, Dreyfus ebreo e forse anche omosessuale con me?
Beh, chi ha buon occhio osservi bene...
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