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domenica 23 maggio 2010

Racconti di vita in Calabria: divagazioni tra arte, folklore, storia e contemporaneità

Racconti di vita in Calabria. 1.
Cucina mediterranea e sapori di Calabria. 
Calabria mistica .
Percorsi culturali, luoghi, paesi e artisti.

©archivio M.Iannino
Palermiti

Costumi e società.

Siamo agli inizi degli anni cinquanta in uno dei tanti centri calabresi retti esclusivamente dall’economia contadina, insomma uno di quei paesini piccoli piccoli persi tra i boschi dell’entroterra e spopolati dal miraggio economico industriale, fenomeno ammiccante che ha invogliato la gente a lasciare i campi e invadere Torino, Milano e le altre città del nord dove si sfornavano le prime 500, le prime televisioni in bianco e nero, i primi frigoriferi. Città industriali che offrivano possibilità maggiori a meccanici, muratori, operai siderurgici e tessili piuttosto che a braccianti.
Ecco, dicevo, in uno di quei paesini calabresi dove il tempo era scandito dai tocchi delle campane e dove ancora la giornata iniziava all’alba e finiva al crepuscolo per i contadini, dopo nove mesi d’attesa e un travaglio casalingo, una nuova vita rallegra la casa di una bella famigliola composta da quattro sorelle e due fratelli, ma non finisce qui. A quei tempi si diceva che il sangue è ricchezza! La gioia albergava nelle famiglie numerose cosicché, dopo due anni arrivò una sorellina.
Come nelle favole, le giornate trascorrevano, tutto sommato, tranquille. I bambini giocavano, andavano a caccia di lucertole e i grandi impegnavano il tempo a scuola e/o nei campi. L’impegno, naturalmente dipendeva dalla disponibilità economica ma anche dalla cultura del tempo. I latifondisti, i piccoli proprietari terrieri, cercavano di tesaurizzare tempo e colture, nel senso che associavano agli studi la gestione e la cura delle terre, mentre i contadini poveri vendevano le braccia di stagione in stagione.

(segue) gli anni del dopoguerra

sabato 15 maggio 2010

sulla natura e sugli arbitrii



La natura è forte. Caparbia. Laddove l’uomo ha cementificato e reso vivibile in maniera arbitraria o secondo criteri ineccepibili ed ha costruito opere degne dei luoghi e bonificato, i rigogli naturali degli eventi primaverili hanno, comunque, invaso strade e marciapiedi.
La natura ha colorato di giallo rosso bianco verde e oro valli e dossi, persino i muri sono rivestiti di teneri germogli primaverili.
Fili d’erba bucano l’asfalto. Aghi sottili di tenero verde si fanno beffe della volontà dell’uomo; svettano sopra un mare di terra nera maleodorante. Ai bordi, tra gli interstizi dei marciapiedi, lunghe tavolozze offrono visioni campestri affascinanti: rosso papavero, giallo margherita, viola calendula e, nel tripudio dei fiori, qualche metro più in là nuovi enormi petali rotanti su alti giganteschi steli di cemento sovrastano l’aria e oscurano l’orizzonte. Lunghi petali bianchi agitano l’aria. Pale, pale eoliche per produrre energia. Energia pulita per un’umanità mai sazia. Una comunità governata da piccoli famelici predatori che non si fanno scrupoli; privatizzano a cuor leggero le risorse e anche se son bravi a condire di belle parole le loro azioni, di fatto, il loro intento è lucrare con gli elementi che la provvidenza ha elargito gratuitamente all’umanità intera! E quindi privatizzano con la scusa di ottimizzare i servizi aria territorio e acqua.

Gli imponenti “fiori del vento” non si moltiplicano per impollinazione e non accarezzano l’erba; non si piegano al vento non danzano al soffio leggero della brezza non muoiono al freddo ma si cibano delle correnti ascendentali, mettono in moto i rotori, immagazzinano energia e… impinguano finanze private.
Tutto ciò, ovviamente con l’aiuto economico dei fondi comunitari.
Ecco! Questo piccolo innocuo esempio di mal costume è uno dei tanti, oggi sulle pagine dei giornali, che dimostra com’è stato possibile rovinare la società; un malcostume strutturale nel dna di certuni ha impoverito i cittadini sprovveduti che avevano dato fiducia a uomini inetti non per incapacità professionale o intellettiva, tutt’altro! La sapienza, questi “dirigenti esperti” l’hanno indirizzata ad accrescere le loro personali ricchezze.
Ora siamo al capolinea e chiedono, sempre i famelici “dirigenti”, austerità e sacrifici.
Giusto! Dobbiamo fare sacrifici per uscire dalla crisi ma sarebbe davvero gradito un cenno di umiltà e altruismo: inizino loro, quelli che hanno saccheggiato lo Stato o hanno gestito male la finanza pubblica, a dare l’esempio!
Un esempio evidente di correttezza etica e di rispetto per i ruoli, come preteso dagli amministrati.

Per la poesia e le belle parole c’è sempre tempo! Ora è il tempo dei fatti concreti, perciò si chiede uno scatto d’orgoglio, un cambiamento d’aria, una pulizia generale, un allontanamento di affaristi e arraffoni dagli affari dello Stato. Evitiamo un altro patetico caso spa con ipotetici esperti maghi come quello appena sventato grazie a Dio e ai giornalisti che hanno reso tempestive notizie.

Basta poco per stare tutti bene: basta saper meditare e accettare con tranquillità i doni della natura, non rincorrere ricchezze effimere o luoghi paradisiachi, frutto di artificiosi quanto inutili masturbazioni mentali. ... ti sembra niente il sole la vita l'amore... meraviglioso...

martedì 23 marzo 2010

il volo: nella filmografia di Wenders e negli atti solidali di Loiero e dei calabresi



Sì!, tra chi respinge in mare zattere cariche di bambini, donne, anziani e uomini disperati alla ricerca di un po’ di normalità, preferisco decisamente le braccia aperte di chi accoglie, memore dell’ambage dei padri costretti a lasciare le famiglie per cercare fortuna e accettare lavori umili pur di mandare pochi spiccioli a casa.

Chi ama veramente non getta in bocca ai pesci persone disperate. Persone costrette alla morte certa se costretti a tornare nei luoghi d’origine.
Ecco, questo ha fatto il cosiddetto partito dell’amore che governa oggi l’Italia. Un partito composto di gente crudele che veste panni d’agnello per imbrogliare gli elettori incerti. Promette e smentisce quanto proclamato nelle campagne pubblicitarie di bassa politica.
Il loro concetto di democrazia è limitatissimo: o sei con me e ti tutelo oppure sei nemico e ti annullo!
Per ultimo, inveiscono contro chi smentisce, giustamente visto la metratura della piazza, il milione di manifestanti enfatizzato dall’organizzatore della festa dell’amore; lo stesso incappato nelle attenzioni della giustizia inerenti alle indagini sui lavori di estrema urgenza gestiti da Bertolaso: Verdini.

Ma lasciamo da parte questi soggetti e concentriamo l’attenzione su qualcosa di serio: il messaggio dell’accoglienza che diventa dato di fatto reale in Calabria e breve film, appena mezz’ora di visione. Un film sull’integrazione che Wim Wenders gira in Calabria nei paesi ripopolati da rifugiati africani, curdi, afgani, palestinesi accolti a Badolato fin dai primi anni '90, un piccolo centro in provincia di Catanzaro, che anni addietro, provocatoriamente fu messo in vendita dagli amministratori comunali per mancanza di cittadini.

Badolato, Riace, Caulonia, la Calabria tutta è luogo adottivo per quanti arrivano dal mare per lenire le ansie e trovare pace; e nel film in 3D di Wenders si evidenzia un mondo naturale e umano tutto ciò, grazie anche alla maestria di Ben Gazzara, Luca Zingaretti, al bravissimo Giancarlo Giannini che ha prestato la voce a Ben Gazzara nel ruolo di primo cittadino; ai neofiti Salvatore Fiore e Ramadullah Ahmadzai, il bambino cittadino di Riace, nel film e nella realtà che durante le riprese ha detto a Wim Wenders:

“È molto bello quello che stai facendo. Ma io sono venuto qui per te. Adesso, se sei una persona seria, devi venire tu a Riace, al mio paese”. Queste parole, dette a Wenders sulla spiaggia di Scilla dal ragazzo afgano impegnato nel film, hanno toccato la coscienza del regista e l’hanno indotto a cambiare la sceneggiatura, trasformare una fiction di pochissimi minuti, 4 iniziali, in testimonianza artistica, destinata a levare il marchio di clandestinità e conferire loro una cittadinanza.

Ecco, tra le due correnti di pensiero preferisco, con assoluta convinzione l’accoglienza! Esternazione di amore solidale per i più deboli attuata concretamente dalla giunta regionale calabrese guidata da Agazio Loiero che, tra l'altro, ha coprodotto, insieme alla fondazione calabria film commission e Technos produzioni cinematografiche, con il contributo del comune di Badolato, il film di Wim Wenders, il volo; da un'idea di Eugenio Melloni.

mercoledì 20 gennaio 2010

fernanda pivano e la beat generation


Fernanda Pivano e la beat generation
Per Fernanda, i tanti autori conosciuti in prima persona non sono strumenti di semplici pezzi di storia letteraria ma frammenti della sua esistenza in cui si uniscono anni di vita e di studio, tant’è che definisce genericamente " miei eroi" la totalità; "miei beat" Ginsberg e Kerouac, e “miei maestri” Abbagnano, Hemingway e Pavese. Hemingway e Pavese, agli occhi di Fernanda Pivano, hanno in comune una integrità professionale e morale assoluta.
Attenta alle mutazione della società e della cultura americana traduce Hemingway, Faulkner, Fitzgerald e li propone in Italia nella sua pubblicazione degli scrittori contemporanei più rappresentativi: dagli esponenti del movimento nero, come Wright; ai protagonisti del dissenso non violento degli anni '60, Ginsberg, Kerouac, Burroghs, Ferlinghetti, Corso; fino agli autori "minimalisti", prima Carver poi Leavitt, McInerney, Ellis.
L’“esploratrice” italiana della beat generation, Fernanda Pivano, Figlia di Riccardo, illuminato miliardario possessore di una banca, e della bellissima Mary Smallwood, nasce a Genova il 18 luglio del 1917, dopo le elementari, nella scuola svizzera, l'infanzia genovese, all’età di 9 anni si trasferisce a Torino e qui, al liceo d'Azeglio, incontra Primo Levi. Laureatasi nel 1941 con una tesi su Moby Dick, due anni dopo inizia l’attività letteraria sotto la guida di Cesare Pavese con la traduzione dell'Antologia di Spoon River di E.L.Masters. Allieva di Pavese e Nicola Abbagnano, ordinario di storia e filosofia dell’università di Torino, esponente della corrente esistenzialista italiana e fondatore dell’esistenzialismo positivo, consegue una seconda laurea in filosofia nel 43, lavora al fianco di Abbagnano come sua assistente per diversi anni.
Fernanda, innamorata della letteratura, nel 1948, a Cortina, conosce Hemingway e traduce il suo Addio alle armi. Nel 1949 sposa Ettore Sottsass jr, che fotografa e immortala i tanti viaggi indimenticabili e gl’incontri con Allen Ginsberg, Jack Kerouac, Gregory Corso, Lawrence Ferlinghetti, Neal Cassidy.
Nanda, s’innamora della letteratura americana per la forma scarna della narrazione, in netta antitesi con la tradizionale letteratura pragmatica e accademica europea; letteratura libresca, basata su indagini psicologiche.
"Mi hanno attaccata per non aver mai valutato i libri, ma io mi sono limitata ad amarli, non a valutarli: questo lavoro lo lascio ai professori".
Questa sua frase evidenzia il distacco dall'estetica pura impartita nei corsi di studi convenzionali e basa l’interesse letterario personale sulle vicende biografiche, sull'ambiente e sui fermenti sociali in cui sono immersi gli autori.
Bellezza e utilità dei volumi da lei tradotti è spesso documentata nelle lunghe e introduzioni accompagnate da saggi biografici. Dall'osservazione della realtà americana nascono i saggi: "America rossa e nera" (1964); "L'altra America negli anni Sessanta" (1971); "Beat Hippie Yippie" (1977); "C'era una volta un beat" (1976); "Il mito americano" (1980). Altri scritti sono raccolti anche in "La balena bianca e altri miti" (1961); "Mostri degli anni Venti" (1976).
Il primo viaggio negli Stati Uniti e' del 1956 e in India del 1961. Nel 1959 esce in Italia, con la prefazione della Pivano, Sulla strada (Mondadori) di Kerouac e nel 1964 Jukebox all'idrogeno di Ginsberg da lei curato e tradotto.
Nella sua movimentata vita, come già visto, incontra i maggiori scrittori contemporanei: Saul Bellow, Henry Miller, John Dos Passos, Ezra Pound, Gore Vidal, Jay McInerney, Judith Malina e il Living Theater e gli italiani Giuseppe Ungaretti, Alfonso Gatto, Salvatore Quasimodo.
Nel 2001 si reca a Ketchum, nell'Idaho, in un viaggio che la riporta nei luoghi della beat generation e dei suoi amici scrittori per il film documentario A farewell to beat di Luca Facchini.
Ma, Nanda è anche pianista! Diplomata al decimo anno di conservatorio, apprezza ed entra in sintonia con molti musicisti, tra questi: Bob Dylan, Lou Reed, Jovanotti, e Fabrizio De Andrè che considera enfaticamente e con affetto il piu' grande poeta italiano del secolo al quale dedica un testo che ha lo stesso titolo della canzone di De Andrè “La guerra di Piero” interpretato da Judith Malina. In occasione dei suoi 90 anni, nel 2007, conferma la sua gratitudine agli intellettuali che le hanno consentito di coltivare la passione per l’arte: "ho avuto due o tre eroi nella mia vita: il più grande e' stato Ginsberg. In America stanno pubblicando le lettere che mi ha scritto, mi raccontava cosa aveva visto dovunque andasse. Hemingway e' stato al di la' della misura. I miei maestri prima dell'America sono stati Pavese e Abbagnano, mi hanno insegnato tutto quello che so. Sono stata un'esistenzialista".
Per concludere, Fernanda Pivano è stata una figura carismatica della cultura italiana antifascista, frequentò poeti e scrittori della Beat Generation. Visse in America, a stretto contatto con Kerouac e gli atri artisti del movimento beat ma mai si lasciò tentare dai paradisi artificiali usati dai suoi amici per esplorare i mondi del subconscio; nemmeno uno spinello, diceva, niente alcol, funghi e peyote, Lsd e tutto il resto, nemmeno a pensarci. In America dal 1956, capì subito la novità rappresentata dai cercatori di nuovi stati di coscienza. Giovani contestatori che modulavano prose e versi sui battiti del bebop, il jazz esistenzialista di Charlie Parker, (secondo alcuni, padre dello stile jazz chiamato bebop. Virtuoso del proprio strumento, che suonava con una tecnica eguagliata da pochi, fu anche un personaggio dalla vita tormentata, segnata dalla dipendenza dalla droga e dall'alcool: il peggio di uno stile di vita che echeggiò al di fuori del campo strettamente musicale; ispirò i poeti della beat generation, nelle cui liriche, il jazz e Parker stesso sono citati.) i musicisti neri si pongono due obiettivi: liberarsi dai rigidi arrangiamenti delle big band per esprimersi e manifestare liberamente la loro ribellione al mondo ipocritamente sorridente di quegli anni.
Per Jack Kerouac, Allen Ginsberg, Gregory Corso, Lawrence Ferlinghetti, Nanda fu una affettuosa sorella maggiore, una vice-madre saggia e comprensiva. Fu lei a tradurre i loro libri, a battersi perché opere come Sulla strada e Urlo fossero pubblicate in Italia. Dedicò soprattutto ai poeti i suoi sforzi maggiori, componendo l’antologia Poesia degli ultimi americani (Feltrinelli) con la quale offrì ai lettori italiani un tesoro di novità. Li ospitò nella sua casa a Milano (in quel periodo, Nanda era ancora sposata con l'architetto Ettore Sottsass), li aiutò e si fece spiegare il senso e le allusioni della loro lingua da iniziati, senza pregiudizi. In una rara intervista televisiva realizzata per la Rai, Fernanda Pivano chiese a Kerouac: «Jack, dimmi, ma perché non sei felice?» E lui, visibilmente deturpato dall’alcol, non rispose.

giovedì 14 gennaio 2010

Kerouac, Ginsuberg, scrittori della beat generation


Jack Kerouac, Allen Ginsberg e il movimento beat
Il sogno della generazione beat non dura a lungo e come tutti i sogni cessano al mattino. L’impatto col giorno riporta le menti all’amara realtà, alle prese con le teorie pratiche voracemente consumistiche, freddamente gestite dalle lobby di potere.
L'enorme campagna pubblicitaria condotta in America sul fenomeno beat riesce ad inflazionare il movimento stesso. Condiziona il vasto pubblico che, indottrinato, ripete i luoghi comuni del battage pubblicitario o i pregiudizi della critica conservatrice. Insomma, si evidenzia soltanto l'aspetto esteriore della vita beat. Diventa una moda la cui connotazione esteriore è ravvisabile nei capelli lunghi, barba incolta, vestiti estrosi, conseguenza sicuramente lontana dall’intenzione dei promotori.

La generazione del secondo dopoguerra s’identifica negli scritti di Kerouac e Ginsberg che, per le tematiche trattate, li elegge idealmente portabandiera del movimento pacifista.
I libri beat, negli anni sessanta, sono accolti dalla critica con severità e asprezza; tant’è che il successo di "Sulla strada" di Kerouac e "Urlo" di Ginsberg, è marchiato dai critici come un fenomeno di curiosità collettiva, un fatto di costume e li bollano di letteratura sgrammaticata, prosa scomposta, verbosità sterile priva di poesia innovativa.
Quando Kerouac dichiara di professare il buddismo e dedicarsi alla meditazione zen, i detrattori del movimento letterario beat riprendono a confutare l’assenza innovativa e asseriscono che l'intera faccenda beat è e rimane un fenomeno esclusivamente pubblicitario. Incuranti, Kerouac e Ginsberg continuano a scrivere e pubblicare anche scritti degli anni precedenti, quando, sconosciuti, aspettano un editore disposto a pubblicare le loro opere.
Intorno alla metà degli anni 60, arrivano in Europa e anche qui i critici assumono un atteggiamento di raffronto in riferimento alla letteratura europea.
In Europa il movimento beat è subito sminuito e ricondotto alla letteratura esistenzialista francese del secondo dopoguerra. Solo dopo qualche anno in America si sviluppa un’analisi letteraria che differenzia la Beat Generation dalla Lost Generation, rivoluzione attiva l'una e passiva l'altra. Allo scopo di spiegare il rapporto tra passività e misticismo contemplativo della religione Zen.
La prosa di Kerouac, studiata e analizzata a fondo, lascia intendere che non tiene in considerazione l'esistenza del razionale ma solo l’aspetto della realtà biologica e fisiologica. I beat non si preoccupano di distruggere mitologie o sovrastrutture mentali, rifiutano completamente il consorzio umano concepito dalla borghesia capitalista.
Nelle prime opere di Kerouac e Ginsberg si nota l’entusiasmo ai fatti quotidiani come fonte di ispirazione. Questa caratteristica differenzia gli scrittori americani dai fenomeni letterari europei basati su esperienze intellettuali o ideologiche. Da ciò, si intuisce pienamente il rifiuto della scienza intesa come arma di persuasione. Infatti, la generazione beat dichiara che con il lancio della bomba atomica si decreta la fine dei tre mostri che hanno distrutto la gioventù dei precedenti trent’anni, Freud, Marx e Einstein. Sintomatica, quindi la differenza tra certa poesia beat e le folgorazioni di Rimbaud o le illuminazioni di Blake, pur riconosciuti dai beat come gli europei più vicini alla loro poetica.
Le visioni metafisiche di Ginsberg non sono concettuali come quelle di Rimbaud ma sono deformazioni di immagini concrete, carnali, che possono andare da un semaforo ad un'insegna al neon. Anche Kerouac, considera necessario vivere la vita con passione e scrivere per la propria felicità personale. Kerouac consiglia di scrivere “con eccitazione in fretta fino ad avere i crampi in accordo alle leggi dell'orgasmo”. Si rifà in questo alla scrittura automatica, all’improvvisazione jazzistica per conferire un ritmo serrato ai suoi scritti. Le parole dello slang beat sono violente, incisive, veloci e monosillabici, carichi di tensione e potenza allusiva.
La vita di Kerouac e dei beat non finisce in rovina come quella dei dadaisti o degli espressionisti o dei surrealisti europei, ma comincia in rovina. Per i beat non c'è futuro e non c'è passato nel caos del mondo, esiste solo un istantaneo presente, inesplicabile e nemico, che solo la liberazione dalle dimensioni dello spazio e del tempo può far provvisoriamente superare. Gli elementi per superarle sono fisiologici (come l'orgasmo) o mistici (come le visioni) o passionali (come il jazz) o artificiali (come la droga). La qualità fondamentale di Kerouac e dei beat va ricercata nell'intensità emotiva, nelle immagini dense e vibranti.
La cultura Beat ha segnato l'intera generazione del secondo dopoguerra e ancora oggi, a distanza di oltre mezzo secolo, è innovativa e rivoluzionaria.

mercoledì 13 gennaio 2010

utopie generazionali: beat generation e la forza dell'amore



Quando si parla di Beat Generation la memoria storica corre in America e localizza il movimento giovanile in due sedi, New York e la Baia di San Francisco. In entrambi i luoghi, il fervore creativo rinnovò i linguaggi artistici della pittura, della scrittura, della musica e dei linguaggi in genere compreso l’abbigliamento; il tutto contaminato dalla filosofia di vita che spinge gli uomini all’amore universale e che lega i popoli alla madre terra. L'atmosfera solare e naturistica della West Coast, e quindi di San Francisco, contribuì a stemperare gli spiriti inquieti degli scrittori beat di New York e molti, soggiogati dalla natura selvaggia della California, si convertirono al Buddismo. San Francisco beneficiò della loro presenza; anche la scena musicale dal sapore acido degli anni sessanta nata con Ken Kesey's è frutto della cultura beat. La città di San Francisco divenne la Times Square della prima generazione beat e la mitica libreria "City Lights bookstore" di Lawrence Ferlinghetti è ancora all'angolo fra Broadway e Columbus. Più a sud troviamo Monterey, Carmel-by-the-Sea e la costa montuosa nota come Big Sur, qui, nel 1961, Jack Kerouac trascorse un’estate intera immerso nella solitudine della meditazione.

lunedì 11 gennaio 2010

Rosarno non è sinonimo di 'ndrangheta!


Rosarno non è sinonimo di ‘ndrangheta!

La Calabria, l’Italia non ospita solo faccendieri e avventurieri! In questi luoghi, osteggiati dalla nefanda notizia che lega ogni azione umana al malaffare mafioso vivono Uomini Nobili che offrono sostegno disinteressato ai propri simili in stato di bisogno. Ma è anche luogo di brutture nate e scaturite dalla sottocultura affaristica né più né meno come in ogni qualsiasi parte del mondo, che, a secondo dei luoghi geografici in cui è attiva, è definita mafia, ‘ndrangheta, sacra corona unita, camorra; la corruzione e l’avidità contagia anche uomini insospettabili, colletti bianchi, prelati, politici. Purtroppo non esiste un vaccino da iniettare; la bonifica deve nascere da dentro: intelligenza, cultura e volontà positive possono debellare i mali e le devianze.

Il Bel Paese è un crocevia di popoli in cui da sempre approda gente di ogni etnia carica di credo religiosi, usanze e lingue differenti. Gente buona e cattiva; arriva, si nutre, collabora, si arricchisce e arricchisce quanti incontra.

La differenza culturale, quando partorisce idee e azioni assurde; azioni violente che non vorremmo mai vedere; gesti e comportamenti lontani anni luce dalla proverbiale ospitalità dei Calabresi, Turchi, Magrebini, Ebrei, Musulmani, Indù, e ancor prima Greci, Spagnoli che hanno visitato, vissuto, arricchito, la terra Brutia e con i quali, il sangue dei Calabresi si è unito in usi e costumi mediterranei, quando la diversità culturale genera mostri è necessario il dialogo chiarificatore per abbattere le barriere ignoranti e xenofobe, urlati con rabbia in piazza dalla manovalanza del malaffare.
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Calabresi, Italiani e Cittadini del Mondo di buona volontà, lavorano uniti affinché tutto questo non si ripeta mai più!


giovedì 7 gennaio 2010

la mosca, lavoro letterario di Angiolina Oliveti




La mosca, in libreria l’ultimo lavoro letterario di Angiolina Oliveti

Parola dopo parola, ho fatto mie le pagine create dalla fantastica vivacità narrante di Angiolina Oliveti. Il racconto potrebbe essere una normalissima storia di vita quotidiana, vissuta da chiunque. Il suo vestito calza a pennello a ognuno di noi e si adatta alle situazioni contemporanee, alle problematiche dei giovani lasciati soli, ai ricordi, all’amore per la propria terra, la compagna di liceo. Una trama sapiente ben imbastita dall’osservazione indagatrice vissuta attraverso gli occhi dell’amico d’infanzia, compagno di giochi e di vita preoccupato dagli atteggiamenti strani e allertato ulteriormente dalla caduta in mare che mette in pericolo la vita dell’amico attorno al quale si sviluppa la storia; l’una asseconda l’altra in una continua indagine sociale. Il realismo poeticamente graffiante visualizza appieno il quadro esistenziale di microcosmi ancorati alla magia dei luoghi d’origine; modelli di vita antropologicamente immutati in quanto a sentimenti, ipocrisie e insoddisfazioni ma che rappresentano, oltre gli aspetti fondamentali della società calabrese, anche quella italiana.

(Mario Iannino)

mercoledì 23 dicembre 2009

amore e psiche nell'era di internet



Rapporti interpersonali nell’era di internet: amori passionali o intellettuali?



Nell’immaginario collettivo, luoghi e persone acquistano valenze differenti. Le variabili sono in netta relazione con le sensibilità e le conoscenze individuali.

È sorprendente la facilità con cui si riesce a trovare intelligenze affini. Gente che ha i tuoi stessi entusiasmi che crede nella solidarietà e nell’amore universale. Quell’amore che non si traduce in amplesso fisico ma in comunione d’intenti.

Certo, sarebbe il massimo della vita se si riuscisse a trovare la tanto decantata anima gemella, ma quella esiste solo nei romanzi.
Nella realtà, superato il primo periodo dell’infatuazione, convissuto e avuto figli, insomma nel giro di pochissimo tempo la poesia della coppia è costretta in uno spesso e coriaceo bozzolo di assurda e fredda routine.

Nel 99% dei casi questa è la fotografia degli amori passionali, (lo dicono le statistiche e gli studi dei sociologi).
Ecco perché, le poche volte che assisto alla visione di un film mieloso, davanti a certe scene scatta automatico un “ma come cazzo fanno i registi ad essere così superficiali”.

Eppure la scena assurdamente mielosa s’insinua nella mente delle casalinghe frustrate e le fa sognare. Sognano d’incontrare un nuovo amore, non di riaccendere la fiammella che loro stesse hanno contribuito a spegnere. Il loro atteggiamento casalingo è sciatto nell’abbigliamento e nei modi. Accolgono il compagno in pigiama discinte ma non attraenti.
Mentre i giovani seguono le mode letterarie o cinematografiche del momento e incidono sui muri a caratteri cubitali 3MSC o agganciano lucchetti ai lampioni.

Alcune scritture sono talmente struggenti che incutono paura e lasciano intravedere l’instabilità psichica dell’autore. “Principessa non so vivere senza di te la mia vita non ha senso”.

Cretino! Ma hai capito che la tua principessa, se ti ha lasciato vuol dire che tu, o non la trattavi da principessa oppure ha trovato qualcuno migliore di te. E, se invece nonostante tu la trattassi come una principessa lei ha voluto conoscere qualche altro pisello, fattene una ragione e vai avanti. La vita continua!
Le esperienze servono a fortificare il carattere. A migliorare la qualità della vita attraverso una presa di coscienza consapevole e matura, altrimenti, rannicchiato nell'autocommiserazione, ingigantisci l'episodio fino a trasformarlo in dramma, e, ciò accade quando il rapporto è morbosamente limitativo.
Purtroppo, la cronaca è piena di episodi assurdi cosparsi di violenza gratuita.
Le scene di gelosia sono all’ordine del giorno e l’insicurezza domina la mente.
Il rapporto interpersonale intellettuale è differente, anche se l’attrazione fisica è sempre un ottimo primo approccio, la crescita interiore prende il sopravvento e va oltre il dato estetico.

mercoledì 18 novembre 2009

arte contemporanea in Calabria, spazio open al parco

©archivio M.Iannino


Tra le opere d’arte disseminate nel parco della biodiversità, dopo “l’uomo che misurava le nuvole” lavoro in bronzo e silicone di Mimmo Paladino, alcuni esemplari dei cento ferrosi dissacratori replicanti nudi di Anthony Gormley che per fargli segnare una fantomatica linea d’orizzonte è stato necessario interrarli in entrambi i luoghi espositivi e nel sito archeologico alcuni pezzi sono stati tumulati fino al collo; le sculture di Cragg, i giochi meccanici di Delvoye, e, le altre opere acquistate che ben s’inseriscono nel parco catanzarese, ora è la volta dei “baci caduti” di Oppenheim: due enormi ampolle composte di tubi fluorescenti che rimandano la mente all’architettura delle cupole arabe. Installazioni da vivere che, munite di varco d’accesso, sembrano invitare gli osservatori a entrare, esplorare dall’interno le gocce di luce e aria, seguirne le sinuose verticali fino all’apice, punto di unione di forze esoteriche catalizzatrici di energie creative.


Decisamente è un bel vedere! Specie di notte.

Comunque, corre l'obbligo ricordare ai dirigenti locali che i progetti denominati “Intersezioni” e allestiti nel parco archeologico di Roccelleta sembra non abbiano contribuito a rilanciare quel turismo culturale pronosticato dai dirigenti politici, ciò dovrebbe far riflettere ed eventualmente escogitare nuove strategie, mirate a far decollare appieno l’area Scolacium di Roccelletta di Borgia alla periferia sud di Catanzaro e la costa jonica compreso l'imminente entroterra presilano che vide i natali di Mattia e Gregorio Preti .

giovedì 5 novembre 2009

da J. Christo a M. Iannino


©mario iannino

Alla maniera di Christo


Chi o quanti, tra adulti e bambini, sono rimasti turbati, shoccati, traumatizzati da perdere il sonno alla visione di un crocefisso? Quanti sono diventati serial killer? Stupratori, ladri, imbroglioni, mistificatori, despoti…
Bèh, se il risultato della visione di un simbolo che ricorda la pena di morte data dagli ebrei a ladri e malviventi d’Israele più di duemila anni addietro, e che, per i devoti, oggi, accorpa in sé concetti d’amore e di perdono incondizionato a quanti lo hanno insultato, deriso, mortificato e ucciso è così catastrofico per la delicata psiche di certa gente, allora è bene che questa gente così sensibile da intentare causa allo Stato Italiano eviti musei, chiese, luoghi di culto e monumenti; stia lontana dalle deleterie opere d’arte che hanno segnato e che continuano a segnare i percorsi dell’umanità! In poche parole: non devono vivere in Italia. Perché l’Italia è un enorme museo all’aperto e certa gente potrebbe farsi male per troppa, eccessiva cultura!
Le persone realmente sensibili penetrano il dato meramente visibile delle cose; sondano i molteplici aspetti racchiusi nel simbolo cristiano senza soffermarsi all’aspetto esteriore: vanno oltre al proprio naso. E ciò vale in tutti i campi dello scibile umano.

In arte, un singolare signore di nome Christo, all’inizio degli anni sessanta occulta pezzi di arredi urbani, ma non per questo i palazzi impacchettati cessano di esistere. Tutt’altro! L’impacchettamento dei maestosi monumenti suscita curiosità in quanti davano per scontato ruolo e esistenza dell’oggetto occultato.
Lo scossone visivo sembra destare interesse nell’opinione pubblica; sia se creato dall’uomo o dalla natura. Concettuale perché veicolato dall’uomo o evento naturale, il fare destabilizzante dei fatti condiziona le menti e rivitalizza l’ovvio.
Uno scossone analogo lo ha provocato nelle coscienze Cristiane la sentenza della Corte europea di Strasburgo nel definire coercitiva l’esposizione pubblica del Simbolo Cristiano: il Crocefisso.
La reazione di fedeli e laici alla sentenza è giustificata se si pensa alla cultura e alla tradizione cristiana che ha accompagnato generazioni intere di italiani.

Christo Vladimirov Javacheff, nel suo manifesto artistico asserisce: “Gli impacchettamenti? Nessuno può comprare queste opere, nessuno può possederle, nessuno può commercializzarle, nessuno può vendere dei biglietti per vederle. Il nostro lavoro parla di libertà”.

Ecco, in sintesi, spiegata, direttamente dall’artista, l’intenzionalità del suo operare. E nel segno della libertà, noi Italiani, che subiamo un verdetto poco chiaro, pur coscienti che il Simbolo in sé non determina in tutti la credenza della pienezza di Fede nel Salvatore Gesù, riteniamo che non sia affatto coercitivo per i credenti di altre dottrine religiose la sua esposizione nelle aule scolastiche.
D'altronde, l’uomo nel suo peregrinare incontra una miriade di persone, ognuno con credenze e usi differenti, si confronta con molteplici etnie e da queste esperienze nasce la cultura cosmica.
Nel campo dell’arte, ciò è avvenuto in parte. Assistiamo spesso alla commistione linguistica che trova il suo fluire spontaneo nel linguaggio visivo universale. Simboli, gesti, grafie primordiali o evolute, diventano lessici istintivi che accomunano razze e idee, seguono il peregrinare umano senza legarsi alla terra natia come nel caso di J. Christo. Ma anche il nostro Gesù, ebreo di nascita, misconosciuto come Messia dalla sua gente, diviene il tassello principe di una Chiesa che ha sede a Roma e proseliti in tutto il mondo.
L’amore per il prossimo, il rispetto della natura, l’esigenza di libertà sono elementi imprescindibili per l’evoluzione interiore. Religiosi, intellettuali e artisti puri né sono coscienti! Perciò operano al di fuori degli egoismi personali o di bandiera.
Passione, follia ingenua, teorie, queste, che trovano riscontro solo nella religione e nell’arte.

Quindi, lontano dall’essere blasfemo o irriverente, tanto per citare il pensiero cattolico secentesco, l’uomo, per capire appieno il creato deve osservare la natura, scoprire le leggi che governano l’universo e adoperarle saggiamente. Gli artisti in generale e Christo nel particolare, credo l’abbiano capito d’istinto; ora, per comprendere appieno l’uomo e l’artista, ripercorriamo alcuni momenti salienti della sua vita, in quanto, quella di Gesù Cristo è nota al mondo intero:
Christo Vladimirov Javacheff nasce nel 1935 a Gabrovo in Bulgaria; compie i suoi studi all’Accademia di Belle Arti di Sofia e nel 1958 si trasferisce a Parigi dove incontra Jeanne - Claude de Guillebon, sua coetanea. Si sposano e decidono di lavorare insieme. Nel ’61 allestiscono la loro prima “personale”. Nello stesso anno creano degli “impacchettamenti” sul porto di Cologne. L’anno seguente, protestano contro il muro di Berlino e in rue Visconti a Parigi organizzano un assemblaggio di grandissime dimensioni con barili d’olio e benzina impilati gli uni sugli altri. Iniziano così numerose proposte, realizzazioni di progetti di impacchettamenti poetici, giganteschi, attraverso i quali vogliono veicolare l’effimero come dimensione estetica e accompagnare l’osservatore distratto verso nuove visioni. Lo spazio antistante non si presenta agli occhi come nella consuetudine giornaliera: è occultato da enormi teli che, adagiati e legati su monumenti, costruzioni o distese incontaminate ne seguono forme e contorni.
La coppia si trasferisce a New York, dove vive e lavora tuttora, nel ’64, e prende la nazionalità americana.
Christo e Jeanne si appropriano degli spazi, drappeggiano, ritagliano, colorano monumenti e paesaggi, restituendo ai luoghi, urbani rurali o marini, una dimensione scultorea assolutamente nuova (Valley Curtain, Running Fence, Surrounded Islands, Biscayne Bay, Pont-Neuf a Parigi, il Reichstag a Berlino ecc…).
Christo e Jeanne-Claude, realizzano gl’interventi sul territorio con i propri mezzi; creano i disegni preparatori che sfociano in varie opere grafiche come litografie e serigrafie, collages, modellini e film la cui vendita serve a finanziare la realizzazione dell’opera vera e propria. “The Gates”, l’ultima loro realizzazione, è presentata a New York all’inizio del 2005. Si tratta di un percorso lungo circa 37 km attraverso Central Park, punteggiato di 7500 portici rivestiti di tende color arancio-zafferano. La loro performance, dal titolo “Sopra il fiume Arkansas”, li vede presenti nel Colorado per l’ennesimo intervento non distruttivo o asservito all’esigenza dell’uomo ma, empatico; vale a dire: azione equivalente al fenomeno di comunione con la natura.

Anche Mario Iannino cela evidenzia e lascia intravedere nuove poetiche. I suoi occultamenti sono, all’occorrenza blandi e inconsistenti, oppure spessi, densi di materia e colore; il velo che separa il “sotto” dal “sopra” dell’opera diventa filtro protettivo di fatti accaduti o che potrebbero accadere. Mentre, le lacerazioni, gli squarci, gl’impasti materici enfatizzano il percorso plastico; rendono lo spazio d’intervento discorsivo e accattivante sotto l’aspetto formale e analitico dei lavori.
Analisi, sviluppate secondo un personalissimo linguaggio visivo, frutto di un trentennio artistico trascorso in solitudine che l’ha portato a valutare in autonomia i percorsi artistici più consoni al proprio sentire. Le sue opere, caratterizzate dal bianco finale che diventa corazza catartica, sono il risultato serio di uno studioso che, in tutta umiltà, scandaglia i linguaggi dell’anima.

martedì 3 novembre 2009

la corte europea dei diritti umani contro il crocefisso nelle scuole




“Il crocifisso appeso nelle aule scolastiche è una violazione della libertà dei genitori ad educare i figli secondo le loro convinzioni e della libertà di religione degli alunni. Lo sostiene una sentenza emessa all’unanimità da sette giudici della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo, presieduti dalla belga Francoise Tulkens, che hanno esaminato il ricorso di una cittadina italiana di origine finlandese.”

Si rimane di stucco a sentire certe notizie. Come se la presenza di un simbolo silenzioso facesse proselitismi incessanti e parlasse per tutto il tempo delle lezioni, inculcasse dogmi e fustigasse i ritrosi alla catechesi cristiana.
A parte le implicazioni umane racchiuse nella figura martoriata dalla crudeltà dei carnefici e dalle allegorie religiose inerenti l’amore per il prossimo, il perdono per le sofferenze e i peccati dell’uomo, chi non si riconosce nei simboli ha facoltà di dissentire; contestare ma non distruggere o eclissare con la forza il segno di riconoscimento di un popolo. È come voler distruggere la bandiera di una nazione perché ostile al modo d’intendere dell’ospite.
Di conseguenza, in ottemperanza alla sentenza, deve essere eliminato qualsiasi simbolo nei luoghi pubblici, religioso, politico, sociale, culturale perché a ben guardare lede sempre l’altrui coscienza poiché l’universo umano è variegato.
Si sta rasentando veramente l’assurdo! In nome di un’ipotetica parità si vuole imporre un cambiamento di rotta radicale della cultura e della società della Repubblica Italiana. Repubblica Sovrana e laica, con proprie leggi che tutela con il Concordato Stato/chiesa, le origini e la diffusione della religione cristiana attraverso l’insegnamento nelle scuole, ma dà, altresì, a quanti non vogliono seguire, l’esonero all’ora di religione in classe. È ovvio che, vivendo in uno Stato Democratico, anche se a maggioranza cristiana, non tutti i cittadini lo sono; esistono diverse confraternite, tant’è che persino con la dichiarazione dei redditi c’è la possibilità di donare l’8xmille a una miriade di chiese e associazioni no profit.
Senza tirarla per le lunghe: dove si riscontra la violazione di libertà dei genitori ad educare i figli secondo convinzioni personali e diversi dalla religione cattolica?
Chiedo:
Chi o quanti bambini sono rimasti turbati, shoccati, traumatizzati da perdere il sonno alla visione di un crocefisso? Quanti sono diventati serial killer? Stupratori, ladri, imbroglioni, mistificatori…
Bèh, se il risultato è così catastrofico per la delicata, sensibile psiche di certa gente, allora è bene che evitino musei, chiese e monumenti; stiano lontani dalle deleterie opere d’arte che hanno segnato i percorsi dell’umanità!

lunedì 31 agosto 2009

Escursioni estemporanee in Calabria, dal mare ai monti



La strada provinciale 382 sembra cucire in un serto i paesi montani di Palermiti, Centrache, Olivadi, Cenadi, San Vito sullo jonio, che, collegati a Squillace lido, sulla ss 106 jonica, da un capo e Chiaravalle Centrale dall’altro, nelle preserre aspromontane, invita i vacanzieri a inoltrarsi tra i monti e godere di quanto offre la natura.

E' un inno alla lentezza del tempo!

Lungo la provinciale gli alberi di fichi sembrano offrire i frutti maturi ai passanti e laddove la roccia è sormontata da piante grasse, protuberanze sanguigne ornano le pale carnose dei fichi d’india.

Nella tradizione popolare i frutti lungo la strada non hanno padroni e chiunque può allungare la mano e cibarsene, facendo attenzione, però, a non danneggiare l’albero e l’ambiente.

Oltre il centro abitato di San Vito sullo Jonio, una ripida stradina interpoderale conduce in un’oasi di ristoro allestita e curata dal personale forestale della Calabria.

L’area del lago Acero è situata tra i boschi dell’entroterra catanzarese, a 12 minuti di macchina da Palermiti e 30 da Montepaone.

Aria e acqua freschissime; giochi per i bambini che non disdegnano neanche i grandi, barbecue in attesa e tavoli con relative panche tra alti abeti.

giovedì 20 agosto 2009

Raffaele Basso, chirurgo e pittore in Catanzaro


Quando si dice il caso:
Giorni addietro ricordavamo insieme ad alcuni amici e conoscenti la figura di Raffaele Basso, noto chirurgo e pittore in Catanzaro; le sue origini pugliesi si percepivano appena, d’altronde viveva a Catanzaro dal 1953 e per quanti nati come me negli anni cinquanta, se non attenti e interessati a temi specifici come la pittura o la sanità, era appieno catanzarese anche se, come già accennato, veniva da Mattinata, un paesino del Gargano, dove era nato nel 1908.

Ricordavamo la sua determinazione pittorica, nel gesto come nella campitura cromatica; la sintesi grafica, il segno acquerellato che riportava alla mente Andrea Cefaly. Erano gli anni settanta!

Oggi, per caso, mi capita tra le mani una pubblicazione: “la deposizione nell’arte, un viaggio attraverso gli acquerelli di Raffaele Basso”, curato dalla nipote Serena Basso, edito da Gangemi Editore.

Nel leggere la pubblicazione la mia mente vola agli incontri organizzati per valorizzare il parco archeologico di Roccelletta Di Borgia alle porte di Catanzaro Lido da un altro medico appassionato d’arte: il dentista Domenico Teti.

E proprio tra i resti della basilica bizantina di Santa Maria incontro Raffaele Basso nella veste di pittore. La figura del professore incuteva un certo rispetto a noi giovani, non tanto per il ruolo di medico primario quanto per la maestria e l’amabilità verbale con cui esternava il sapere nel campo dell’arte.
(mario iannino)

sabato 25 luglio 2009

dal mare ai monti, in Calabria flash back anni 60



Quanti ricordano la tv in bianco e nero, le prime trasmissioni pilota; i palinsesti ingenui ma efficaci nell'opera di proselitismo didattico: "non è mai troppo tardi" era una trasmissione che apparteneva a questa categoria, istruiva il pubblico incolto e impartiva i primi rudimenti della lingua italiana alla nazione intera.

Sì, negli anni 50/60 c'era molta gente analfabeta e la rai iniziò ad irradiare in bianco e nero cicli di lezioni condotte dal professore Alberto Manzi.

Chissà perchè, il mio maestro non era affatto come lui, paziente e fine pedagogo. non sapeva spiegare ad una scolaresca come a una quella dello studio televisivo che istruiva a centinaia di km gente adulta che diligentemente portava la sedia da casa, la affiancava nella sala da pranzo dei fortunati possessori della scatola magica, oppure nei bar al costo di una gassosa e prendeva appunti ogni sera.

Il mio maestro era burbero!, di lui ricordo le mezze maniche nere che indossava fermandole con degli elastici per proteggersi le maniche della giacca da schizzi d'inchiostro o polvere di gesso, (iniziavano a vedersi le prime biro, ma ancora si usava il pennino col calamaio o la stilografica) il ghigno sadico di quando dava le bacchettate sulle nocche delle mani a chi parlava in classe, le tiratine d'orecchi, i ceci sotto le ginocchia a chi non aveva fatto i compiti e la posizione di "faccia al muro" come estrema punizione per chi non capiva.

E Carosello? Ricordate le cartoline con i monumenti, le pecore al pascolo dell'Intervallo... (per le generazioni che non hanno avuto la fortuna di vivere in quegli anni è opportuno chiarire che nelle pause, la pubblicità ancora non aveva invaso l'etere e la mente degli spettatori, si mandava in onda una serie di cartoline che rappresentavano scene di vita bucolica o monumenti delle piazze d'Italia).

Proprio le pecore mi hanno riportato indietro nel tempo; ma andiamo per ordine:
oggi il termometro segna 41° non si riesce a stare neanche al mare, in acqua.
Senza pensarci due volte, anche perchè dal mare alla montagna c'è una distanza di 15 km, salto in macchina, aziono il climatizzatore e scappo dalla spiaggia di Montauro verso i Castagni di Palermiti dove c'è una sorgente d'acqua freschissima.

La strada è stretta, una vecchia provinciale che collega la ss106 jonica coi paesi dell'entroterra calabrese: Squillace, Vallefiorita, Amaroni, Maida, Girifalco, Chiaravalle, Serra San Bruno....
Superato Squillace, la mandria di pecore invade la carreggiata. Sulla sinistra, il cane segue il mandriano, entrambi spingono il gregge per lasciarmi passare... ma io sono già negli anni 60.

lunedì 29 giugno 2009

Calabria fuori, percorso politico di F. Politano



©archivio M.Iannino
Di tanto in tanto risistemo la libreria: è piacevole aprire i testi che ho letto. Alcuni hanno la forza di attrarmi ancora: apro a caso e leggo; e dopo le prime righe ricomincio dall'inizio come se li leggessi per la prima volta; altri, mi stimolano a continuare nella lettura già dall’introduzione: in entrambi i casi, mi riportano con la memoria nei momenti in cui entrarono a far parte della mia vita.
È proprio per questa manìa che oggi mi ritrovo tra le mani “Calabria Fuori, al governo di una regione difficile”; M.P. edizioni; Roma, 1991.

Calabria Fuori ripercorre gli anni del primo governo regionale di sinistra nella regione calabrese.
Il libro, curato da Nuccio Marullo, raccoglie temi e dibattiti di Franco Politano databili tra la fine del 1986 e l'inizio degli anni '90, anni in cui fu possibile costruire una giunta regionale alternativa ai gruppi politici che l’avevano guidata per 18 anni, grazie al lavoro politico di Franco Politano e Guido Rhodio, rispettivamente vice presidente e presidente della giunta regionale.

Guido Rhodio ricorda così quegli anni: "Per me, Franco è stato più che un amico un fratello carissimo, in cui ho sempre ammirato e apprezzato, pur nella diversità delle posizioni politiche, doti impareggiabili di umanità e di generosità, oltre che lungimiranti elaborazioni e comportamenti politici.
Ho avuto Franco compagno e collaboratore prestigioso e prezioso come Vice Presidente nelle due Giunte di solidarietà regionale, da me presiedute, all’inizio dei difficili anni Novanta, a servizio di un progetto di riscatto, di progresso e di unità della Calabria, per taluni versi incompreso e per altri caparbiamente osteggiato per la spinta innovativa che esso imprimeva alla nostra povera e tormentata Regione, perché tra l’altro anticipava collaborazioni e tempi, divenuti ora usuali e scontati.
Per questa intuizione e per questo avveniristico progetto, Franco ha pagato prezzi altissimi e dolorosissimi sul piano politico e sul piano umano, che restano imperdonabili per quanti con grettezza e miopia, ma anche per meschini interessi personali, glieli hanno procurati."
È proprio la Calabria, terra bistrattata dai media e dal palcoscenico nazionale, che diventa laboratorio politico per una probabile sinistra di governo.
Franco è stato, come si diceva un tempo, un uomo di partito; cresciuto politicamente, appunto, nella scuola del partito comunista.
Quando lo conobbi nel 1980, il segretario nazionale era Enrico Berlinguer e, lui, Franco non era quell’uomo mangiabambini che ci s’aspettava, come tutti i vecchi comunisti, naturalmente.

Franco Politano era un uomo gioviale e preferiva attenersi ad analisi pacate piuttosto che a concetti astratti. Ma, ormai è un capitolo chiuso: lui, non c’è più. Rimane, comunque il suo lavoro:
Oggi, a distanza di tantissimi anni, a livello nazionale si tenta di far decollare una formula politica di sinistra già sperimentata in Calabria. Purtroppo, le beghe interne continuano a dividere uomini e idee; frammentano e dissipano intelligenze, propositi e intenti; insomma vanificano la possibilità di una comunione d'intenti protesa a migliorare menti e società solidali, dimenticando che:
Non è il cielo sotto cui vivi che si deve cambiare ma l’animo umano. (Seneca)


(contributo di Mario Iannino)

sabato 25 aprile 2009

nei luoghi dell'anima: quattro passi in Calabria

Nei luoghi dell’anima
aore12


©mario iannino

Centodieci chilometri orari; và bene così! Il viaggio è lungo, meglio non forzare il motore. Dice tra sé Vittorio. Oltretutto, deve prestare attenzione al carico. Un carico estremamente delicato, costato anni di travagliato e intenso lavoro. Un lavoro fuori dal normale, esigente, che implica dedizione e onestà intellettuale, doti poco conosciute nella sfera del generico impegno per cui è sbagliato definirlo “lavoro”. Diciamo piuttosto che è un’attività che non lascia alternative anche perché non sei tu a condurla è lei che ti possiede. E Vittorio lo sa bene. A dire il vero, lui, avrebbe fatto a meno d’intraprendere l’ennesimo infruttuoso viaggio, suo malgrado sta lì, a contare le buche e le deviazioni della Salerno Reggio Calabria. Ma, il più è fatto. Ormai è questione di poco. Sta per arrivare alla meta.
“Sì pronto…no sono ancora in viaggio…sì, va bene, ti richiamo appena arrivo”. Pensare che all’inizio non sopportava il telefonino ed ora… “Sì…pronto chi parla? No ha sbagliato …Ah, è lei sì sono in viaggio. Tra qualche ora dovrei essere a Roma. Non si preoccupi a presto”. Click
“Se non mi avesse assillato con le sue telefonate avrei già chiuso da un pezzo con le fiere! Comunque questa è l’ultima!, l’ultimo canto! Poi tumulerò definitivamente teorie e illusioni! Ecco ci sono quasi... Finalmente! Adesso affrontiamo la bolgia del raccordo anulare…i divieti d’accesso, gl’immancabili lavori in corso; il traffico di via Nazionale, Piazza Venezia… Dovrei esserci: eccolo là! Sì è lui”.
“Maestro! Venga da questa parte, venga. Giri a sinistra, oltre il cancello c’è l’entrata secondaria.”
“Grazie! (l’inizio sembra buono! Almeno non sto col patema d’animo dell’intralcio al traffico…)”
“Si accosti ancora un po’…così! A posto! Ben arrivato! Ha incontrato difficoltà nel viaggio?” “No! Grazie. Tutto bene! Comodo questo cortile…anche l’ambiente interno è ben strutturato.” “Sì è una gran comodità! -Incalza il gallerista- Vedrà, qui è diverso. Abbiamo dei clienti esigenti, come le dicevo al telefono; non per invogliarla a venire, d'altronde, stasera se ne renderà conto: i nostri collezionisti hanno il palato fine.” “Non lo metto in dubbio, ma ora posizioniamo i lavori.” “Non si preoccupi Maestro, tra poco arriverà il nostro critico insieme a due operai, sarà lui a curare il montaggio della mostra! Venga, andiamo a mangiare un boccone, ha bisogno di ritemprarsi non vorrà crollare durante l’inaugurazione, spero. Venga! Proprio qua dietro c’è una trattoria niente male, noi ci andiamo spesso…”.

Il rituale si ripete: dopo il lavoro manuale per concretare attraverso il mestiere i suggerimenti dell’anima, Vittorio, si ritrova all’ennesimo appuntamento espositivo non più con l’entusiasmo giovanile ma con l’amara esperienza di chi ha cozzato più volte contro il muro delle lobby pilotate e l’indifferenza della collettività massificata. La realtà quotidiana, quella che fa i conti in tasca, ha avuto il sopravvento, ha sussurrato, urlato, imposto la sua logica, e vittoriosa ha asservito le intelligenze alla cruda indolenza dell’evoluzione tecnologica e mercantile: nel sibilo ringhioso degli affari non c’è spazio per la crescita poetica: è il denaro che conta che rende forti e potenti che muove le platee mondiali e apre a crociate mistificatrici . È ancora presto per la città del sole; è pura utopia caro Fra’ Tommaso! Chissà se mai si avvererà il tuo sogno.

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