"u zzappatura"
I castagni sono carichi. I ricci iniziano ad aprirsi; qualcuno, ancora verde, è già caduto tra le felci. Difficile vederlo, ma chi ha l’occhio allenato distingue subito le spine del riccio da foglie, legnetti e felci. Marco è lì col padre in compagnia di altri uomini che parlano tra loro: “ncigniamu e ccà!”* dice il padre ai contadini muniti di zappe, “rampamu u margiu de castagni luongu luongu u violu sinnò, si perdunu”.
Gli uomini si allineano. L’uno affianco all’altro alzano le zappe fin sopra le loro teste e le lasciano cadere nel terreno da rivoltare. Marco, più in là, raccoglie ricci, basta una bottarella nella “cresta” per aprirli e lui è un maestro nel farlo senza schiacciare le castagne tenere. La sua tecnica è semplice: col tacco sinistro tiene fermo il riccio e col destro imprime una leggera forza dall’alto verso il basso nella scriminatura formata dal verso delle spine. Ha le tasche piene di castagne verdi. Quelle sono destinate alla madre e alla sorellina. Lui le mangia sul posto, come testimoniano le bucce intorno.
Gli uomini nel frattempo hanno fatto un buon lavoro. Le felci non ci sono più e il terreno è zappettato e livellato a dovere. Resta ancora una fetta di prato da zappare. Gli uomini avanzano; le zappe si alzano e s’abbassano come le assi di un enorme ventaglio. Le lame addentano la terra rossa. I contadini fanno leva sul manico, sollevano la zolla, girano le zappe e frantumano la zolla col dorso.
* iniziamo da qua! Zappiamo il prato dei castagni delimitato dal viottolo sennò, le castagne andranno perse.
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