La reazione dei “padroni” termine
demodè ma veritiero, su quanto sta accadendo all'ILVA di Taranto è
preoccupante.
Dopo i sette arresti e i due avvisi di
garanzia nonché i sequestri svolti nell'inchiesta della Guardia di
finanza sull'Ilva di Taranto e al blocco preventivo dei prodotti
finiti e semilavorati destinati alla vendita o al trasferimento
perché realizzati in violazione delle prescrizioni del sequestro già
adottato dall'autorità giudiziaria sugli impianti dell'area a caldo,
il vertice aziendale ha deciso unilateralmente di chiudere i
battenti.
Arresti effettuati a seguito
dell'inchiesta sui veleni liberati a cielo aperto sulla città di
Taranto che, ricordiamolo, hanno provocato e continuano a farlo, la
proliferazione di tumori su Taranto e zone limitrofe.
Il ricatto è palese! La decisione
ricattatoria mette alla porta 5mila lavoratori che, rapportati alle
rispettive famiglie si arriva a un numero allarmante di persone
private della dignità.
Sette arresti, dunque, per non avere
operato secondo le leggi, inquinato e lucrato sulla pelle dei
lavoratori e dei cittadini inermi.
Ordine d'arresto per Fabio Riva, al
momento irreperibile, vicepresidente dell'omonimo gruppo e figlio di
Emilio (ai domiciliari dal 26 luglio); Luigi Capogrosso, ex direttore
del siderurgico di Taranto; Girolamo Archina', ex consulente dello
stabilimento, addetto ai rapporti con le pubbliche amministrazioni e
licenziato ad agosto quando emersero i primi particolari
dell'inchiesta.
Ai domiciliari, oltre ad Emilio Riva,
presidente della holding controllante, Lorenzo Liberti, già
presidente della facoltà di Ingegneria ambientale dell'università
di Taranto per avere mitigato gli effetti con una regalia di 10mila
euro; Michele Conserva, ex assessore provinciale all'Ambiente
dimessosi nei mesi scorsi; Carmelo Dellisanti della Promed
Engineering. Tra gli indagati (una ventina in tutto) anche il
presidente dell'Ilva Bruno Ferrante e il direttore generale
dell'azienda, Adolfo Buffo.
Le ipotesi di reato vanno
dall'associazione a delinquere (finalizzata al disastro ambientale
aggravato e all'omissione dolosa di cautele) alla concussione e
corruzione.
Liberti, secondo la tesi dell'accusa,
sarebbe il destinatario di una 'mazzetta' di 10mila euro per
attenuare la perizia che, assieme ad altri esperti, stava conducendo
su incarico della procura di Taranto relativamente all'impatto
dell'inquinamento da diossina. L'Ilva ha sempre smentito che si
trattasse di una tangente, asserendo che quei soldi Archinà avrebbe
dovuto versarli come donazione alla Diocesi di Taranto.
Qualcuno, esasperato, dice: meglio
morire di tumore che di fame! E se provassimo a pretendere un modello
di vita differente che tuteli l'ambiente e quindi ogni forma di vita
finché siamo in tempo?