Per gli uomini,
piangere in pubblico ma anche in privato, è sinonimo di debolezza.
Il pianto è un sentimento prettamente femminile che non si addice al
macho perciò deve essere represso se non si vuole fare una
figuraccia.
Ampliando il
concetto, anche l'uso indiscriminato del nudo diventa una sorta di
blasfemia contro il comune senso del pudore. I pubblicitari ne sanno
qualcosa, tant'è che sfruttano la reazione del pubblico per fare
della comunicazione visiva una sorta di arma a doppio taglio. Anche
alcuni cosiddetti creativi impegnati cavalcano le emotività
costruite da educazioni manichee per proporre sul mercato della
cultura alta le proprie opere. Senza entrare nel merito dell'etica,
altrimenti cadremmo nel tranello educativo imposto dalle civiltà
d'appartenenza, nel linguaggio creativo, appunto, le dicotomie
concettuali sono assenti per definizione. L'artista tratta il corpo
come un qualsiasi altro strumento del proprio bagaglio semantico.
Magari in antitesi alle vicende linguistiche correnti.
Nella costruzione
dello spazio creativo non si deve sottovalutare la libertà
espressiva, l'assenza totale di regole preconfezionate. Anzi, è
proprio dall'anarchia creativa che nasce l'opera d'arte. Volendo
rafforzare il concetto, potremmo ricordare i maestri del passato.
Ripercorrere la vita di Picasso, Cézanne, Mirò, Modigliani...
l'elenco sarebbe lunghissimo e sarebbe una fatica inutile citare tutti gli artisti che
hanno fatto la storia dell'arte fino ai giorni nostri. Basta
pensare e convenire che alla base del gioco creativo, sì, ci sono
delle pulsioni dettate dall'ambiente esterno che, indotte e assorbite
dalla società nella quale si vive vanno a intasare il microcosmo
personale dell'artista, decodificate e traslate assumono valenze alte
decontaminate dalla volgarità.
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