Venezia, la biennale del 1964 e la pop art americana



La biennale di Venezia del 1964 e la pop art

A volte trovo piacevole ripercorrere sentieri culturali sedimentati nell'immaginario collettivo e resi importanti dalla critica ufficiale e dai mass media. La biennale di Venezia, col suo circo mediatico è riuscita fin dagli esordi a tenere alta l’attenzione del pubblico, della critica, dei giornali, degli artisti e dei detrattori delle avanguardie artistiche.

Marcello Venturoli, presente come critico dell’arte alla biennale del 1964, prima di descrivere il clima e l’ambiente espositivo del fenomeno artistico americano pop, avanguardia popolare la cui punta massima è rappresentata da Robert Rauschenberg, ripercorre attraverso una puntigliosa ricerca storica le esposizioni dal 1895, anno zero dell’arte mondiale nei padiglioni della laguna.


La prima biennale, inaugurata da Umberto e Margherita di Savoia, si tinge subito di polemica: cinque donne nude animano la camera mortuaria di un giovane dongiovanni defunto per eccessiva lussuria.

Il Supremo Convegno, questo il titolo del dipinto eseguito dal professore dell’Accademia Albertina di Torino, Grosso, è un quadro sconcertante per la mentalità del tempo, molti gridarono allo scandalo e levarono scudi, tentarono di inibire la visione ai religiosi; evitarne la cerimonia inaugurale, invano.

Da quel lontano 1895, escluso il periodo della Grande Guerra, vale a dire dal 1914 al 1924, i padiglioni della biennale espongono le avanguardie mondiali in piena libertà ad eccezione delle cinque mostre sotto il ventennio fascista, l’occasione la diede l’incontro tra Hitler e Mussolini alla Biennale del ‘34, a proposito dei colloqui avvenuti a Villa Pisani di Stra.

Le cinque mostre di regime, dal 1936 al 1942, ostentavano il prodotto figurativo della razza che trionfava sui falò dell’arte degenerata.

Nel 1964, ancora in clima di guerra fredda, in pieno consumismo, gli artisti si appropriano di nuovi strumenti, ampliano il campo pittorico ed estendono con la poetica dell’oggetto il linguaggio culturale.

Le opere non si presentavano più al pubblico secondo canoni accademici: disegno, pittura, luce e ombra; ma diventavano scene di un vissuto reale il cui spazio era animato da oggetti di uso comune. E ciò scompigliò buona parte del pubblico, compresi critici e giornalisti.

Malgrado ci fosse già stato il movimento Cubista, Dada, e prima ancora l’Impressionismo, l’Espressionismo, i Fauve, insomma, artisti che hanno sperimentato nuove forme espressive, non per creare “ismi” o guadagnare fama e denaro, il fenomeno mercantile è costruito dalle lobby non dagli artisti, ma per proporre il proprio sentire in sintonia con la propria personalità imbevuta di tempo vissuto ma aperti ad ogni possibile emancipazione giovanile futura.

(Mario Iannino.)

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