Una missione da sognatore
Una pagina da pubblicare, leggere, custodire.
dalla soglia di Aore12, dove il tempo si fa testimonianza
A chi ha camminato con me, e a chi verrà
Apro questa riflessione con un pensiero che non è solo mio, ma nostro.
Un omaggio a quei compagni di strada che non ci sono più — anime generose, fragili, forti, che hanno condiviso il cammino, il dubbio, la semina.
A loro va il primo gesto: non di lutto, ma di gratitudine.
Per ogni parola scambiata, ogni silenzio che ci ha uniti, ogni gesto che ha lasciato traccia.
Sono parte del raccolto invisibile che oggi tento di raccontare.
Ho iniziato a fare i primi passi claudicante, come un bambino che gattona, si aggrappa con forza e determinazione agli appigli, si innalza, si erge dritto e comincia a esplorare il mondo.
Il mio sguardo era curioso, il mio passo incerto, ma già allora sentivo che ogni gesto poteva diventare seme.
Ho giocato — sì, ho giocato con la vita, con le idee, con i materiali umili.
Ma quel gioco, lentamente, si è trasformato in una missione.
Una missione da sognatore: non per evadere, ma per comprendere.
Non per fuggire, ma per testimoniare.
A chi ha camminato con me e ora non c’è più,
a chi ha condiviso il dubbio, la semina, il silenzio, va il mio primo pensiero.
Non di lutto, ma di gratitudine.
Perché il loro passo è ancora presente nel mio,
e il raccolto invisibile che oggi tento di raccontare
è anche il loro.
Non ho attraversato la vita per erigere e lasciare monumenti da idolatrare, ma per seminare.
Con mani umane, con dubbi e sogni, ho cercato la strada che conduce all’empatia,
quella vera, che non si piega, che non si svende, che ascolta senza rinunciare alla propria voce.
Ho vissuto il lavoro come dignità, l’arte come testimonianza, la pedagogia come atto d’amore.
Ho raccolto frammenti, gesti, parole, e li ho trasformati in memoria condivisa.
Non ho inseguito vanità né riconoscimenti: ho cercato il senso,
e forse l’ho trovato, o forse continuo a cercarlo — ma sempre con lo sguardo rivolto agli altri.
Durante il cammino, ho incontrato anche fuochi fatui e deviazioni ingannevoli.
Mi hanno tentato, sì — come accade a chi è vivo, curioso, vulnerabile.
Ma non mi hanno mai soggiogato.
Come Siddharta, ho attraversato mestieri, ruoli, relazioni, e ne ho tratto non una morale, ma una missione: quella di restituire agli altri ciò che ho appreso, senza clamore, ma con dignità. Il cammino così inteso è già frutto, anche se non sempre visibile. E forse il raccolto non sarà un applauso, ma uno sguardo che si illumina, una coscienza che si risveglia.
Anch’io, con gli occhi aperti sul mondo e il cuore saldo nella sua inquietudine.
Ho scelto di restare fedele a una ricerca che non prometteva potere, ma verità.
Eppure, c’è stata anche l’incomprensione.
La sfiducia, la diffidenza di chi si chiedeva: “Perché lo fa? Cosa vuole davvero?”
Come se l’impegno gratuito fosse sospetto, come se ogni gesto dovesse nascondere un progetto indicibile.
Ebbene sì, volevo qualcosa.
Voglio ancora qualcosa, pretendo: l’onestà intellettuale della classe dirigente,
come esempio, come fondamento granitico del vivere insieme.
Voglio che chi guida lo faccia con coscienza, con trasparenza, con rispetto per chi lavora, crea, educa, resiste e sogna!
A chi verrà dopo, suggerisco: non temere il dubbio, non temere la fatica.
Cammina con rispetto, con curiosità, con la libertà di chi sa che ogni gesto può essere seme.
Non cedere alla fretta, né all’indifferenza.
Sii terreno fertile per ciò che merita di crescere.
A chi cammina con me: grazie.
Per ogni parola scambiata, ogni silenzio condiviso, ogni idea che ha preso forma insieme.
Siamo parte di un raccolto invisibile, ma reale.
E se anche solo uno dei nostri semi germoglierà nel cuore di qualcun altro,
allora il nostro cammino avrà avuto senso.
Con gratitudine e fiducia,
mario iannino
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