Non che gli altri giorni siano
totalmente diversi ma oggi, sarà per via del coronavirus e
dell'allerta con l'hashtag #iorestoacasa ch'è diventato un gioco
virtuale per dire al mondo intero come ci si sente ad essere
costretti tra le mura domestiche, mi sembra davvero di camminare in
uno di quei set cinematografici ambientati nei giorni dopo
l'apocalisse.
I presupposti non mancano.
Siamo ostaggi di un virus sconosciuto.
La ricerca scientifica ci sta sbattendo la testa ma ancora non riesce
a trovare il bandolo della matassa. Si va a tentoni. Negli ospedali
s'intubano i contagiati. Unica cura certa è l'ossigeno per bloccare
la polmonite causata dal covid-19. Oltre alla terapia farmacologica
col tacilizumab, intuizione di un dottore che cura con il farmaco in
questione l'artrite reumatoide e la conseguenziale broncopolmonite che
attacca i pazienti affetti dalla grave forma di artrite reumatoide,
ora in sperimentazione nei vari ospedali alle prese con i contagiati
dal corona virus.
L'allarme è palpabile.
I cittadini sovrastati dal terrore
dell'infezione non escono di casa. Rimangono serrati dentro. Al
massimo escono dai balconi per non sentirsi soli. E Accomunati
nell'isolamento dalla paura contagiosa cercano di esorcizzare il
momento con i flash mob postati sul web.
Aver compagno al duol scema la pena. Si
diceva un tempo.
Intanto io resto a casa e per me non è
un problema. Add'ha pass'a' nuttata.