racconti di vita in Calabria: 16; proclama elettorale

Racconti di Calabria.

Proclama elettorale nell'entroterra italico del 1950.

Sentite sentite tutti cosa ha detto don Ciccio! Don Ciccio va dicendo in giro che i morti non devono leggere e che quindi secondo lui non c’è bisogno d’illuminare il cimitero! Chi vuole luce davanti alle tombe dei defunti accende candele e lumini, lanterne e torce. Avete capito che uomo senza Dio ch’è don Ciccio, l’uomo che abbiamo eletto a sindaco! Vi pare giusto? Vi pare giusto che un padre o una madre dopo avere sofferto una vita devono continuare a soffrire anche là nell’estrema dimora?
E quanto può costare un lumino elettrico? Paesani! Quello dell’impresa mi ha detto che costa appena 10 lire al mese se lo facciamo tutti… e noi non spendiamo 10 lire al mese per i nostri cari?

Però duva và don Ciccio! Iddhu cu mmia si misa! Nciù hazzu vidira ia cuomu nci si comporta cu i gienti… la gente perbene rispetta il cane per il padrone figuriamoci le anime sante dei nostri cari morti! Si mi votati ammia vi giuru ca a prima cosa chi fazzu è propriu chista: a lucia a ri muorti!

Dal palco, un misero banchetto addobbato col tricolore verde bianco e rosso, un omino mingherlino tutto ossa e nervi lancia la sua arringa nei confronti di una posizione “politica” indegna per la piccola comunità montana. Una comunità composta da poco più di mille anime, quel tanto che basta per far assurgere il piccolo borgo a municipio. Un municipio arroccato tra i monti delle preserre calabresi che ha in organico un vigile urbano, un banditore e un elettricista. Il postale, un rumoroso quanto pestilenziale autobus, passa due volte al giorno tre volte la settimana e fa la spola tra Catanzaro, il capoluogo, e Serra San Bruno; lungo il tragitto, dalla durata di un paio d’ore, la corriera effettua fermate obbligate nei paesi di Borgia, Squillace, Vallefiorita, Palermiti, Centrache, San Vito, Chiaravalle, Torre di Ruggiero e il conducente scarica il sacco della posta e i pochi pacchi che gli emigranti mandano dalla Germania, dall’Argentina o dall’America. Il bigliettaio, dopo avere tolto l’ultimo pacco dal bagagliaio s’affaccia al finestrino, scruta se c’è qualche viaggiatore ritardatario, dà un’occhiata all’orologio, lo ripone nel taschino del gilet e fa cenno al collega autista che tutto è a posto: jamu ja partimu Peppì ca a strata è longa. La corriera riparte, tra rumori di lamiera scrollata e un fumo denso di nafta mal combusta, si fa spazio tra la gente in ascolto, il comiziante scende dal banchetto e si fa da parte per farla passare.

(segue: detti calabresi)

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Abbiamo aperto questo blog nell’aprile del 2009 con il desiderio di creare una piazza virtuale: uno spazio libero, apolitico, ma profondamente attento ai fermenti sociali, alla cultura, agli artisti e ai cittadini qualunque che vivono la Calabria. Tracciamo itinerari per riscoprire luoghi conosciuti, forse dimenticati. Lo facciamo senza cattiveria, ma con determinazione. E a volte con un pizzico di indignazione, quando ci troviamo di fronte a fenomeni deleteri montati con cinismo da chi insozza la società con le proprie azioni. Chi siamo nella vita reale non conta. È irrilevante. Ciò che conta è la passione, l’amore, la sincerità con cui dedichiamo il nostro tempo a parlare ai cuori di chi passa da questo spazio virtuale. Non cerchiamo visibilità, ma connessione. Non inseguiamo titoli, ma emozioni condivise. Come quel piccolo battello di carta con una piuma per vela, poggiato su una tastiera: fragile, ma deciso. Simbolo di un viaggio fatto di parole, idee e bellezza. Questo blog è nato per associare le positività esistenti in Calabria al resto del mondo, analizzarne pacatamente le criticità, e contribuire a sfatare quel luogo comune che lega la nostra terra alla ‘ndrangheta e al malaffare. Ci auguriamo che questo spazio diventi un appuntamento fisso, atteso. Come il caffè del mattino, come il tramonto che consola. Benvenuti e buon vento a quanti navigano ogni singola goccia di bellezza che alimenta serenamente l’oceano della vita. Qui si costruiscono ponti d’amore.

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