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giovedì 2 novembre 2017

Maneggiare con cura

È tempo di denunce.

Anche in radio ha preso piede l'onda anomala della denuncia.
La prima volta che sono stata molestata/o e o violentata/o.

Titoli che fanno il giro dei media e dei social web in cui si trova di tutto e di più. Non si sa se è uno stimolo per sentirsi protagonisti, vittime o possibilità di denunciare il lupo che alcuni hanno incontrato lungo il sentiero che dal bosco porta in città. Nella città illuminata dai riflettori mediatici che qualcuno sfrutta per mettersi in luce e godere dei 5 minuti di pubblicità.

Adesso spuntano anche le violenze gay. Che, come quelle subite dalle donne, non sono state denunciate prima ma, guarda un po', dopo avere ottenuto i favori e raggiunto l'agognato successo.
Il mondo dell'arte in generale è sputtanato.
La cultura è vittima?

Sull'onda emotiva alcuni giocano il ruolo delle vittime e, magari, quello che è stato un complimento o una pacca benevola è trasformato in molestia sessuale.
Strategia? Cattiveria? Ingenuità nel rapporto con l'altro sesso?

Non saprei che dire! Forse sarebbe opportuno osservare un attimo di silenzio e stare attenti a come si maneggiano le notizie.

Il mondo dorato del cinema e quello della televisione fanno perdere di vista la quotidiana realtà e anche noi che non ne facciamo parte a volte c'immedesimiamo. Parteggiamo per l'uno o l'altro perché li sentiamo familiari, vicini vista la quotidianità con cui vediamo le loro facce dimenticando che sono attori e che giocano ruoli differenti dai comuni mortali. Ruoli che fanno sognare e fantasticare. Personaggi divini che ci fanno evadere dalla realtà cruda e nuda.

E quando qualcuno destabilizza quel mondo da fiaba e fa cadere eroi e miti, noi, ci sentiamo traditi.

Mentre quotidianamente avvengono soprusi che passano inosservati (non che la violenza fisica e emotiva sessuale non lo siano) come lo stalking in ufficio e al lavoro in generale e persino nei condominii, tanto per citare alcuni esempi, o le decisioni politiche prese sulla pelle dei cittadini impossibilitati a contestarle ma fatte proprie dai politici che le usano strumentalmente e dai tg.

Il buon senso, come si usava un tempo non molto remoto, è stato seppellito sotto i cumuli di stupidità amplificata dalle fake news dei social-media.

Nella realtà parallela del mondo virtuale ma anche di chi sta sotto i riflettori mediatici tradizionali i più furbi fanno tendenza. Approfittano dei pruriti intimi delle persone. E portano all'estremo i fatti.

Personalmente mi attengo alle indicazioni stampigliate sui cartoni da imballo. E ...
Preferisco Maneggiare con cura!

"maneggiare con cura" assemblage courtesy M. Iannino

giovedì 21 novembre 2013

I privileggi dei Cappellani Militari, strano modo di predicare

Non c'è bisogno di essere in crisi per capire che 17 milioni di euro sono troppi per predicare il vangelo alle truppe militari.
Tanto ci costano i cappellani militari che, secondo una legge del 1961, la numero 512 del primo giugno '61, norma l'avanzamento e il trattamento economico del personale che assiste spiritualmente le forze armate italiane.

Vergogna! Come si può quantificare la parola di Gesù che predicava tutt'altro in base ai gradi militari?
Eppure questo accordo c'è stato con la benedizione del vaticano che vede andare in pensione, una ricca pensione, il cappellano militare a 62 anni. E sono necessari appena 15 anni di servizio!, per avere erogato un assegno pensionistico simile ai militari di alto rango.

Cioè, con parole povere, il cappellano militare addetto: un prete che entra a dire messa e confessare i militari in una caserma ha diritto al grado di tenente. Poi, sale di grado e diventa cappellano militare capo: capitano! Fino a conquistare i gradi di maggiore alle porte della pensione.

Ma l'assurdo non sono tanto i gradi e la relativa norma che disciplina il lato economico.
Quello che non và giù è che ci volevano le jene, con una loro pungente incursione, a svelarne i meccanismi.
Mai prima delle jene nessun politico impegnato nella ricerca di correttivi necessari per tamponare la crisi che stiamo vivendo e neanche qualche alto prelato graduato ha pensato minimamente di suggerire cristianamente questa assurdità evangelica.

Tanto per la cronaca, Papa Francesco recentemente:
mons. marcianò e papa francesco

“ha donato alle Forze Armate Italiane la nuova guida spirituale, nominando Ordinario Militare per l’Italia il calabrese Santo Marcianò, Arcivescovo della Arcidiocesi di Rossano-Cariati (CS), che succede a Mons. Vincenzo Pelvi. Mons. Marcianò, 53 anni, di Reggio Calabria, dottore in economia e commercio, giornalista pubblicista, è stato eletto Vescovo da Papa Benedetto XVI a soli 46anni, divenendo il più giovane vescovo d’Italia ed attualmente è il più giovane Arcivescovo italiano. Ha conseguito il Baccellierato in Teologia all’Università Lateranense ed è autore di numerosi libri. L’Ordinariato Militare, regolato dalla costituzione apostolica “Spirituali militum curae” di Giovanni Paolo II, è equiparo a diocesi, con competenza su tutte le “anime” che hanno “status” militare, sui loro familiari e sul personale civile della Difesa. Ma è anche un Ufficio di Stato, tanto che la nomina ad Ordinario Militare da parte del Papa deve essere recepita dai Ministri della Difesa e dell’Interno e dal Presidente del Consiglio, poiché il Vescovo eletto viene nominato Generale di Corpo d’Armata e deve quindi giurare formalmente innanzi al Presidente della Repubblica.”

... forse Papa Francesco non è a conoscenza degli accordi istituzionali tra Italia e Vaticano, della ricchezza economica cui va incontro un prelato caricato da simili investiture e quindi difendere se stesso e la Parola di Dio.

Adesso che è stato messo a conoscenza dell'assurdità in termini speriamo che non prenda la scorciatoia della beneficenza per pacificare le coscienze e mantenere simili privilegi non contemplati dal Vangelo

domenica 26 maggio 2013

troppi studenti, tornare a Università d'élite, echi di Eco

L’intervento di Umberto Eco, pardon, la lectio magistralis” all'università spagnola di Burgos, dove il semiologo e scrittore nostrano si è recato per ricevere una laurea honoris causa in storia medioevale, non è una provocazione ma ben di più.

Come considerare le sue parole in un momento in cui si chiede più cultura e diffusione dei saperi in contrapposizione ai piani politici dei governi europei che tagliano ricerca e diritto allo studio in virtù di ipotetiche leggi di ingegneria economico-finanziaria che tutelano solo ed esclusivamente i grandi capitali?

E come giustifica il pluriinsignito prof la fuga dei cervelli, la mancanza di lavoro, l’affossamento della cultura solidale oltre che scientifica; la teatralità e l’esposizione mediatica dei baroni universitari che lasciano svolgere le lezioni al codazzo di studenti chiamati a ruolo di assistenti?

E che dire delle “vacanze” dai ricevimenti e dal timor panico che incutono certi “educatori” manichei?

Ma pare che queste tematiche non interessino al nostro prof.
Secondo lui, “l’eccesso di studenti ostacola l’attività accademica e conduce alla crisi dell’università” e non altri fattori.

Come dire: teniamo i figli a casa o mandiamoli nei campi a cesellar zolle anche se non c’è nessun bisogno. Ma teniamoli lontani dai prof impegnati in conferenze e intenti incassare lauree onorifiche. Baroni che cederanno lo scettro a una ristretta élite di privilegiati quando la gotta o il rincoglionimento li renderà incapaci di muoversi.

D'altronde l’auspicio di Eco è che “l’accademia torni ad essere per una certa élite, proprio come accadeva nella sua migliore epoca”.

Ma stimo troppo lo scrittore de “il nome della rosa” che in virtù del suo racconto ambientato tra le mura di un monastero e grazie al cognome di uno dei personaggi , Jorge de Burgos, ha ricevuto la laurea, per chiudere cosi sbrigativamente la faccenda.

Penso, piuttosto, che forse i media hanno, come al solito, strumentalizzato il pensiero del noto semiologo. Hanno estrapolato le frasi più insidiose per innescare la lite, catalizzare l’attenzione su qualche nuovo prodotto editoriale o iniziare la filippica ideologica sulla necessità alta di una cultura mirata all'emancipazione collettiva dei popoli.
No, forse mi sbaglio!

Se è vero quanto riportato dai media, Lui, vuole detenere il “potere” della cultura. Mantenere il suo status di docente insigne.
Status che, sempre secondo lui (come riportato dai mass media), è insidiato dai nuovi mezzi di comunicazione di massa. In special modo della rete, il web, che, sempre secondo il parere del semiologo riportato dai giornali on line, “la rete, come strumento di consultazione inibisce il lavoro degli insegnanti e porta a  un mutamento per quanto riguarda il legame tra docenti e studenti”.

Insomma per il prof con internet si può accedere a molte informazioni che in parte sostituiscono il lavoro dei docenti.

sabato 18 settembre 2010

catarsi e presunzione

courtesy archivio M.Iannino
pagine in/utili, polimaterico, m.i. 2008
Catarsi artistica e presunzione.

Alcuni ruoli, a detta di molti, sono sopra le parti e, chi fa arte, è collocato tra questi.
Perciò, le analisi intrinseche alle opere artistiche, formali o lessicali, sono ritenute intellettualmente oneste giacché si presuppone una totale assenza di contaminazioni faziose.
Partendo da detti presupposti, viene da sé che il lavoro dell'artista diventa uno strumento alto al servizio delle coscienze, che, stimola la collettività e la invita a guardare oltre il proprio naso. Da ciò si evince che l’opera è sinonimo di emancipazione e, perché no, magari atto catartico proteso a sovvertire certi ordini d'idee indirizzate a mercantili guadagni immediati.
Da ciò, qualcuno pensa alla figura romantica del bohemien; all’artista maledetto, incompreso, morto di fame, alcolizzato o drogato, tanto per essere al passo coi tempi. Invece, non è così. La realtà è differente dalla letteratura romanzata di certa biografia.
Purtroppo, spesso ci s’imbatte in personaggi che, con estrema disinvoltura si autodefiniscono o sono definiti artisti dal sistema mercato solo perché conoscono e adoperano gli strumenti del mestiere, hanno studiato un po’ di storia dell’arte o assumono atteggiamenti stravaganti. Questi soggetti, permeati di egocentrismi istrionici esasperanti e di una buona dose di scaltrezza, depistano, coi loro atteggiamenti e il lavoro di basso profilo i non addetti ai lavori.
Da qualificati artigiani della tecnica e del pennello rispondono alle richieste del mercato incolto.
Eseguono scene impetuose, dal sapore vagamente barocco, o copie perfette di vedute marine, ritratti, con l’ausilio delle tecniche digitali o con comprovata maestria e padronanza grafica, riducendo il linguaggio visivo nella semplice finzione figurale mediante un inutile lavoro lezioso.
Perciò, se proprio necessita un’indicazione granitica per collocare una persona e la sua azione nella sfera colta dell’arte, certamente preferisco osservare e sostenere l’“operaio della cultura” che usa il linguaggio creativo della visione per frantumare luoghi comuni, denunciare incongruenze sociali, esternare utopie realizzabili. E, all’occorrenza, sappia punzecchiare e sgonfiare gli innumerevoli palloni che orbitano e pascolano arbitrariamente nei verdi campi della creatività colta.


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