È un'Italia ridicola e perdente quella
che si schiera contro la sentenza sul lodo Mondadori. È assurdo
vedere Ministri della Repubblica alzare il dito accusatore contro la Corte d'Appello milanese adducendo persecuzioni e motivi politici nei confronti del
Premier Silvio Berlusconi.
L'opinione pubblica, fatta da gente
comune che sta ai fatti divulgati dai mass media, dopo vent'anni di
tribunale e relative sentenze, legge come assurde le contrapposizioni
degli alti dirigenti dello Stato che alzano i toni dello scontro tra
le parti, infervorano gli animi e aizzano contro un ipotetico uso
distorto delle leggi l'elettorato e i simpatizzanti pdl. Tra l'altro,
gioca a sfavore dei La Russa e di tutto il PdL, la furbata inserita
di soppiatto nel ddl sulla recente manovra economica, per altro
subito intercettata e annullata dal Colle, che metteva al riparo
mediaset dalla maximulta venuta fuori dalla sentenza, immediatamente
bollata come salva mediaset.
Marina Berlusconi ha gridato allo
scandalo e alla volontà persecutoria di certa magistratura nei
confronti del padre. E fin qui ci potrebbe anche stare, visti i
legami affettivi e l'interesse economico che la sentenza lede. Non è
ammissibile, dal punto di vista logico e democratico, l'alzata di
scudi del popolo della libertà, ridotto ad una setta piuttosto che
ad un movimento politico votato alla salvaguardia delle libertà di
tutti i cittadini.
In sostanza, a conclusione del processo civile di secondo grado sul cosiddetto lodo mondadori, la Corte d'Appello ha stabilito che la fininvest, azienda della famiglia Berlusconi deve risarcire alla cir di carlo De Benedetti circa 560 milioni di euro a parziale riforma della sentenza di primo grado, dell'ottobre 2009, cui il Tribunale civile aveva fissato in 750 milioni di euro.
In sostanza, a conclusione del processo civile di secondo grado sul cosiddetto lodo mondadori, la Corte d'Appello ha stabilito che la fininvest, azienda della famiglia Berlusconi deve risarcire alla cir di carlo De Benedetti circa 560 milioni di euro a parziale riforma della sentenza di primo grado, dell'ottobre 2009, cui il Tribunale civile aveva fissato in 750 milioni di euro.