È morto un ragazzo a Gaza.
E fin qui nulla di nuovo da quando gli ebrei hanno deciso di comportarsi con i palestinesi, e il resto del mondo che secondo loro è ostile, allo stesso modo dei nazisti.
Gli ebrei, chissà per quale recondito motivo hanno apposto il copyright alla carneficina nazista, ai forni crematori e ai crimini di guerra Hitleriani che hanno subito anche zingari, omosessuali, barboni, nemici del regime e partigiani, tanto per ricordare sommariamente gli eventi che hanno connotato il delirio nazifascista. Gli ebrei, hanno costruito muri, delimitato confini geografici arbitrariamente con del filo spinato, hanno imposto il coprifuoco nella striscia di Gaza e sparano a chiunque vada a coltivare i campi nella terra che secondo loro è di Israele.
In uno scenario simile, un ragazzo nato in Italia ma che si sentiva cittadino del mondo, è andato lì, nella striscia infame di Gaza per stare insieme ai palestinesi e stare nei campi con loro; al loro fianco con una casacca gialla per evitare che gli ebrei sparassero sui contadini palestinesi.
Vittorio Arrigoni, questo il nome del pacifista sequestrato e ucciso, secondo fonti ufficiali, da un commando di estremisti riconducibili alle frange deviate salafite palestinesi, lascia un grande vuoto nel movimento pacifista che senz’altro sarà colmato da altri ragazzi che credono nella fratellanza tra i popoli e nell’amore universale, nel “restiamo umani” ripetuto da Vittorio anche nel videomessaggio a Roberto Saviano che da “intellettuale osannato” e anche un po' demagogo fantasioso e spocchioso in certe sue uscite, non nasconde le sue simpatie, forse a causa delle origini ebraiche, in uno dei suoi tanti salotti "per le libertà" dove ha tessuto le lodi del popolo ebreo e ha parlato della grande libertà e del rispetto che gli israeliani hanno verso gli altri popoli. Parole contestate da Vittorio Arrigoni con dati di fatto perché prive di riscontro reale. È un videomessaggio pacato, nel quale Vittorio invita Saviano a recarsi in quei luoghi, conoscere da vicino la realtà e poi parlare del comportamento degli ebrei in Palestina, a Gaza, coi palestinesi e i popoli africani.
Vittorio Arrigoni non aveva scorta, non frequentava salotti televisivi e non interessava i venditori di fumo mediatico, perciò non era noto alla massa. Neanche io lo conoscevo. Chissà, forse se avesse scritto un libro e si fosse tirato le ira di qualche lestofante o fosse stato seguito da lobby di potere… invece no! Lui è stato una persona scomoda che ha avuto l’ardire di stare con i deboli in una terra contesa. E questo è un crimine per certa gente.
Fazioni e dogmi a parte, fino a quando non ci sarà una rivoluzione culturale interiore in tutti noi, simili delitti rimarranno all’ordine del giorno e poi ognuno ergerà piedistalli su cui poggiare le proprie dottrine, che, in quanto tali, faziose.
Unica vera ricchezza umana è l’amore fraterno tra i popoli.
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martedì 19 aprile 2011
mercoledì 29 dicembre 2010
Filandari, Calabria e calabresi visti da fuori
“Così si muore in Calabria, per la legge della terra”.
Così, Repubblica, a firma di Roberto Saviano oggi titola il caso di Filandari, un paese del vibonese trasformato in teatro che ha visto la tragedia dell’esasperazione messa in atto, secondo analisi scientificamente corrette ma infondate perché scritte col piglio dello studioso di fatti di mafia e malaffare.
La narrazione di Saviano è forbita, e sarebbe anche valida e accattivante, se solo si trattasse di un romanzo, ci starebbero anche bene frasi come:
“…Ma questa non è una strage dettata semplicemente dal raptus di paesani che vivono in terre del Sud dove ci sono più pistole che forchette. …”
Bene, io sono un calabrese e conosco moltissimi calabresi che, come me, lontani dalla frase a effetto di Saviano, possiedono molte forchette e nessuna pistola o arma per uccidere chi ci offende o esaspera con azioni tracotanti.
Alcuni “scrittori e pseudo intellettuali” cavalcano le questioni malavitose e le trasformano in affari; diventano personaggi televisivi, intellettuali, membri di commissioni antimafia, docenti universitari, sottacendo che alcuni episodi, come questa accaduta a Filandari non è una questione di sottocultura mafiosa o originata dalla miseria, ma un raptus scaturito dopo innumerevoli episodi di violenza tollerata che sarebbe potuta succedere ovunque. con ciò non voglio giustificare nulla e nessuno.
Dico solo che così si può morire in qualsiasi angolo della terra!, senza strumentalizzare territori già martoriati, ricchi di storia e abitati da una popolazione dignitosa che vive col duro lavoro dei campi.
Così, Repubblica, a firma di Roberto Saviano oggi titola il caso di Filandari, un paese del vibonese trasformato in teatro che ha visto la tragedia dell’esasperazione messa in atto, secondo analisi scientificamente corrette ma infondate perché scritte col piglio dello studioso di fatti di mafia e malaffare.
La narrazione di Saviano è forbita, e sarebbe anche valida e accattivante, se solo si trattasse di un romanzo, ci starebbero anche bene frasi come:
“…Ma questa non è una strage dettata semplicemente dal raptus di paesani che vivono in terre del Sud dove ci sono più pistole che forchette. …”
Bene, io sono un calabrese e conosco moltissimi calabresi che, come me, lontani dalla frase a effetto di Saviano, possiedono molte forchette e nessuna pistola o arma per uccidere chi ci offende o esaspera con azioni tracotanti.
Alcuni “scrittori e pseudo intellettuali” cavalcano le questioni malavitose e le trasformano in affari; diventano personaggi televisivi, intellettuali, membri di commissioni antimafia, docenti universitari, sottacendo che alcuni episodi, come questa accaduta a Filandari non è una questione di sottocultura mafiosa o originata dalla miseria, ma un raptus scaturito dopo innumerevoli episodi di violenza tollerata che sarebbe potuta succedere ovunque. con ciò non voglio giustificare nulla e nessuno.
Dico solo che così si può morire in qualsiasi angolo della terra!, senza strumentalizzare territori già martoriati, ricchi di storia e abitati da una popolazione dignitosa che vive col duro lavoro dei campi.
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