Cortigiana a sua insaputa (ma non troppo)
Riflessione metaforica basata sulla storia per denunciare l’asimmetria del potere e l’assenza di equità fiscale del governo Meloni
Cortigiana, non concubina. Alla corte del Sole: servire è potere
Sdrammatizziamo, ma non troppo. Quando Landini ha definito Meloni “cortigiana”, non parlava, penso, di passioni né di lenzuola, ma di funzione politica. Cortigiana, cioè figura che vive alla corte del potere, ne incarna la luce, ne riflette i raggi, ne protegge l’aura. Non concubina di Trump, anche se ne adora la linea politica: semmai, interprete devota di un sovranismo che non disturba i profitti.
D’altronde, chi mai ha visto una dama del Re Sole criticare il desco solare? Chi vive sotto i riflettori del trono non mette in ombra i benefici che da quel trono discendono. E così, nella manovra economica, nessuna tassa straordinaria per banche, assicurazioni, fondazioni: soggetti che prosperano grazie ai soldi dei contribuenti e dei depositari, ma che restano immuni da contributi di giustizia.
A corte, ogni parola è calibrata. E se qualcuno osa disturbare il banchetto, ecco che il vicepremier Tajani si alza in difesa della regina, evocando lo spettro dell’“estremismo bolscevico”. Un’espressione che sa di naftalina ideologica, utile a spaventare i servitori e rassicurare i commensali. Ma il popolo, che non siede a corte, non si lascia intimidire da fantasmi d’archivio.
La cortigiana non disturba il banchetto. Non chiede ai commensali di pagare il conto. Si limita a servire, con grazia, il potere che l’ha accolta. E noi, popolo che non siede a corte, possiamo solo osservare, annotare, testimoniare.
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