Da Basquiat a Banksy,
passando per tutta l'area atipica di cui si fregia il mondo della
cultura contemporanea, ancora una volta si assiste alla
disinformazione superficiale dei media massificati, e, in parte, anche internet.
I writer, o meglio i pittori di
strada contestano coi loro interventi tante cose alla società
dei consumi e della proprietà privata (almeno secondo quanto ci
hanno detto fin ora gli “intellettuali” che hanno scavato nei
meandri della psiche dei grafomani metropolitani).
Disdegnano il possesso ossessivo degli
oggetti, dipinti compresi e, per qualcuno, sono dei volgari vandali
che deturpano, appunto, la proprietà privata e gli spazi pubblici.
Per queste semplici ragioni le
decorazioni dei luoghi degradati delle città sono ritenuti offensivi
dalla maggior parte della gente diseducata dai media. Salvo, poi,
quando sono messi sull'altare della gloria sempre dalle campagne
mediatiche, divenire feticci tesaurizzanti da possedere.
Tra Basquiat e Banksy ci sono radici
socioculturali differenti.
Il primo contestava l'emarginazione
sociale delle classi deboli con graffi elementari, spesso duri,
violenti, descrittivi e giocosi.
Il secondo, dal nome evocativo
composto dai suffissi: bank e sy che sfociano in “Banksy” e diventa
lo pseudonimo di un gioco lessicale creativo di fine semantica.
Perciò è lecito porsi qualche domanda in merito: stando al gioco in
questione, il fantomatico pittore di strada è pro o contro le banke?
Forse una prima risposta la possiamo
leggere nella bancarella allestita a New York dove, per una sola
giornata, ha messo in vendita come una qualsiasi stampa o calco su
tela alcuni suoi spray per pochi dollari.
Che si sia voluto burlare del valore
economico che i mercanti dell'arte battono sui suoi pezzi rubati
dalla strada nei punti rivisitati dal suo ironico spray?