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martedì 26 ottobre 2010

appunti Dada

©archivio M.Iannino
bozzetto "dada" 
Il coraggio di Duchamp e l’inerzia dei contemporanei.

La buon’anima di “R. Mutt” avrebbe detto: questo non è né un cesso e neanche una tazzina; infatti, nel 1917 presentò un orinatoio come se fosse una fontana artistica. Il gesto dissacratorio di Duchamp firmato con lo pseudonimo di Mutt diede uno scossone al mercato e ai concetti dell’arte in vigore nei primi del ‘900. Al grido di “dada”, che non ha nessun valore o significato, se non quello di rifarsi al suono che emette un neonato nel fare i primi vocalizzi, nato in Zurigo ed esportato in tutto il mondo, Marcel Duchamp, gettò una provocazione intellettuale forte che fece scalpore e non favorì assolutamente la mercificazione dell’arte e del suo concetto di arte nell’immediatezza. D’altronde come pensare di poter vendere un orinatoio per giunta usato? O tesaurizzare roba vecchia raccattata per strada o presa per pochissimi centesimi dal rigattiere?
aore12
Col tempo, i mercanti hanno saputo trarre benefici del ready made duchampiano; hanno sdoganato concetti e imbastito alte citazioni per i seguaci dell’oggetto ritrovato e riproposto sottoforma concettuale differente dagli artisti; confezionato con termini attinenti ai linguaggi visivi, il ready made trasforma in oro ciò che i re Mida della contestazione hanno esposto in tempi non sospetti per scuotere le coscienze, svegliare le menti intorpidite dalla decorazione fine a se stessa o didascalica.
Per Marcel Duchamp la pittura, ma anche la scultura, intese entrambe come linguaggio alto, non dovrebbe soddisfare un puro piacere visivo; devono piuttosto essere in stretta relazione con la materia grigia, con la mente e non esaudire la dittatura estetica dell’occhio educato quasi esclusivamente al bello classico senza alcuna interpretazione ausiliaria.

Secondo Duchamp “Gli ultimi cento anni sono stati retinici. Sono stati retinici perfino i cubisti. I surrealisti hanno tentato di liberarsi da questo e anche i dadaisti, da principio. E ancora: Io ero talmente conscio dell'aspetto retinico della pittura che, personalmente, volevo trovare un altro filone da esplorare.”

E ci è riuscito! A differenza di quanti hanno seguito le sue orme pigramente dopo essersi ritagliati uno spazio nel mercato dell’arte.

sabato 2 ottobre 2010

usa e getta, consumismo industriale

aore12
Gino Bramieri, testimonial moplen


LA PLASTICA!


Negli anni del boom economico il mercato dei consumi veloci si arricchisce di  nuovissimi ritrovati industriali derivanti dal petrolio che sostituiscono alcuni prodotti ferrosi.
Sorgono numerose industrie di trasformazione e nei negozi s’iniziano a vedere oggetti dalla foggia familiare, allegri, colorati; utensili, casalinghi costruiti con materie plastiche, leggeri, economici e pratici.

Chi non ricorda la pubblicità del simpaticissimo Gino Bramieri “signora guardi ben che sia fatta di moplen!” quando faceva da testimonial a utensili, costruiti con termoplastiche, leggeri, robusti e dai prezzi contenuti? La praticità d’utilizzo e la durata, fece sì che molti artigiani, come gli stagnari, iniziassero a intraprendere vie di diversificazione lavorativa. Anche gli utensili del barbiere, rigorosamente in acciaio temperato, furono soppiantati dalla plastica.
Mario Iannino, la stanza, 2007
Dennis Oppenheim, installazione, parco archeologico, 2009, Catanzaro
Insomma vi fu davvero una rivoluzione innovativa negli usi e nei consumi di molti artigiani e no; oggi, il barbiere, non affila più la lama del rasoio alla striscia di cuoio, appesa affianco allo specchio e lo stagnaro non riveste gl’interni di vasche e caldaie con lo stagno.
Gli anni 60, tra le altre rivoluzioni culturali, danno i natali ai cosiddetti prodotti di largo consumo “usa e getta”, che, una volta utilizzati e, consumati, penso ai rasoi per la barba, diventano inservibili, non riparabili. il loro ciclo vitale è esaurito! da ciò la definizione usa e getta coniata negli “anni di plastica” in virtù del fatto che ebbe inizio l'era dei prodotti a derivazione chimica del polipropilene isotattico.

I prodotti chimici dell’industria plastica assumono connotati differenti nella concezione intellettuale degli artisti e nell’immaginario comune. I primi, nel contestare l’invasione massiva dei prodotti ne denunciano l’esasperante quanto inutile uso. La denuncia culturale, diventa momento di lavorio trascendentale, gioco creativo che annulla e sovverte l’utilità oggettiva iniziale del manufatto ed entra a far parte dell’universo artistico contemporaneo.

I secondi, vale a dire i consumatori, nell'adoperare i prodotti, implementano industria, produzione e smaltimento, spesso condizionati dalla pubblicità delle case costruttrici piuttosto che dalle esigenze e dai bisogni reali.

giovedì 16 settembre 2010

la provocazione culturale di Cattelan a Milano

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Maurizio Cattelan è un artista che provoca nell’immediatezza una reazione, e chiunque si trovi davanti a un suo lavoro reagisce in conformità alla propria esperienza e cultura.

È sufficiente fare una veloce carrellata dei suoi lavori per rendersi conto di come lui ama giocare.
Gioca con l’imprevisto. Con il non senso. L’irrealtà.

S’intravede quasi un leggero piacere nello scompigliare i luoghi comuni. Sovverte ruoli e immagini con estrema facilità, capovolge poliziotti e li fa stare a testa in giù, impacchetta un grasso signore (Massimo de Carlo, suo gallerista) e lo fissa alla parete con lo scotch, impicca bambini agli alberi, appende cavalli al soffitto o gli conficca la testa nel muro, e come non ricordare la statua di cera con le gambe spezzate di papa Karol Wojtyla.
Drammatica nella sua ir/realtà. Concreta nel sommare sofferenze fisiche e mentali del genere umano che gravano sul pastore d’anime.
E c’è anche un Hitler in ginocchio con le mani giunte, nell’atto della contrizione, che, forse, chiede scusa all’umanità per gli efferati delitti commessi.

Ognuno legge e interpreta il messaggio a modo suo. E non si capisce se a mettere scompiglio e paura siano le somiglianze dei cloni, più veri e drammatici degli originali, oppure perché non si vuole vedere oltre il proprio naso perché si vogliono tenere sopiti i pensieri che toccano la sfera della sensibilità storica, individuale e collettiva.

È vero, l’artista provoca! Ma la sua provocazione deve essere letta in maniera propositiva. È un incentivo al dialogo; all’analisi, per guardare e andare oltre i fatti conosciuti, esorcizzarli. Prendere coscienza di quello ch’è stato per valutarne implicazioni presenti e future. Non è nascondendo la testa nella sabbia che si allontana o annulla il pericolo. Quello c’è. È sempre presente. Sta agli uomini circoscriverlo e tenerlo lontano con lungimirante intelligenza.

Per concludere, è anacronistico pensare di censurare dei manifesti con su un Adolf Hitler rivisitato dalla mente dell’artista. Non è annullando la pubblicità sui muri di milano della mostra di Maurizio Cattelan che si estingue il delitto contro l’umanità.
Il passo indietro del Comune, che aveva già sospeso l'affissione dei manifesti incriminati, è stato rafforzato dalla reazione della comunità ebraica che ha ritenuto la visione di Hitler capeggiare su Milano " un messaggio inopportuno", per bocca di Roberto Jarach. Una provocazione troppo forte. Che avrebbe "urtato la sensibilità nostra e di molti", ha aggiunto, e che avrebbe "prevalso sul messaggio sarcastico del pentimento di Hitler".

C'è da chiedersi: se questo messaggio è forte, visto che l'amministrazione comunale milanese destinerà gli incassi dell'esposizione alla costruzione del Memoriale della Shoah, cosa conterrà in futuro il Memoriale?

lunedì 13 settembre 2010

il gioco dei grandi

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courtesy mario iannino, polimaterico, 2008
Il gioco dei grandi.

È solo il gioco dei grandi
Urlarsi addosso, vomitare cazzate
Seguire sentieri impervi
Prevaricare
Annichilire
Esaltare
Tradire!
Tradire la fiducia, millantare crediti in amore come in politica.
Impegnare energie in giochi di prestigio per mantenere supremazia e vantaggi carpiti con l’inganno. Mostrare la faccia buona; far finta di niente
per comodità o ignavia.
Non alterarsi mai
neanche davanti a verità sconce.

In politica, come in amore, vince chi fugge.


venerdì 23 luglio 2010

Incontro

aore12

Michelangelo Pistoletto nell'area archeologica scolacium in Calabria




“siamo tutti locali”

Michelangelo Pistoletto è in Calabria. Cura gli ultimi particolari delle sue installazioni nel parco archeologico Scolacium, alle porte di Catanzaro lido, lungo la ss 106 per l’inaugurazione del 25 luglio 2010.

aore12
mario iannino e michelangelo pistoletto
L’area archeologica che ospita le opere minimaliste del maestro è situata nel territorio di Roccelletta di Borgia, un antico borgo baronale coltivato a uliveti e nei caseggiati, ex sedi abitative e di antichi mestieri, sono ubicati uffici pubblici e spazi espositivi.
Ma, gli allestimenti importanti sono disseminati tra le rovine storiche; tra gli ulivi i reperti archeologici e le mura della cattedrale normanna dedicata a Santa Maria.

aore12Le opere, collocate sui resti di antichità greco normanne romane che stanno rivedendo la luce lentamente grazie anche al connubio tra arte contemporanea e manufatti antichi, e gli artisti contemporanei animano i luoghi, annullano le distanze epocali grazie, appunto, ai linguaggi dell’arte che rende attuali e contestualizza i percorsi storici di antichissime civiltà. Ed è qui, tra gli ulivi, all’ombra del pensiero magno greco, che ho incontrato il maestro Michelangelo Pistoletto, artista attento, sensibile e propositivo. Attento alle problematiche contemporanee, alle esigenze culturali dei popoli e al continuum ideale tra “vecchio e nuovo pensiero” traslato egregiamente nelle sue opere.

Le installazioni di Pistoletto s’inseriscono bene, non sono invasive: dialogano col territorio, con la gente! Propongono percorsi linguistici più che strutturali. Invitano al dialogo e alla comprensione.
aore12
Siamo tutti locali… mi dice il maestro Michelangelo. I luoghi non hanno padroni, aggiungo io, sono di chiunque passa e lascia qualcosa di sé. Qualcosa di buono o cattivo, non ha importanza ai fini del “passaggio epocale”. La contaminazione è immediata! Sta ai successori analizzare e trasformare, proporre affinché gli avvenimenti umani non rimangano mera “traccia” folkloristica ma identità culturale, orma primordiale che si fa impronta concreta per un divenire evoluto.

aore12Linfa vitale antica e moderna nello stesso tempo e quest’anno, a proporre il suo pensiero, ospite eccellente, è Michelangelo Pistoletto, artista minimalista contemporaneo, che indica e suggerisce vie alternative al respingimento in chiave artistica, sì, ma possibile! La sua opera disseminata tra gli ulivi, composta da cubi che indicano il mediterraneo, non come forma geografica ma come bacino di popoli che ci vivono. Popoli che dialogano con la natura; che entrano in osmosi. Catene, grovigli giganteschi che riportano alla mente la struttura scientifica delle molecole primordiali: il dna del cosmo!

Pistoletto vuole pacificare uomo e natura e con gli scarti delle macchine domestiche, i cestelli delle lavatrici, costruisce il “tempio” sacrale del contemporaneo e lo “innesta” nel ventre della cattedrale normanna, mentre statue in bronzo di vario colore, che puntualizzano i colori delle razze umane, dialogano con la natura e infine, nell’anfiteatro, imponenti blocchi marmorei, che ricordano la venere coi cassetti di Dalì, compongono i giganti della mitologia e della contemporaneità. Sta a noi saperli assemblare nel modo giusto e consono alla nuova era: al terzo millennio!
aore12
(mario iannino)

giovedì 22 aprile 2010

dipendenze intellettuali e visioni metropolitane


Schiavitù, dipendenze intellettuali e visioni metropolitane.

La ricerca esasperata dell’eterna giovinezza, oggi possibile grazie alla chirurgia plastica, associa, al potere estetico emanato da un corpo ben modellato, la tesaurizzazione di affetti, voluttà e denaro.
La diseducazione intellettuale rende apprezzabile un bel corpo e la maggior parte degli uomini intolleranti verso il “brutto” che, tradotto nella quotidianità, in estrema sintesi significa: uomo e donna dotati di un appeal comune che non vogliono sottostare alle mode estetiche del silicone e che non frequentano necessariamente beauty farm sono emarginati dalla società con estrema leggerezza. La bellezza oggi ha canoni ben definiti quantificabili in centimetri, chilogrammi e silhouette.
L’industria estetica trascina le menti nel vortice della visione patinata e allontana dalla realtà quanto più gente possibile. D'altronde, in tv sono banditi i non belli. Sembra che il modello di uomo e donna comuni siano estinti nei palinsesti. Anche la vecchiaia è un elemento da esorcizzare, lo ha fatto persino uno spot pubblicitario di una ben nota bevanda. E qualche direttore di giornale ha sostituito le ormai attempate giornaliste con delle avvenenti ragazze, qualcun altro ha mandato in pensione le signorine buonasera. Insomma, il culto del corpo è d’obbligo! Anche per essere candidate o candidati in politica si deve possedere un bell’aspetto… il cervello? Bèh quello non si vede subito ...e comunque è secondario se non inutile o dannoso del tutto.

sabato 27 marzo 2010

graffiti e lacerazioni: omaggio a Mimmo Rotella

©archivio M.Iannino


Oggi, come non mai, i linguaggi sono veloci quanto il pensiero. Programmare un evento significa correre col tempo, gareggiare con la tecnologia e il mercato globale concepito dai recenti saperi. La pittura, le immagini cinematografiche o televisive sono linguaggi obsoleti se paragonati alla duttilità della rete internet

Infatti, superata la fase progettuale, l’idea divenuta realtà, è immessa nei canali mercantili a completo uso e consumo dell’utenza. In ciò, la pubblicità gioca un ruolo importante, primario nella divulgazione di un prodotto qualsiasi, libro, opera d’arte, scoperta scientifica o un oggetto di uso comune; infatti è d’obbligo impostare una campagna pubblicitaria ad hoc che catturi e invogli la collettività al consumo.

Nel passato si adoperava appieno il disegno e la scrittura per evidenziare le qualità peculiari del bene in questione, attualmente, assistiamo ad una proliferazione effervescente di creatività, mezzi mediatici e ingegno umano, esaltano appieno vantaggi e privilegi spesso disattesi nella praticità quotidiana.

            Anche chi non naviga in internet, vede la tv, ascolta la radio, quotidianamente, è bombardato da un’infinità di messaggi, scritti o associati ad immagini statiche o in movimento.

L’innumerevole pubblicità destinata al grande pubblico, a parte quella televisiva, ha come veicolo preferenziale il muro.

Il muro, tappezzato da affiches canoniche o decorato con le bombolette spray, trasmette un messaggio immediato. Talvolta, si tratta di messaggi commerciali, altre volte politici oppure manifestano, più umanamente, gli impulsi emotivi dei giovani.      
            Negli anni 70, la forma prediletta dei giovani contestatori consisteva nel grafiare, magari con qualche accenno cromatico, un dato politico alla maniera dei murales latinoamericani, oppure ai dazebao (giornale o manifesto a grandi caratteri in uso durante la rivoluzione cinese di Mao).

Le metodiche appena accennate consentirono la trasmissione di pensieri, metafore, assonanze, proteste ma anche oscenità, amore, esibizionismo altrimenti impossibile ai giovani contestatari.
Il muro, diventa, per questi ragazzi, un medium aperto per dissentire o semplicemente imbrattare. Insomma, una superficie “democratica” su cui intervenire al riparo, però, da occhi indiscreti, mantenendo l’anonimato poiché, deturpare o invadere le coscienze altrui con linguaggi a volte violenti è vietato dalle leggi vigenti.
Per cui, la firma, sostituita in un secondo momento dallo pseudonimo, diventa un fattore determinante nell’esternazione di “esistenza e proprietà”, appartenenza al territorio e al gruppo, in cui è proibito l’accesso agli estranei.
Il fenomeno dei graffiti, in atto tra i lustrascarpe americani indicava il proprio raggio d’azione, contrassegnava il territorio del singolo e intimava l’alt all’intruso.

Graffiare sul muro una sigla significava, per i lustrascarpe, preservare una fonte di sostentamento poiché nelle realtà degradate anche l’angolo di una strada era fonte di sostentamento.
Poco alla volta il gesto grafico evolve; il graffio solcato con la pietra, la traccia nera della matita o del pennello, cede il campo agli spray colorati. Le colorazioni esplodono nello spazio figurativo e con loro anche il segno grafico muta. La tag non rimane statica ma si trasforma; grida, scherza, propone e dissacra; le lettere alfabetiche perdono i connotati originali, si rinnovano e diventano immagine.
L’immagine scaturita dal disegno autonomo è una realtà intima, esistente nel proprio microcosmo in sintonia con la cultura e l’ambiente sociale di vita e trova i suoi fondamenti nel campo specifico del linguaggio figurativo.

A questo punto la sfida pacifista, canalizza i fattori negativi della violenza nella progettazione creativa di una figurazione linguistica a passo coi tempi, svincolata, però, dalle correnti di pensiero delle scuole d’arte istituzionali.
In sintesi, il graffito metropolitano si alimenta delle pulsazioni della città; veloce e asciutto, esprime una fusione caratteriale del modello autoctono. Di conseguenza, gli influssi esterni alla poetica derivanti dalla mercificazione del prodotto o da contaminazioni di modelli effimeri, se non mediati dal vissuto storico affine, nel mortificare la riflessione sul costume, vanificano il potere espressivo del graffio che, ridotto ad equazioni tecniche consolidate dalla manualità, perde valore.

Altra poetica è l’intuizione zen, come amava definirla Mimmo Rotella, trasmessa dalla pubblicità.
Le stratificazioni cartacee, lacerate dalle intemperie o dall’uomo, trasmettono attimi di vissuto metropolitano. Rappresentano appieno lo scorrere del tempo; evidenzia le proposte della società consumistica e culturale corrente; una società consumistica per certi aspetti arrogante che si appropria del muro e schiavizza le menti dei passanti.
Come sfuggire a tanta violenza? Semplice: sublimando il linguaggio metropolitano attraverso l’intervento catartico dell’artista! (…)


(Mario Iannino)

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domenica 21 marzo 2010

empatia e cultura, per comprendere i linguaggi dell'anima



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Ancora oggi molte persone rimangono inebetiti davanti a opere non figurative. Eppure sono trascorsi molti anni dalla presentazione dei primi manifesti di arte d’avanguardia ad iniziare dal movimento che ruppe col passato accademico: l’impressionismo, che aprì le frontiere dei linguaggi visivi artistici contemporanei.
Gl’impressionisti, così definiti da un critico ottuso che volle denigrare il movimento culturale nato nella seconda metà dell’ottocento, guardarono il mondo con occhi diversi e cercarono, riuscendovi con perizia, di cogliere l’attimo della visione secondo la naturale impressione cromatica trasmessa dall’esposizione dei soggetti alla luce.
Impressione del sole nascente, da cui prende il nome tutto il pensiero pittorico, è una tela di Monet dai contorni soffusi, l’alba è più mistica che reale, se rapportata ai canoni accademici in atto nella pittura Francese ed Europea del tempo. Insomma, gl’impressionisti stravolsero concetti consolidati che fino ad allora servirono anche ad educare le masse. Viene da sé che i quadri che non rappresentano un contesto conosciuto e lontani dalla cultura visiva corrente incontrano derisione ostile e superficiale elusione di quanti capitano per caso a visitare un vernissage.
La pigrizia intellettuale di quanti non si sono mai appassionati o interessati ai linguaggi visivi e, quindi, alle avanguardie artistiche, induce a scrollare le spalle e passare oltre, per soffermarsi laddove c’è il segno tangibile della figura conosciuta, quindi un bel tramonto, un bimbo con le lacrime sulle gote, una composizione floreale, un ritratto e esclamare: quanto è bello, che bravo, questa è arte!
Ecco, lo stordimento iniziale di chi è privo della chiave di lettura delle poetiche visive trasforma repentinamente l’ignorante in navigato conoscitore di linguaggi visivi; eppure, la storia dell’arte nel testimoniare le esperienze umane chiarisce intenti e moti, pensieri, analisi e azioni di artisti e studiosi; distinguendo tra maestria artigianale, tecnica e creazione.

l’indifferenza causata dalla mancata acquisizione degli strumenti educativi rende il lavoro artistico sperimentale o d’avanguardia poco fruibile, perché, inadeguato alle aspettative della massa non avvezza a rappresentazioni visive gestuali prive di soggetti formali immediatamente assimilabili.

La gente si sente rassicurata dalla visione di figure affini alla realtà e pur disconoscendo il linguaggio dell’arte crede di interagire, capire quanto l’artista volesse dire o trasmettere con gli strumenti della pittura o della scultura, musica, letteratura, teatro.
Capire un’opera è conoscenza. Conoscenza e contestualizzazione storica dell’artista. Quindi, piuttosto che chiedersi o chiedere la significazione è opportuno munirsi degli strumenti culturali adeguati che associati alla sensibilità individuale conducono il dialogo sui binari dell’empatia.




(mario iannino)

giovedì 17 dicembre 2009

La cultura è un farmaco di automedicazione, da banco!


Tempo e materia nei sud del mondo.


Il tempo è l’ordine di misura che concorre a comprendere il fare dell’uomo in ogni suo aspetto teorico e pratico.
Quasi tutti gli artisti hanno a che fare col tempo. Il lavorio del tempo è sotto gli occhi di tutti ma non tutti osservano la materia, il colore, la vegetazione, l’aria: la vita!
Per l’artista, l’atto creativo è la conseguenza logica di molteplici riflessioni suggerite dal vissuto; riflessioni, che rivisitate dalla propria sensibilità, trasformano in riverberi poetici quanto la natura ha offerto ai sensi.
L’osservazione riflessiva sedimenta esperienze. Strati di conoscenza, accatastati nel subconscio, aspettano la scintilla creativa, il gesto liberatorio che, se pur semplice, induce a ulteriori analisi o suggerisce probabili soluzioni.
L’arte informale, liberata dalla figurazione pittorica, gioca con le paste, gli oggetti d’uso comune, i segni; ma, all’occorrenza si riappropria dei simboli della figurazione; rivisita le immagini pubblicitarie, le inserisce in contesti narrativi assurdi, ironici, a volte violenti. La violenza creativa è catartica. Non distrugge lessici consacrati per il gusto di annientare concetti contrari alla personale visione di una qualsiasi corrente artistica. No! Non è questo il proposito di chi fa arte, semmai è il venditore di “bolle” che proietta rutilanti parole per guadagnare visibilità o denaro. Chi fa arte lo sa bene!

L’operatore culturale non è un bohemien romanzesco, è un uomo che vive la contemporaneità del suo tempo appieno. Partecipe del cammino comune, l'artista propone, attraverso il suo fare, concetti semplici, rappresentazioni mentali dimenticate, soffocate dall'egoismo umano cresciuto a dismisura secondo i canoni consumistici correnti.
Idee e concetti ambigui, sovvertiti dalla bramosia economica, sono da ritenersi anche le operazioni “culturali fini a se stesse”, vale a dire quelle rappresentazioni stanche, composte di collezioni private che mischiano lavori di vecchi mostri sacri che, senza mai proporre coraggiosamente un valido artista locale al resto del mondo, allestiscono enormi macchine mediatiche per sublimare l'evento.

Così facendo, attraverso la riproposizione di minestre riscaldate, passate alla storia e quindi conosciute e divulgate in tutte le salse, gli organizzatori di grandi eventi culturali diseducano le masse ancorandole a concetti vecchi. È inutile riempirsi la bocca di numeri e visite pilotate.

La cultura è un farmaco di automedicazione, da banco, e non è necessaria la prescrizione del medico di turno legato a un qualsiasi collegio elitario.
La classe dirigente che ama davvero i conterranei ha il coraggio di cercare e valorizzare le intelligenze locali non supportate dai nomi altisonanti del mondo della cultura; non guarda ai larghi consensi immediati e va alla ricerca di quanti spendono sane energie per migliorare la Calabria.


giovedì 19 novembre 2009

Dirigenti, ammalati di esterofilia culturale, mortificano le menti locali




Corre l’obbligo chiarire a quanti non hanno potuto visitare le grandi mostre realizzate nel parco archeologico Scolacium, perché oberati da altri problemi o perché all'oscuro degli eventi, qual è stato il concetto propulsore degli appuntamenti annuali in base ai quali gli artisti sono stati invitati a “rivitalizzare culturalmente un territorio marginale come la Calabria”.

Allo scopo di valorizzare il territorio e la cultura sommersa di cui la Calabria è ricca, organi preposti, dopo ampi studi e riflessioni, hanno conferito incarichi a studiosi e tecnici della materia in questione per escogitare progetti mirati alla riqualificazione turistica e culturale.
Considerando le attenuanti generiche relative a questo tipo di operazioni e coscienti che gli effetti della cultura possono tramutarsi in spinte propulsive che daranno, senza ombra di dubbio, risultati positivi nel lungo termine, sempreché gestiti con intelligente lungimiranza dalla classe politica dirigente e dai tecnici che la affiancano; anche se qualcuno storcerà il naso in senso di disapprovazione per il dispendio di denaro pubblico investito in operazioni che per loro natura non hanno grandi consensi popolari, (è naturale che chi è pressato da problemi reali che minano la tranquillità familiare come la precarietà del lavoro, un sussidio sociale da fame, è poco accorto e pacato per valutare la possibilità di ricchezza futura che potrebbe provenire dal flusso del turismo culturale, vale a dire dal movimento economico generato dalle persone attratte dagli scavi archeologici, dalla storia e dal paesaggio; la cui presenza apporta ricchezza al territorio e quindi al cittadino; ma fino a quando ciò non accade, dovrebbe subentrare l’azione intelligente della politica a mitigare le esigenze dei bisogni sociali immediati. Tranquillizzare gli animi e far intendere che la cultura è un bene di tutti.) sempre rimanendo per un attimo nel campo delle esigenze territoriali, è opportuno capire quali sono state le linee guida dei progetti culturali, e le motivazioni che hanno spinto gli organizzatori a eludere gli artisti calabresi. Eppure, non mancano gli operatori, gli Artisti! Persone, di grande esperienza culturale, che operano nel campo della ricerca delle tecniche pittoriche tradizionali e nei linguaggi artistici contemporanei. Che proseguono l’attività creativa in Calabria, nonostante l’ostracismo o l’indolenza di taluni che si spacciano per operatori culturali. Agli artisti Calabresi non è stata data l’opportunità di vivere e far vivere d’arte! Questo il vero danno arrecato alla Calabria da dirigenti distratti; salvo, poi ravvedersi, come nel caso di Mimmo Rotella, e programmare eventi postumi. ma ormai il danno è stato consumato...

(mario iannino)

mercoledì 18 novembre 2009

arte contemporanea in Calabria, spazio open al parco

©archivio M.Iannino


Tra le opere d’arte disseminate nel parco della biodiversità, dopo “l’uomo che misurava le nuvole” lavoro in bronzo e silicone di Mimmo Paladino, alcuni esemplari dei cento ferrosi dissacratori replicanti nudi di Anthony Gormley che per fargli segnare una fantomatica linea d’orizzonte è stato necessario interrarli in entrambi i luoghi espositivi e nel sito archeologico alcuni pezzi sono stati tumulati fino al collo; le sculture di Cragg, i giochi meccanici di Delvoye, e, le altre opere acquistate che ben s’inseriscono nel parco catanzarese, ora è la volta dei “baci caduti” di Oppenheim: due enormi ampolle composte di tubi fluorescenti che rimandano la mente all’architettura delle cupole arabe. Installazioni da vivere che, munite di varco d’accesso, sembrano invitare gli osservatori a entrare, esplorare dall’interno le gocce di luce e aria, seguirne le sinuose verticali fino all’apice, punto di unione di forze esoteriche catalizzatrici di energie creative.


Decisamente è un bel vedere! Specie di notte.

Comunque, corre l'obbligo ricordare ai dirigenti locali che i progetti denominati “Intersezioni” e allestiti nel parco archeologico di Roccelleta sembra non abbiano contribuito a rilanciare quel turismo culturale pronosticato dai dirigenti politici, ciò dovrebbe far riflettere ed eventualmente escogitare nuove strategie, mirate a far decollare appieno l’area Scolacium di Roccelletta di Borgia alla periferia sud di Catanzaro e la costa jonica compreso l'imminente entroterra presilano che vide i natali di Mattia e Gregorio Preti .

martedì 17 novembre 2009

dal parco archeologico al giardino botanico di Catanzaro



Nel “parco della biodiversità”, giardino botanico calabrese di recente fondazione, Catanzaro, ha istituito una location d’arte visiva aperta a quanti non hanno mai avuto la possibilità di avvicinarsi all'arte e agli artisti noti contemporanei.
©arch.M.Iannino
parco archeologico, installazione Staccioli
l’amministrazione provinciale di

Al variegato mondo che popola i parchi verdi e i relativi giochi è stata data l’opportunità di incontrare, attraverso i lavori artistici inseriti nel parco botanico, gli autori delle installazioni effettuate nel parco archeologico di Roccelletta di Borgia dal 2005 a oggi.

Incuriosirsi ai linguaggi dettati dall’arte contemporanea; documentarsi per comprendere le motivazioni che spingono gli artisti a giocare e proporre il proprio fare; contestualizzare il tutto con la macchina economica che gira attorno agli interessi economici e culturali di critici, galleristi e mercanti.

Considerare pacatamente senza demonizzare niente e nessuno se le operazioni messe in atto dai progettisti culturali siano riuscite nell'intento che si erano prefissati, ovvero, di apportare ricchezza al territorio oppure no!
Chiedersi se è indicato puntare sempre sullo straniero oppure dare opportunità all’indigeno; valorizzare i talenti locali, stimolarli e far sì che la creatività diventi strumento propulsivo dell’economia calabrese.
©arch.M.Iannino

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