Mimmo Lucano, l'Impresentabile

 


"Impresentabile? No, semplicemente scomodo."

La definizione di “impresentabile” affibbiata a Mimmo Lucano è il riflesso di una politica che fatica a distinguere tra chi infrange la legge per profitto e chi la sfida per umanità. Lucano non ha rubato, non ha arricchito sé stesso, non ha costruito clientele. Ha costruito accoglienza. Ha messo in discussione un sistema che spesso tratta i migranti come numeri, non come persone.

La sua condanna in primo grado è grave, certo, ma non definitiva. Eppure, viene bollato come “impresentabile” mentre altri, con carichi pendenti ben più pesanti e motivazioni ben meno nobili, continuano a sedere nei palazzi del potere senza che nessuno batta ciglio.

La legge Severino dovrebbe tutelare l’etica pubblica, non diventare uno strumento per silenziare chi propone modelli alternativi. Lucano ha fatto politica con l’utopia, non con il tornaconto. E in un Paese dove l’utopia è vista come minaccia, non stupisce che venga messo all’indice.

Riace non è solo un esperimento sociale: è una domanda aperta alla coscienza collettiva. E chi ha paura delle domande, preferisce etichettare chi le pone.


Mimmo Lucano, l’impresentabile che ci presenta un problema più grande

In Italia, il termine “impresentabile” è diventato una medaglia al disonore cucita addosso a chi osa disturbare l’ordine costituito. Non serve una condanna definitiva, non servono prove schiaccianti: basta essere scomodi. Mimmo Lucano lo è. E per questo, viene escluso, etichettato, silenziato.

Lucano non ha costruito clientele, non ha accumulato potere, non ha fatto carriera. Ha costruito Riace. Un modello di accoglienza che ha funzionato, che ha restituito vita a un borgo morente e dignità a chi non ne aveva. Ma in un Paese dove l’accoglienza è vista come minaccia, chi la pratica diventa bersaglio.

La sua condanna in primo grado – 13 anni e 2 mesi – è stata accolta con applausi da chi da tempo aspettava il momento giusto per screditarlo. Ma il reato vero, quello non scritto, è aver dimostrato che un’alternativa è possibile. Che si può amministrare con empatia, che si può disobbedire per giustizia.

La Commissione parlamentare antimafia lo ha definito “impresentabile” alle elezioni regionali. Eppure, ogni tornata elettorale è piena di candidati con processi aperti per corruzione, voto di scambio, rapporti con ambienti mafiosi. Quelli, però, non disturbano. Quelli sono presentabili, perché non mettono in discussione il sistema. Lucano sì.

La legge Severino, nata per tutelare l’etica pubblica, rischia di diventare un’arma contro chi agisce per ideali. Non è la legalità il problema, ma la sua applicazione selettiva. Perché in Italia, chi ruba milioni può essere riabilitato, ma chi infrange una norma per aiutare un migrante viene crocifisso.

Lucano è impresentabile solo per chi ha paura della speranza. Per chi teme che l’umanità possa diventare prassi amministrativa. Per chi preferisce il cinismo alla compassione, il controllo al cambiamento.

E allora sì, chiamiamolo pure impresentabile. Ma ricordiamoci che, in un Paese dove l’etica è spesso un optional, l’unico vero scandalo è che ci siano così pochi Lucano.


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