Visualizzazione dei post in ordine di pertinenza per la query c'era una volta. Ordina per data Mostra tutti i post
Visualizzazione dei post in ordine di pertinenza per la query c'era una volta. Ordina per data Mostra tutti i post

giovedì 30 maggio 2019

Ci salveremo?

C'era una volta

Come tutte le favole anche questa inizia così:
C'era una volta la classe operaia. Donne e uomini deboli culturalmente che si fidavano dei leader di quello che allora doveva essere il partito dei lavoratori. Organismi nati per fare emancipare le classi meno abbienti. Contadini. Operai. Lavoratori in genere.

Cittadini che per ragioni diverse erano sfruttati dai latifondisti, dagli industriali e dai ceti che detenevano il potere economico e sociale non ancora del tutto scomparso nonostante le lotte per la democrazia e le parità.

C'era dignità e passione nelle lotte per l'emancipazione sociale. Dirigenti e operai si confrontavano spesso. Ci si dava del “tu”!
C'era rispetto! Nonostante tutto. E i partiti di sinistra non guardavano allo spread o alla parità di bilancio. Nella scala dei valori c'era anzitutto la salvaguardia dei deboli.
Il confronto con la classe dominante era serrato ma franco. Difficilmente si facevano “sconti”.

Pci. Psi. Dc. E gli altri partiti sorti nel primo dopoguerra e nel corso delle lotte studentesche del '68 poi scomparsi a seguito degli oltranzismi delle lotte cruente, guardavano ai deboli e alla loro tutela in tutte le forme.

Lo stato sociale, il welfare come è definito adesso, era tenuto in considerazione e tutelato dai padri della costituente tant'è che diversi articoli della Carta Costituzionale lo rammentano.

C'era una volta... appunto.
Oggi si guarda al proprio ombelico. Mentre la paura del diverso ci assale, ci imprigiona in un abbraccio letale dando spazio ai nuovi despoti. Qualcosa senza dubbio si è rotto!
I vecchi partiti sono morti negli scandali della prima repubblica. I magistrati e gli inquirenti hanno messo a nudo grandi e piccole pecche di personaggi insospettabili.
Dallo scandalo delle “lenzuola d'oro” venuta fuori nel 1988, madre delle tangentopoli che mostrava il metodo di finanziamento illecito ai partiti, metodo che ancora tarda a morire, prese l'avvio una ipotetica Repubblica riveduta e corretta dall'azione del pool “mani pulite”. Inutile dilungarci.
E se Ferruccio de Bortoli nel suo ultimo libro dice fiducioso “Ci salveremo” perché, ha, appunto, fiducia negli italiani, non per essere bastian-contrari o catastrofisti ad ogni costo ma perché si constatano ogni giorno fatti di malaffare nelle istituzioni, pare che i lupi perdono il pelo ma non il vizio.

Peccati di cui anche i cosiddetti partiti di sinistra che hanno ereditato personaggi e la storia gloriosa del passato non sembrano esserne esenti.

Ci salveremo?

mercoledì 23 marzo 2011

dalla candela all'atomo, 50 anni di storia



Negli anni '50 in Calabria e nel resto d'Italia la maggior parte delle persone non aveva le scarpe, camminava scalza e aveva le toppe ai vestiti.
Nelle famiglie, i vestiti passavano dai genitori ai figli e dai grandi ai piccoli. Non si buttava niente e le donne erano educate ad una sana e responsabile economia domestica. Rattoppavano i vestiti fino a quando il tessuto teneva; rigiravano giacche e cappotti e quando i pantaloni lunghi erano collassati in prossimità delle scarpe si trasformavano in pantaloncini corti per l'estate.
Le poche persone che avevano le scarpe erano ritenute benestanti, “ricche”.
La povertà era misurata dai calli ai piedi e alle mani; dalle toppe sui vestiti; dalla gracilità. Ma, nonostante ciò, il sorriso sulla faccia dei bambini era una caratteristica usuale. Bastava poco per rendere felice un bambino: due legnetti in croce e iniziavano interminabili battaglie con la spada; una verga verde, flessibile, con una cordicella tesa alle due estremità la trasformava in arco; questi i giochi dei bambini degli anni '50 e '60 che si svolgevano per strada o nelle campagne.

Non c'era l'emergenza spazzatura. Non esistevano le buste di plastica; il polistirolo e gli imballi che oggi assediano le strade. E non cerano neanche i cassonetti! Non servivano!

La spesa si faceva al dettaglio in spacci che vendevano baccalà, sarde sotto sale, corde, stringhe, lucido per scarpe, fermagli per capelli, stivali e scarpe; anche la pasta si vendeva sfusa e avvolta in un foglio di carta ruvida, ma c'era chi preferiva portarsi dietro un canovaccio per avvolgere i maccheroni, anche se la maggior parte delle donne la pasta se la faceva in casa. Solitamente il sabato era destinato alle provviste per il pranzo della domenica. La donna di casa, sul tardi impastava la farina e la lasciava lievitare qualche ora nella madia coperta con tessuti di lana e alle prime luci dell'alba, quando il forno era ben caldo, tirava le braci ai lati e infilava le pagnotte. Non c'erano molte panetterie o forni nei paesi e neanche macellerie. Si macellava in occasione delle festività importati qualche agnello o capra e il maiale per le provviste familiari. Uccidere una mucca era impensabile fino a quando questa non si azzoppava o diventava vecchia. Al mucca forniva il latte e tirava il carro. In quegli anni ognuno si sapeva gestire la quotidianità.

Oggi non siamo più abituati e neanche abbiamo i mezzi, o forse non vogliamo riscoprire il profumo del pane appena cotto che pervade la casa; preferiamo andare dal panettiere e se questo chiude cadiamo nel panico. Ma non c'erano neanche tantissime macchine e nelle campagne il mezzo di locomozione era il somaro e non il fuoristrada, il suv che invade i marciapiedi e inquina.
Il somaro era il compagno di lavoro che s'inerpicava su per viottoli stretti e trasportava l'inverosimile anche da solo, una volta imparata la strada.

Negli anni '50 nelle case non c'era l'elettricità. Quindi, non c'era il frigorifero; la lavatrice, la lavastoviglie, il forno elettrico, la televisione e neanche i lampadari. In compenso c'erano molti sogni nell'aria. Uno di questi sogni contemplava la tecnica al servizio dell'uomo e la prima lampadina elettrica che spodestò quella a gas o a petrolio, ne accese altri di sogni, come le falene che ballavano attorno al bulbo e che nelle notti fredde riscaldava.

I sogni sono finiti all'alba, nell'era dell'energia atomica; con la bomba su Hiroshima; i disastri nucleari delle centrali di Chernobyl e di Fukushima, che l'uomo ha voluto impiantare per sopperire al consumo energetico spropositato che gli necessita per mantenere il modello di vita che si è costruito pur sapendo i danni irrevocabili che provoca l'atomo trattato fuori da certi parametri e le contaminazioni ambientali delle scorie prodotte dalle centrali nucleari in assenza di una tecnologia evoluta.
Allora?, tornare all'età della pietra? Certamente no! Basterebbe essere un po' oculati.
©riproduzione vietata

martedì 31 agosto 2010

Politica e etica in affari, la lezione di Gheddafi

Quando si dice l’associazione d’idee:

Sgranocchio per diletto una bella pannocchia bollita.
Addento di gusto i chicchi opulenti e mentre assaporo il delicato seme, di colpo penso a quando, in un tempo non molto lontano, per molti era l’unico pasto della giornata. Sì, perché negli anni della miseria non c’era una grandissima varietà di scelta nei supermercati anche perché non esistevano!
Non c’erano soldi, non c’era la tv a colori.

Non esisteva il fenomeno del velinismo e le escort erano chiamate semplicemente puttane. Non c’era neanche la possibilità di assurgere, solo per l’avvenenza fisica, a importanti incarichi istituzionali e se per caso una attricetta o una donna posava nuda o avesse mostrato il corpo al fotografo sarebbe stata etichettata in maniera diretta, “donna di facili costumi” perdendo di credibilità e onorabilità.

Oggi, ringraziando Dio le cose sono cambiate. Il mais è una leccornia specie se trasformato in pop corn, lessato e condito col burro… e le donne possono gridare la loro femminilità e dire “la F… è mia e la gestisco da me!”

Anche la cultura collettiva è cresciuta.

Le donne, dopo tante lotte femministe hanno raggiunto il ruolo che compete nella società e possono disporre della loro vita come meglio credono.
Per facilitare l’inserimento sociale è stato creato persino un ruolo istituzionale importante: le pari opportunità! Con un ministero e consiglieri regionali al femminile ad hoc.
E allora, che dire delle pagliacciate di Gheddafi e di quanti hanno programmato il suo soggiorno italiano? Delle 500 ragazze avvenenti che per pochi euro si sono prestate ad ascoltare le sue lezioni.
Finalmente, la farsa è finita. Gheddafi è partito! Ma riportiamo alcuni punti salienti della sua breve quanto tormentata visita:

Oggi, Muammar Gheddafi ha lasciato l'Italia dopo una visita di quarantotto ore carica di polemiche. L'aereo del leader libico è ripartito da Ciampino poco prima delle 13,00. Il soggiorno a Roma è dovuto ai festeggiamenti per il secondo anniversario del Trattato di amicizia italo - libico, prima istituito come giorno della vendetta libica nei confronti degli italiani invasori sempre da Gheddafi, iniziato domenica con una lezione di Islam a 500 ragazze di un'agenzia di hostess.
Ma l'intera visita romana del colonnello libico ha fatto discutere molto. Una tre giorni colorita di tanti show e cospicui contatti commerciali. E andiamo alle reazioni di illustri personaggi della politica: Maurizio Lupi e Mario Mauro scrivono una lettera e dicono «Basta palcoscenico per il rais» mentre Giorgia Meloni, ministro per la Gioventù, si dice infastidita dall'appello alle giovani italiane. Anche nell’opposizione le reazioni non mancano e David Sassoli, capodelegazione del Pd al Parlamento europeo lo definisce “uno spettacolo avvilente” e conclude dicendo: ancora una volta, «ci siamo fatti ridere dietro dal resto d'Europa».

Il governatore leghista del Veneto, Luca Zaia, pur riconoscendo l'importanza degli accordi commerciali tra Roma e Tripoli, si è detto convinto che il colonnello Gheddafi dovesse essere ricevuto «come un qualsiasi altro cittadino».

E Mara Carfagna, ministro per le pari opportunità, nota alle cronache rosa per il suo book fotografico di aspirante “artista” come mai non si è indignata per il teatrino antifemminista? Un teatrino composto da femminucce con determinate caratteristiche. O forse ha preferito adottare la tattica del silenzio stampa, oppure ha scelto la strada della diplomazia come l’Europa che non ha ritenuto opportuno “commentare le dichiarazioni di mister Gheddafi”, così ha detto il portavoce della vice presidente della Commissione Ue Viviane Reding, riferendosi alle parole del leader libico che aveva chiesto a Bruxelles 5 miliardi di euro l'anno per fermare l'immigrazione irregolare.

Più duro il Vaticano che per “Avvenire”, il quotidiano dei vescovi, la visita di Gheddafi è stata un' «incresciosa messa in scena» o «forse solo un boomerang», «certamente è stata una lezione, magari pure per i suonatori professionisti di allarmi sulla laicità insidiata». “Avvenire” si chiede soprattutto come Gheddafi - nella «tollerante e pluralista Italia» dalle «profonde e vive radici cristiane» e al tempo stesso capace di «una positiva laicità» - abbia potuto «fare deliberato spettacolo di proselitismo (anche grazie a un Tg pubblico incredibilmente servizievole...)».

E che rispondere all’editoriale pubblicato dal quotidiano iraniano ultraconservatore 'Kayhan', che sabato aveva definito la premiere dame francese, Carla Bruni, "una prostituta" a causa del suo impegno per salvare la vita di Sakineh Mohammadi Ashtiani, la donna iraniana condannata alla lapidazione per adulterio e per complicità nell'omicidio del marito. Ma ecco come motiva la sua tesi l’editorialista: "Studiando i trascorsi di Carla Bruni si comprende chiaramente perché questa donna immorale stia appoggiando la causa di una donna condannata a morte per adulterio e complicità nell'omicidio del marito, lei stessa meriterebbe di morire". L'articolo di 'Kayhan', il cui direttore è nominato direttamente dalla Guida Suprema, l'ayatollah Ali Khamenei, rinfocola la polemica tra Iran e Francia, malgrado oggi il governo iraniano abbia tentato di gettare acqua sul fuoco. Il portavoce del ministero degli Esteri di Teheran, Ramin Mehmanparast, stamane ha dichiarato infatti che "il ricorso a commenti offensivi contro cariche istituzionali straniere non è corretto e non trova l'approvazione del governo iraniano".
Carla Bruni, la scorsa settimana, ha scritto una lettera aperta alla donna iraniana per esprimerle il suo rifiuto per la pena inflittale. "Perché versare il suo sangue e privare i figli della loro madre?", si leggeva nella lettera della Bruni. "Dal fondo della vostra cella sappiate che mio marito difenderà la vostra causa senza sosta e che la Francia non vi abbandonerà".

Ecco, Mara dovrebbe prendere esempio della nostra Carla Bruni che, pur avendo lavorato e prestato il suo talento nell’alta moda e nello spettacolo, quando è necessario schierarsi per una giusta causa non ci pensa due volte… ma forse questa è un’altra storia. La storia di una donna colta.

sabato 27 marzo 2021

Vita all'aria aperta, vita in campagna

C'era una volta.



C'era una volta. Iniziano sempre così le favole per bambini. Oggi però voglio raccontarvi una storia contemporanea, anzi più che una storia una realtà, un modello di vita che si vive nelle campagne calabresi e non solo calabresi.

Insomma uno spaccato di vita che la sorte regala ancora a pochi fortunati e sono altrettanto poche le persone che l'apprezzano per quel ch'è: una fortuna! Specialmente nell'era del virus che costringe in casa gli abitanti delle città e dei paesi.

Lontano dalle ansie e dall'inquinamento cittadino. Tra il silenzio interrotto dai cinguettii e dal vento che trasporta odori della natura. Il gorgoglio dell'acqua cristallina è una nenia che muta quando incontra e accarezza gli ostacoli. L'alveo del fiume in questo periodo è quasi asciutto. Ma, nonostante l'acqua bassa a ogni passo gli zoccoli dell'asino s'inabissano. L'uomo che cammina al suo fianco ha stivali alti fino al ginocchio e non alza completamente i piedi. Il suo passo è lento, forse accarezza il fondale con le grosse suole per evitare rovinosi inciampi.

E, in una delle ceste legate sui fianchi del somaro, un bimbo, o forse una bimba?, non so, dal bel visino sfoggia un sorriso da fare invidia. Lunghi riccioli biondi incorniciano il viso. E anche se cadono davanti agli occhi non molla la presa. È eccitato, visibilmente felice per quella passeggiata; altro che giro alle giostre. Le sue manine serrano il bordo della cesta che si muove al ritmo del ciuco.

E mentre noi siamo costretti, diseducati, prigionieri delle comodità, o attratti dalla moda del momento dal suv per viaggiare in città e, mai per esplorare la natura il suo fuoristrada ha un cuore che batte al ritmo della vita e lo trasporta nel tour più accattivante: da casa ai campi e viceversa finché il sole splende.

mercoledì 14 ottobre 2015

Welfare addio!

C'era una volta la tutela della salute Pubblica.


C’era una volta la sanità pubblica che si prendeva cura della salute dei cittadini, tutti i cittadini senza distinzione di razza religione o credo politico! E c’erano delle malattie ritenute a rischio che erano esenti da ticket e quando comparivano dei campanelli d’allarme quali il sangue nelle feci o forti dolori al petto avevano la precedenza sulle altre patologie anche in pronto soccorso.
E poi venne l’austerità che si mangiò il buon senso e il rispetto delle persone. Da Monti in poi non ci furono altro che tagli. Tagli alla sanità e alla scuola. Tagli alle pensioni, sì ma a quelle piccole perché quelle d’oro dei manager e dei politici non sono state toccate per cavilli legati a tutele particolari che però non tutelano i deboli.
estratto dal portale medico
della colonscopia

Tornando al diritto alla salute che non c’è più, chiunque ha un reddito o possiede un autoveicolo deve obbligatoriamente pagare la tassa al servizio sanitario. E ancora non basta. Non è sufficiente per coprire le spese e risanare i fondi pubblici destinati alla sanità. Ci impongono di pagare il ticket! Un ticket che varia a seconda della patologia.
Facendo una veloce ricerca su internet  la malattia che accomuna molte persone risulta essere quella relativa ai disturbi del colon, fino a qualche anno addietro esentata da ticket che oggi, a seconda di quello che occorre fare per diagnosticarla, il paziente deve preventivare una spesa variabile che va dai 150 ai 500 euro.
Con la crisi che c’è … 

venerdì 3 settembre 2010

mestieri, c'era una volta in Calabria

C’era una volta, in Calabria.

"u zzappatura"



I castagni sono carichi. I ricci iniziano ad aprirsi; qualcuno, ancora verde, è già caduto tra le felci. Difficile vederlo, ma chi ha l’occhio allenato distingue subito le spine del riccio da foglie, legnetti e felci. Marco è lì col padre in compagnia di altri uomini che parlano tra loro: “ncigniamu e ccà!”* dice il padre ai contadini muniti di zappe, “rampamu u margiu de castagni luongu luongu u violu sinnò, si perdunu”.
Gli uomini si allineano. L’uno affianco all’altro alzano le zappe fin sopra le loro teste e le lasciano cadere nel terreno da rivoltare. Marco, più in là, raccoglie ricci, basta una bottarella nella “cresta” per aprirli e lui è un maestro nel farlo senza schiacciare le castagne tenere. La sua tecnica è semplice: col tacco sinistro tiene fermo il riccio e col destro imprime una leggera forza dall’alto verso il basso nella scriminatura formata dal verso delle spine. Ha le tasche piene di castagne verdi. Quelle sono destinate alla madre e alla sorellina. Lui le mangia sul posto, come testimoniano le bucce intorno.
Gli uomini nel frattempo hanno fatto un buon lavoro. Le felci non ci sono più e il terreno è zappettato e livellato a dovere. Resta ancora una fetta di prato da zappare. Gli uomini avanzano; le zappe si alzano e s’abbassano come le assi di un enorme ventaglio. Le lame addentano la terra rossa. I contadini fanno leva sul manico, sollevano la zolla, girano le zappe e frantumano la zolla col dorso.

* iniziamo da qua! Zappiamo il prato dei castagni delimitato dal viottolo sennò, le castagne andranno perse.

mercoledì 7 aprile 2021

Angelo del focolaio addio

Nel bene e nel male. Si dice!

Ma non sempre le promesse recitate insieme ai voti di onestà, comprensione e complicità giurati per la vita nel giorno più adrenalìnico di quanti coronano il loro sogno d'amore, davanti al sacerdote se credenti o al rappresentante del governo se atei, sono mantenuti.

I valori della coppia, un tempo, erano custoditi e difesi caparbiamente contro ogni punto di vista contrario alla propria etica. E le donne, sempre, paladine indomite e custodi degli affetti e delle regole familiari. Una volta era così, appunto. Vuoi per pudore o per convinzione ma la donna, in special modo, era l'eroina che s'immolava per il bene della famiglia. Instancabile, accudiva i figli, il marito e governava la casa senza battere ciglio. E se ancora in vita accudiva anche genitori e suoceri. Super eroine che non necessariamente avevano bisogno degli integratori vitaminici per svolgere la mansione di regine della casa e del focolaio. Ruolo non eccessivamente ambito dalle nuove generazioni. E per nuove generazioni intendo anche una buona percentuale delle donne nate negli anni '50 e '60 fino ad arrivare ai nostri giorni.

Per questa fascia d'età pur avendola vissuta probabilmente è come parlare di una parentesi della preistoria e se dovessimo iniziare un dialogo con le ragazze dei decenni a venire, quindi anni '70 in poi, dovremmo iniziare tipo così: c'era una volta l'angelo del focolare …

Difficile trovare una donna tenace e altruista spinta dall'amore per il congiunto o per i parenti più prossimi in sofferenza come nei momenti spensierati in cui hanno vissuto e superato insieme attimi di feste, compleanni, gite, vacanze e anche qualche imprevisto! Decisa fermamente ad accoglierli e accudirli come meritano e come recitano i criteri del vivere civile rispettando i deboli con la volontà di porgere affetto e comprensione per lenirne malattie e affanni ora che sono vecchi e ammalati.

L'Italia è diventata la terra delle badanti! La Calabria non fa eccezioni.

E quando non si trovano persone a cui affidare i vecchi deboli indifesi inutili genitori e congiunti tra cui mogli o mariti a seconda delle situazioni, si ricorre a quel luogo chiamato un tempo OSPIZIO.

Il tempo è il lessico muta, oggi li chiamiamo case di cura ma cambia ben poco! vuoi mettere il benessere psicofisico del derelitto che vive gli ultimi giorni in casa propria rispetto al suo trasferimento coatto in una anonima casa di cura? 

E' la soluzione più semplice! scrollarsi dai fardelli, dagli impicci è questione di un attimo. E una volta là, un ultimo sforzo: Ci svincoliamo dalla stretta dell'ormai debole mano e andiamo via senza voltarci.

Addio!



mercoledì 26 gennaio 2011

il silenzio dei vivi al Politeama di Catanzaro

27 gennaio 2011, il Silenzio dei vivi in scena al Politeama di Catanzaro

Ho ricevuto un invito: ragazzi che conosco fin da quando erano bambini e che ho visto crescere si sono dati al teatro; hanno studiato diligentemente e ora sono riusciti a costituire un gruppo e lavorare insieme nonostante le difficoltà oggettive in cui versa lo spettacolo e la cultura in generale.
L’invito, dicevo, informa della messa in scena di un’opera teatrale tratta da un libro autobiografico di una signora ebrea che ha conosciuto le sofferenze della deportazione: Elisa Springer.
Secondo una nota della regia che ha rivisitato i testi "L'opera racconta con sentimento e trasporto, ma anche con un velo di ironia e comicità, l'oscura pagina della Shoah, dello sterminio degli ebrei, degli zingari, dei Testimoni di Geova, degli omosessuali e di altre minoranze durante la Seconda Guerra mondiale ad opera dei nazisti. 'Il silenzio dei vivi' racconta di milioni di uomini, donne e bambini senza distinzione di razza, sesso, religione o appartenenza politica, che sono passati per il 'camino' dei forni crematori. Uno spettacolo intenso che pratica non il rito del ricordo ma il culto della memoria. Lo spettacolo si snoda sotto la guida di un parodico Hitler e intende apportare un contributo originale alla memoria, sempre meno coltivata, di quanti perirono a causa di un folle progetto, al ricordo di una pagina di storia che sempre più si tramanda solo e soltanto mediante la manualistica scolastica sterile.
La regia è di Giovanni Carpanzano; musiche originali di Rosario Raffaele; coreografie di Francesco Piro, Paolo Orsini e Rosella Villani.
Tra gl’interpreti Paola Tarantino, catanzarese, che ha studiato a Roma, laureata in letteratura e filosofia con indirizzo spettacolo, diplomata alla scuola di teatro “circo a vapore di Roma”.

Ma torniamo al libro ispiratore e alla sua autrice per capire appieno e ricordare il clima di quei tristi anni di guerra e oppressione.
Elisa Springer aveva 26 anni quando venne deportata, nell'agosto del 1944 ad Auschwitz e ha scritto "Il silenzio dei vivi" ad oltre cinquant'anni di distanza da quel tragico momento storico.
Figlia di una ricca famiglia viennese, Elisa Springer ha perso nello sterminio i genitori e la quasi totalità dei parenti. Scappata in Italia nel 1940 per sfuggire alle persecuzioni in Austria, è stata arrestata nel giugno del 1944 a Milano e da lì deportata ad Auschwitz-Birkenau in agosto. In seguito è stata rinchiusa anche nei campi di Bergen-Belsen e Theresienstadt. Dopo la liberazione è tornata a vivere nel nostro paese, a Manduria, in provincia di Taranto.
Ecco, attraverso le sue parole il ricordo di quei momenti drammatici e le considerazioni seguenti in un vissuto apparentemente tranquillo e normale nell’Italia liberata:
"Mi ricordo molto bene di Bolzano. Quando sono tornata dal lager, nell'estate del '45, siamo passati per la stazione. C'erano decine di bambini che ci gettavano le mele. E' stata una cosa bellissima".
ciononostante, all’inizio nessuno voleva ascoltare. Il mio silenzio è stato causato dal silenzio degli altri. Questo è il motivo per cui tantissimi sopravvissuti ancora oggi non parlano.
Il titolo del libro, "Il silenzio dei vivi", ha dunque un duplice significato. Nei vivi sono compresi un po' tutti: noi sopravvissuti, ma anche tutti gli altri che hanno taciuto o non hanno voluto sapere.
Oggi finalmente si può affrontare pubblicamente il tema dello sterminio. Quando ho visto il Papa andare ad Auschwitz e che sui giornali e in televisione l'argomento veniva trattato con sempre maggiore attenzione, mi sono convinta che era arrivato il momento di raccontare la mia storia. Per
anni, noi sopravvissuti, le vittime, ci siamo quasi vergognati di essere scampati al lager.
Dopo la guerra ho insegnato inglese e tedesco in provincia di Taranto. Una volta un alunno mi ha
chiesto cosa fosse quel numero che avevo tatuato sull'avambraccio. Ho tentato di spiegarlo, ma i ragazzi si sono messi a ridere. Mi sono vergognata. E' stata una pugnalata al cuore. Allora ci ho messo sopra un cerotto: non volevo più essere derisa. Un cerotto che ho tenuto per molto tempo.

Oggi vedo un cambiamento: se ne parla molto di più, specialmente a scuola. Anche se, come ho detto, si paga ancora il silenzio delle generazioni precedenti. Un anno fa sono andata in un liceo di Vienna. I ragazzi erano molto attenti, curiosi. A un certo punto ho raccontato un particolare che
non compare nel libro, e cioè che nel campo di Bergen-Belsen ero nella stessa baracca di Anna Frank. Uno dei ragazzi si è alzato e mi ha chiesto "chi è Anna Frank?", non la conoscevano! Una cosa gravissima. Molti di questi giovani hanno avuto i nonni che hanno fatto la guerra, che hanno votato per l'annessione alla Germania. Questa ignoranza deriva proprio dal fatto che i loro padri e i loro nonni - non dico solo per malafede, ma forse anche perché se ne vergognano - hanno fatto diventare il passato nazista e lo sterminio dei temi tabù. Tanto da tenere nascosto uno dei classici sul lager e all'indomani del successo elettorale di Haider mi sono sentita male. Ero molto agitata. Purtroppo sembra che la gente si sia dimenticata completamente di quanto è accaduto. Probabilmente nel voto c'è anche una rivolta contro gli immigrati. E la cosa non mi fa certo stare tranquilla. Dopo Auschwitz non si può condurre una vita normale. Ci si fa l'abitudine. Ci pensi sempre, con dolore. Chiudi gli occhi ed è là. Ma ci si abitua a vivere col dolore. Oggi mi sento alleggerita, grazie agli incontri che sto facendo da due anni per presentare il libro. Quando
Parlo sento che la gente mi capisce e, a volte, mi sento felice.

Non ce l'ho con i tedeschi. Per me l'umanità è tutta uguale. Siamo tutti figli di uno stesso dio. Bisogna solo saper distinguere i buoni dai malvagi. Molti sopravvissuti non riescono nemmeno a pronunciare la parola "Germania". Io no, perché allora non bisognerebbe rifiutare soltanto la Germania, ma anche l'Austria. Non dimentichiamoci che nel '38, oltre il 90% della popolazione ha votato l'Anschluss. Anche l'Italia ha fatto la sua parte. Io sono stata arrestata a Milano su denuncia di un'italiana. Per non parlare, poi, del collaborazionismo in Ungheria, Polonia, Francia. Non si può
prendersela solo con la Germania.
Auschwitz? Non si può descrivere con un'immagine. Auschwitz significava vivere continuamente nel terrore, con la paura di non sapere se fra 5 minuti sarai ancora in vita. Bastava sentire il fischietto del campo che significava "tutti fuori, selezione", e non sapevi che sorte ti toccava. Auschwitz significava dover scavalcare continuamente mucchi di cadaveri, compagne che morivano di sfinimento e da sole, svegliarti alla mattina accanto a un cadavere. Si diventava quasi indifferenti alla morte: io mangiavo il mio pezzo di pane mentre vedevo caricare su un carrello pile di corpi. Auschwitz significava essere una persona morta, vivere come un automa finché era possibile. E vivere solo di ricordi. Pensavi solo al passato.
Recentemente ho rivisto il viso di Joseph Mengele in alcune foto. Non reggo quello sguardo, non lo posso guardare. Non sopporto quella faccia. Lo vedo sempre davanti a me, con gli occhi fissi su di noi. Noi non lo potevamo guardare, dovevamo tenere sempre lo sguardo verso il basso o al di sopra della sua testa. Con un cenno del pollice ti dava la vita o la morte. Appena arrivati ti mandava al gas o in campo, e poi faceva le selezioni ogni 15 giorni. Bastava un foruncolo o una piaga per finire nel camino. Una volta mi hanno bruciato con un ferro rovente su una coscia perché avevo sorretto una
compagna durante un lungo appello. Mi hanno chiamata fuori dalla fila e mi hanno punita davanti a tutte. Ho scampato il gas solo perché, quando la ferita era ancora aperta, non ci sono state selezioni.
Ad Auschwitz abbiamo subito degli esperimenti medici senza saperlo. In lager abbiamo perduto tutte il ciclo mestruale con gravi conseguenze. Quando sono tornata sono stata ricoverata oltre un mese a Milano. Pensavo che non sarei mai stata in grado di mettere al mondo un figlio.

Dopo 50 anni sono tornata a Birkenau. Non è cambiato niente, è come se entrassi a casa mia.
Conosco ogni angolo, ogni pezzetto". Insomma non c'era niente di nuovo, perché io vivo con quella visione. L'unica cosa che mi ha colpito un po' è stato l'arrivo a Birkenaun, sulla rampa dove veniva effettuata la prima selezione, vedere quei binari, quel portone grande... Mi sono
ricordata quando sono passata là sotto, il 6 agosto 1944. E' stato un attimo. Siamo arrivati alle 3 di notte. Abbiamo visto tutto questo filo spinato. Il lager era illuminato a giorno. Non sapevamo cosa ci aspettava, ci illudevano che saremmo andati in un campo di lavoro. Vedevamo le fiamme uscire dal camino, e sentivamo la puzza, ma pensavamo che fossero i vestiti che venivano bruciati. Pensavamo tutto tranne che fossero esseri umani.
Cercavo di ricordare i momenti sereni, prima dell'Anschluss. Pensavo ai miei genitori. Alla mia vita a Vienna. Ho avuto sempre la volontà e lo spirito della sopravvivenza. Non volevo morire e non mi sono lasciata morire. Mi sono sempre detta "un giorno finirà". Ed è stata la mia fortuna. Poi mi ha aiutato anche il fatto che parlavo perfettamente il tedesco. Dovevi ubbidire immediatamente ai comandi, e chi non capiva veniva preso a frustate: per un corpo già debole significava morire.
Per sopravvivere ognuno cercava di formarsi un piccolo gruppetto. Io avevo una mia amica, Edith Epstein, una viennese con cui ho fatto tutta la prigionia. E ci siamo date fare insieme per sopravvivere. Ma non tutte erano così. Una notte ho visto una madre rubare il pane alla figlia da sotto la testa. Gridavano, litigavano, poi la ragazza è stata uccisa. Molte si azzuffavano per il cibo
o per il posto per dormire.
Levi ha scritto: c'è Auschwitz, dunque non c'è Dio.
Io la penso diversamente. Non è stato dio a mettere l'uomo in ginocchio, ma il contrario. Dio esiste, dio c'è e non ha voluto tutto questo. E' sempre l'uomo il colpevole. Ho pregato dio. Gli ho sempre chiesto di aiutarmi. Molti, in lager, hanno perso la fede. Ma se io non l'avessi avuta, non so se ne sarei uscita viva. Quando mi sentivo abbandonata dialogavo con dio, è così che così sono riuscita a superare i momenti più duri.

venerdì 10 gennaio 2014

C'era una volta la Fiducia

La questione del lavoro giovanile.

L'età, il lavoro, la cultura.


Alla casa del piacere della signora Gemma, ma anche negli altri bordelli d'Italia, c'era un cartello esposto. Singolare e fantasioso se fosse esposto oggi ma non privo di attenzione verso i giovani.

Singolare perché si leggevano modalità e tariffe con annessi e connessi tipo la saponetta normale o l'acqua di colonia sborsando una piccola aggiunta ma includevano, e per quei tempi era una sciccheria, acqua e asciugamano di tela.

Fantasiosa, molto fantasiosa per i nostri giorni visto come e quanto sono tenuti in considerazione i giovani dall'attuale classe dirigente, anzi, l'attenzione verso i giovani era "premurosamente educativa". che benevolmente elargiva un occhio di riguardo ai giovanotti di primo pelo che si affacciavano per la prima volta alle gioie della vita.

Signori, l'ossimoro è servito! Traete le dovute correlazioni tra l'iniziazione all'età adulta maschilista d'un tempo che ancora grava sulla nostra cultura sociale e le possibilità d'azione contemporanee di quanti viviamo le contraddizioni sociali indotte dalla politica pilotata dai burattinai dell'alta finanza.

Certo che se i quarantenni al potere dell'Italia del 2014, il giovane Letta e il burattino Matteo, con un atto di coraggio recidessero i fili che li tengono ancorati a logiche di potere economico insostenibili e mettessero in campo accortezze mirate per garantire il lavoro e lo studio dei giovani, il reinserimento dei meno giovani nelle attività sociali, molte storie di degrado non riempirebbero i giornali e non salirebbero agli onori della cronaca.

ps: allungare l'età pensionabile è il risultato della politica miope dei burocrati che si cibano di numeri ma decima le vite delle persone; risana i conti INPS e uccide la dignità degli anziani, mortifica le tutele dei lavoratori perché annulla i diritti acquisiti dei dipendenti subalterni ma mantiene intatte le pensioni d'oro e tutela la casta.

lunedì 11 novembre 2019

Le scarpe nuove

Sì, devo rivedere alcune abitudini. Anche perché non siamo più negli anni 60 quando le madri raccomandavano di tenere cura ai vestiti e alle scarpe della festa.
Una volta le madri e anche la mia quando indossavo le scarpe nuove e uscivo per incontrare gli amici mi gridava dietro: “…mi raccomando non giocare a pallone! Queste sono le scarpe della domenica!!!”.
Sì, non c’era molto da cambiare e scambiare. Il vestito buono e le scarpe lucide s’indossavano esclusivamente la domenica per andare a messa o a trovare i nonni e nelle feste raccomandate. Per gli esami e poche altre grandi occasioni dov’era necessario fare una buona impressione. “Vestiti zuccuna ca pari baruna” era una frase che si sentiva spesso allorché facevamo resistenza perché le scarpe vecchie erano più comode e ci sentivamo a nostro agio con i jeans.
E guai se c’era qualche strappo o qualche toppa! Sia mai! Dicevano con sdegno le buone madri di famiglia, quando ci passavano in rassegna. Peggio che in caserma! Scrima diritta; piega perfetta; colletto bianco; scarpe lucide e ben annodate; unghie corte e pulite…

È anche vero, però, che un tempo le scarpe ed i vestiti erano fatti per durare. Quindi materiale di prima qualità: pellame ben conciato per le scarpe e tessuti d’origine naturale quali la lana e il cotone per cucire dal sarto i vestiti delle grandi occasioni. Infatti duravano per molto tempo e passavano in dote dal fratello grande al piccolo.
Adesso tra il consumismo sfrenato e la qualità che scarseggia, piccole e grandi marche e la distribuzione hanno escogitato e coniato un altro modo per tenere vivo l’interesse massivo dei potenziali acquirenti così da fare girare i soldi nel commercio della roba d’uso quotidiano: “la resilienza programmata”!

Ma torniamo al concetto principale. Cioè al fatto di riconsiderare l’utilizzo delle scarpe “buone” e dei vestiti eleganti:

Avevo comprato delle belle scarpe. Un paio di scarpe comode nonostante fossero nuove. Ottimo! Mi dissi. Le terrò da parte per le occasioni importanti.
Infatti le usai pochissimo. E l’ultima volta che le indossai le suole si sbriciolarono: disintegrate peggio delle buste di plastiche che si sciolgono nel giro di poco tempo.

martedì 30 luglio 2024

Inquinamento visivo e sovraesposizioni d'immagini inutili

 


C’era una volta la fotografia.

La transizione tra analogico e digitale è stata una mutazione consapevole nei costumi e nelle comunicazioni?

Chi ha una certa età ricorda la macchina fotografica manuale e semiautomatica. Il rituale del rullino, il flash, l’esposizione, il soggetto, lo sviluppo in camera oscura e la stampa.

sabato 19 novembre 2011

a teatro con i Vecchi Giovani

Tra Catanzaro centro e Marina, antico nome del quartiere marinaro della città del quale i “marinoti” andavano fieri, oggi trasformato in Catanzaro Lido, fino agli anni '80 c'era una enorme distesa argillosa coltivata a uliveti ma che dava sostentamento agli abitanti del quartiere Santa Maria perché ricca di verdura selvatica come la cicoria e anche ottimo sito per la riproduzione naturale delle lumache. Un tempo, negli anni 60 quando ancora sulla targa d'accesso al paese c'era la dicitura “Santa Maria di Zarapoti” gli abitanti del quartiere Santa Maria di Catanzaro vendevano per strada i prodotti della terra e da qui il nomignolo di “vermiturari” affibbiato dai catanzaresi per indicare l'usanza territoriale dei raccoglitori di lumache, dette, in vernacolo, “vermituri”.

Negli anni ottanta, appunto, la zona rurale tra Santa Maria e Lido è stravolta dalla cementificazione. Il comune decide col piano regolatore di assegnare alle cooperative edilizie l'intera area. Nascono le cooperative “Calabria, Co.pa.ca, Cassa edile” e molte altre, tutte composte da coppie giovani in cerca della prima casa.
All'epoca il fango rappresentava un problema serio in inverno per le famiglie pioniere costrette a insediarsi. Ma si era ragazzi, e l'entusiasmo giovanile imponeva di trovare la soluzione, se costretti ad avventurarsi con la pioggia per strada s'inforcavano buste di plastica per salvaguardare scarpe e pantaloni e via!...
aore12blog
Oggi, ovviamente, non è così! le strade sono asfaltate ed è sorto un parco giochi per bambini, anche se alcuni problemi inerenti l'urbanizzazione permangono. Ma non è questo il tema che intendo trattare. Le riminiscenze sono sorte spontanee conseguenzialmente ad un episodio recentissimo, grazie al quale ho ripercorso a ritroso l'esperienza descritta e ciò lo devo ai vecchi giovani! Chi sono i vecchi giovani? Sono “ragazzi della mia età” dalla fisionomia familiare, d'altronde in una piccola città di provincia, bene o male, ci s'incontra. Questi ragazzi abitano a Corvo e hanno la passione per il teatro. Ma andiamo per ordine:
come tutte le sere, il mio amico Vasco mi porta a spasso. Il suo percorso è quasi sempre lo stesso e quando qualcosa di diverso muta fino ad innovare lo spazio, la sua curiosità lo spinge a esplorare ogni angolo per comprendere i cambiamenti e capire se la novità è buona o cattiva, come quando si mise ad abbaiare difronte ad una gigantografia pubblicitaria attaccata oltre gli spazi assegnati alla comunicazione visiva. Questa volta un treppiedi da pittore con su una locandina e una maschera appesa sbarra la strada. Vasco non abbaia, ci gira attorno; annusa e tira verso l'ingresso. Lo seguo. Entriamo e siamo accolti affabilmente da Maurizio Gemelli, direttore artistico dell'associazione culturale “Vecchi Giovani”, il quale mi rende edotto delle finalità associative.
In breve: è un'associazione composta da persone che amano il teatro e si danno da fare nel quartiere da circa vent'anni interessando e invogliando giovani e meno giovani all'arte della recitazione.
I locali sono accoglienti e ben divisi: c'è la sala palco con posti a sedere, il laboratorio per le scenografie e la sala dove nascono le idee da portare in scena.
Ora sono aperte le iscrizioni per i corsi di teatro dirette da appassionati attori catanzaresi per i bambini e, come dice l'intestazione stessa, anche per i Vecchi Giovani che vogliono cimentarsi a calcare le scene.


giovedì 13 agosto 2020

Momenti

Accedo a facebook per rispondere ad una notifica.


Raramente lo faccio.

Scorro la pagina e vedo un post. Per l'esattezza una foto in cui sono ritratte persone a me note e care e tra loro una figura che ricordo con affetto: il mio compare Girò, il cui vero nome era Vincenzo Barbieri di Torre di Ruggiero ma tutti chiamavano “compare girò” perché sempre in giro sulla sua moto guzzi. O forse su una motocicletta gilera?, per la Calabria

Di lui ho tanti ricordi, un carissimo ricordo in particolare legato alla mia infanzia mi sovviene ogni volta che ascolto musica o, meglio, un messaggio vocale.

È stato lui a farmi conoscere il registratore a nastro. Lo portò in casa mia durante i festeggiamenti in onore alla Madonna, Maria SS della Luce, protettrice del mio paese natìo: Palermiti. Per l'occasione c'era imbandita una tavola lunghissima e attorno la mia numerosa famiglia pranzava con spirito di devozione.



Il magnetofono era affascinante. Magico per certi aspetti. Parlavi e potevi riascoltare la tua voce nell'immediatezza, cantavi, sospiravi, soffiavi facevi rumori strani e riascoltavi dall'altoparlante inserito nel coperchio dell'apparecchio i suoni riprodotti con qualche leggera sfumatura. La tecnica era ai primordi. Non c'era la regolazione dei toni bassi e alti, tutte sofisticate diavolerie tecnologiche che prenderanno piede nel futuro con l'evoluzione della tecnica e, quindi, con l'inserimento dello stadio equalizzatore nei sistemi hi-tech.

Io ero attratto da quell'aggeggio magico.


Eravamo negli anni '60.

E ogni volta che scorro l'album di famiglia rivivo quei momenti.

Torno bambino. Divento ragazzo. Prima comunione. Cresima. Il collegio. Primi amori. Scottature. Delusioni che fortificano. Insomma, come tutti, superati gli 'anta, accumulo ancora esperienze e, grazie alle persone incontrate lungo il cammino, tra alti e bassi, sono ancora qua.


Un carissimo e fraterno abbraccio cosmico.

lunedì 4 giugno 2012

c'era una volta in Calabria

Archeologia di un mondo che non c'è più

immagine tratta dal libro "I braccianti in Calabria" di Ledda e Veltri
"attimi di vita contadina"  foto Ledda/Veltri
"I braccianti in Calabria" 1983

Quando la terra si lavorava con la forza delle braccia e l'aratro era trainato dai buoi i contadini vivevano di stenti e di fatica. In quel tempo l'unico sostentamento proveniva dalla terra e dalle colture che il contadino riusciva a produrre. Perciò, il suo problema non era lo spread o la tassa sulla casa e neanche la macchina e i relativi giochetti strategici di Marchionne. Il contadino pregava la Divina Provvidenza, suo unico concessionario di fiducia, affinché facesse piovere nel momento giusto così da ottenere un buon raccolto e ché non si ammalassero gli armenti, l'asino, le capre, il maiale, le galline.

Il contadino si alzava al levar del sole e, bardato l'asino, si avviava a controllare il podere sulla soma del ciuco. Dava l'acqua alle colture attraverso una serie di ruscelli d'irrigazione che lui stesso scavava nel terreno e “stagghiava l'acqua” mandava l'acqua dove era necessaria, estirpava le erbacce infestanti e raccoglieva gli ortaggi e la frutta maturata dal sole.

L'acqua del fiume o della sorgente era di tutti e le regole di buon vicinato, affinché nessuno rimanesse senza, imponevano la turnazione programmata per le innaffiature dei poderi.
Ovviamente i terreni limitrofi ai pozzi d'acqua, alle fiumare o con sorgenti proprie erano le più ricche e ambite.

Gli utensili del mondo rurale erano pochi ma necessari: zappe, vanghe, tridenti, rastrelli, “chjiantaturi” punteruoli autoprodotti con dei rami e servivano per piantare le giovani piantine. Cesti, panieri e cannicci per raccogliere e contenere i frutti o essiccarli al sole.
E poi c'erano i cocci per mangiare o contenere le provviste in salamoia, sotto sale o ricoperti con la sugna di maiale che in dialetto calabrese si chiamano: salàturi, 'nsàlatera, pìgnata, vòzza.
La brocca, (a vòzza) è un recipiente di terracotta che un tempo conteneva l'acqua o il vino oggi è un souvenir.  

domenica 26 giugno 2011

Calabria, crocevia di storie

Gente del sud.

Ricordo chiaramente la sensazione di disagio che saliva quieta mentre mi accingevo a trascorrere un periodo della mia vita in luoghi sconosciuti. Luoghi che, a detta dei media, sono tutt'ora sinonimo di ‘ndrangheta, di malaffare e violenza. Se fosse dipeso da me avrei fatto volentieri a meno, e mentre preparavo le valigie immaginavo scene di sangue, aggressioni, arroganze … ma no! Ripetevo mentalmente per farmi coraggio. Eviterò i luoghi malfamati, le periferie e le persone rozze. Mi faccio i fatti miei e dopo il lavoro, una doccia e via su qualche spiaggetta dei mari del sud!, tra lo Jonio e il Tirreno c’è solo l’imbarazzo della scelta! Sì, mi faccio i fatti miei e mi godo il sole e il mare pulito della Calabria selvaggia.
©arch.M.Iannino
veduta sullo jonio

Quant’è vero che la fantasia condiziona la realtà anche di noi calabresi cresciuti nelle città. A furia di sentire storie di cronaca nera, tutto diventa cattivo. È come un virus che penetra dentro il corpo buono e lo infetta, provocando, a volte, metastasi.
Oggi lo posso affermare con convinzione! La Calabria, non è tutto quello che si legge o si sente. La Calabria e la sua gente sono ben altro! L’ho scoperto a mie spese. Non perché abbia deliberatamente fatto delle ricerche, ma perché condizionato da un lavoro che mi ha portato a conoscere moltissimi paesini dell’interland compresi quelli che mai avrei pensato di visitare. Paesi che nell’immaginario collettivo sono covi di ‘ndranghetisti, con cantine trasformate in covi per latitanti e campagne piene d’insidie.
Ci sono anche questi!, inutile negarlo; paesi tristemente noti per faide sanguinarie tra persone dotate di un’intelligenza primitiva protese a salvaguardare i propri interessi con ogni mezzo, anche con la violenza, ma non sono per strada a dare fastidio alla gente che passa, sono attenti ai loro affari come nel resto del mondo; d’altronde, la cronaca parla di episodi efferati accaduti a Roma, Milano, New York. E che dire, allora, delle guerre economiche innescate dai poteri occulti dell’alta finanza? Di quella lobby famosa come mafia dei colletti bianchi che pur di guadagnare e fare profitti non bada a nulla? La stessa che fa transazioni d’affari con imprenditori sani e malavitosi senza battere ciglio? La seconda scelta, naturalmente, non giustifica la prima, ma è tanto per ricordare che nella società ci sono i buoni e i cattivi dappertutto!
Cosa diversa è la delinquenza comune, il bullismo, l’indifferenza, fenomeni sociali, questi, che fanno più vittime nelle grandi città piuttosto che nei paesini dove tutti si conoscono e l’ospitalità è ancora ritenuta un dovere sacro da rispettare. Ma quanti sono o saranno indotti a recarsi in quei luoghi da pressanti situazioni lavorative e quanti invece per amore di bellezza per la conoscenza? saranno le stesse che abbattono le paure perché ne va di mezzo la tranquillità economica personale e della famiglia per chi è sposato? Ecco, questo mi sono chiesto, specie dopo aver letto un articolo su Repubblica a firma di uno scrittore, noto per avere scritto un libro sulla camorra, ora sotto protezione perché ha ricevuto minacce di morte dopo averlo pubblicato e conteso dai “salotti sull’antimafia”, che titolava “Così si muore in Calabria, per la legge della terra” e intercalava, a mio avviso, quasi compiaciuto: “…ma questa non è una strage dettata semplicemente dal raptus di paesani che vivono in terre del sud dove ci sono più pistole che forchette…”.
La mia esperienza, dicevo, è diversa. Ho conosciuto i calabresi, quelli resi “brutti” da giornalisti e scrittori di cronaca dalla penna facile; sono entrato nelle loro case; non ho trovato pistole nei cassetti delle cucine ma forchette e posate. Posate per imbandire le tavole con lo scopo di accogliere degnamente gli ospiti.
Le storie che seguono, se pur romanzate prendono spunto da esperienze reali. Incontreremo i luoghi e l’animo della gente, le diverse realtà conosciute in uno spaccato molto vicino al vero, come i paesi dell’accoglienza dove gli extracomunitari si sono insediati e convivono con i calabresi tra scorci paesaggistici d’incommensurabile bellezza.
Buona lettura.

lunedì 17 marzo 2025

Un amore d'altri tempi

di mario iannino 

 C'era una volta. Così iniziano le favole. Oggi, però, voglio parlare di uno spaccato di vita reale, non romanzata, forse un po', quel tanto che basta per riandare con la mente indietro nel tempo.  Un'era non giurassica e neppure molto lontana, quando i valori, prima che sacramenti impartiti dagli officianti e dalle leggi, erano questioni morali cresciuti e alimentati con il latte materno. E le azioni, gravidi d'empatia forgiavano le menti di sentimenti sentiti quotidianamente. Esempi Granitici. Tenacemente vividi. Sentinelle che sapevano come squarciare le ragnatele intessute dal tarlo dubbioso e passare oltre. Camminare insieme, mano nella mano per alimentare la fiaccola e dissipare le ombre scaturite dalle inconsistenti gelosie patologiche che minano l'unione tra due persone e indiriźare i propri passi verso l'altare coerente dell'eterno: finché morte non separi, e anche oltre, rendendo l'unione un evento unico e indissolubile. 

Ecco, la storia che segue è testimonianza di una unione singolare ma non unica per le generazioni di quei tempi. 


"Nodi indissolubili. t.m. m.iannino" 

Una storia d’amore desueta per i tempi che viviamo. Appunto! Una favola d’altri tempi, potremmo dire. Un’esperienza intima non sbandierata e messa a nudo sui social senza ritegno, enfatizzata per magnificare rapporti di qualche mese e, bene che vada, di qualche anno.

sbirciando qua e là

sbirciando qua e là
notizie e curiosità
non vendiamo pubblicità. Divulghiamo BELLEZZA ...appunti di viaggio...at 12 o'clock post in progress
AMBIENTE CULTURA TERRITORIO EVENTI e elogio della BELLEZZA ...appunti di viaggio... at 12 o'clock post in progress
non vendiamo pubblicità. Divulghiamo BELLEZZA ...appunti di viaggio...at 12 o'clock post in progress
non vendiamo pubblicità. Divulghiamo BELLEZZA ...appunti di viaggio...at 12 o'clock post in progress

Post suggerito

Un salto in Calabria

  La scogliera di Cassiodoro è situata tra i comuni di Stalettì e Montauro, nel golfo di Squillace. L’affaccio sul mare è spettacolare! ...

a ore 12 ... ...at 12 o'clock ... post in progress, analisi e opinioni a confronto
a ore 12 ... ...at 12 o'clock ... post in progress ... analisi e opinioni a confronto
a ore 12 ... ...at 12 o'clock ... post in progress, analisi e opinioni a confronto

Sulle tracce di Cassiodoro

Sulle tracce di Cassiodoro
Flussi e riflussi storici

SPAZIO ALLA CREATIVITA'

SPAZIO ALLA CREATIVITA'
La creatività è femmina

un pizzico di ... Sapore

Un pizzico di ---- cultura --- folklore --- storia --- a spasso tra i paesi della Calabria e non solo. ---Incontri a ore 12 Notizie & ...Eventi ...at 12 o'clock... Opinioni ... works in progress, analisi e opinioni a confronto
Itinerari gastronomici e cucina mediterranea

Cucina Calabrese

Cucina Calabrese
... di necessità virtù
a ore 12 ... ...at 12 o'clock ... post in progress, analisi e opinioni a confronto

post in progress

a ore 12 ...accade davanti ai nostri occhi e ne parliamo...at 12 o'clock post in progress
e-mail: arteesocieta@gmail.com
...OPINIONI A CONFRONTO ...

...OPINIONI A CONFRONTO ...

POST IN PROGRESS

Dai monti al mare in 15' tra natura e archeologia

A spasso tra i luoghi più belli e suggestivi della Calabria

Da un capo all'altro

Da un capo all'altro
Tra storia, miti e leggende

Per raggiungere le tue mete consulta la mappa

ALLA SCOPERTA DELLA CALABRIA

ALLA SCOPERTA DELLA CALABRIA
PERCORSI SUGGERITI

Translate