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domenica 30 gennaio 2011

Laboratori creativi, un successo tranne che in Calabria

©archivio M.Iannino

A Peppe Scopelliti, Wanda Ferro, Michele Traversa e a tutti i dirigenti locali della Calabria


Messaggio pubblico

Brevemente: la povertà economica, ma peggio, quella mentale alimentata dai pettegolezzi, influisce e peggiora i rapporti sociali, specie, nelle realtà prive d’interessi intellettualmente variegati. La sottocultura alimentata con il sentito dire imbruttisce esteriormente e culturalmente le persone, specie se contaminate dalla miseria totale o parziale e dagli stenti economici, dalle difficoltà lavorative dei nuovi poveri e da qualche dramma familiare vissuto da quanti hanno perso il lavoro.
Per questi e altri motivi, ho ritenuto opportuno proporre negli anni, in base alle mie possibilità economiche ed esperienziali, interventi mirati ad alleviare lacune culturali attraverso il gioco creativo della pittura e dei linguaggi visivi, proponendo laboratori associativi per genitori e figli. Luoghi d’incontro per bambini di tutte le età nei quali ritornare nella dimensione infantile soppressa dalle circostanze per riscoprire la gioia di un sorriso condiviso. Tornare bambini tra i bambini, abbattendo, per il tempo necessario ai giochi creativi comunitari, i muri eretti dalle problematiche sociali vissute ineluttabilmente nelle famiglie.
I vari laboratori si sono dimostrati una vera e propria terapia dell'anima, condizione testimoniata dall'affetto di quanti hanno avuto la possibilità di parteciparvi e dal rammarico di non poter continuare l’esperienza ludica creativa.

Per quanto accennato chiedo a voi, che ricoprite l’incarico di dirigenti pubblici, politici, imprenditori, persone e enti no profit impegnati nel sociale, di valutare la possibilità di attuare in maniera strutturata e definitiva, qualora riteniate valido il progetto, impegnandovi, sull'esempio di Michele Traversa, vedi ex scuola agraria, di essere presenti affinché si possa attuare sul territorio una fucina creativa aperta a tutti, specie a quanti vivono disagi sociali nell’assoluto rispetto dei ruoli e delle posizioni culturali.

venerdì 28 gennaio 2011

Laboratori creativi, fucine culturali per il sociale

©arch.M.Iannino
Progetti bocciati in Calabria o accolti svogliatamente dagli enti locali, dalla politica in generale e da un certo ceto sociale, decollano a Milano dimostrandone la validità! e mentre scorrono le immagini, nell'auspicare una medesima evoluzione mentale anche da noi, mi assale un po' di amarezza e, rasentando la sfiducia, una sorta di stanchezza accumulata negli anni mi fa sussurrare:

Perché a Milano sì e qui da noi non funziona? l'interrogativo accompagna spontaneo le immagini della rubrica costume e società del tg2:

©archivio M.Iannino
Bambini che giocano col colore; persone adulte che dipingono, scambiano concetti; sorseggiano un the o un caffè mentre i figli impastano colori con le mani e osservano le trasformazioni cromatiche che appaiono, come per magia, sotto i loro occhi. eppure, sono le stesse cose che vado divulgando e proponendo da oltre trent’anni! per ultimo nella parrocchia di Squillace lido e lì c’è stato un ottimo riscontro di adesioni. Mamme e bimbi, entrambi entusiasti, frequentavano e vivevano con gioia gli incontri ri/creativi.
©archivio M.Iannino
Il laboratorio ha funzionato, eppure, non si capisce perché, in Calabria le idee costruttive, sane, che aiutano nella crescita, nell’aggregazione, non decollano mai! Ripeto, sono trent’anni e sempre c’è stato entusiasmo e volontà, da parte mia e di quanti hanno avuto l’opportunità di esserci, aprirsi al confronto, e quindi fare proseguire gli appuntamenti ludici creativi, che, purtroppo, sono naufragati miseramente di fronte banali questioni economiche.
©arch.M.Iannino
Sarebbe riduttivo addebitare alla crisi economica attuale il fallimento giacché, ripeto, è dai primi anni ottanta che dedico energie e tempo a progetti analoghi.
Purtroppo, da noi, vige una sorta di ostilità repressa, non esternata ma attuata nei confronti di chi è disposto a mettere in gioco capacità individuali e collettive gratuite. Una sorta di sadismo sociale che spinge a buttare fango anche sulle azioni nobili degli uomini pur di non vedere decollare progetti educativi elementari. Progetti culturali nati dalla passione per il sociale e dalla volontà di confrontarsi, mettersi in gioco. Azioni, queste, concrete, importanti per la società, specie se attuate da privati cittadini non necessariamente identificati in una cordata di potere politico, religioso, economico.
Che sia questo a spingere la gente seria di Calabria ad andare via o rintanarsi in torri d'avorio?, vale a dire ammettere amaramente che ci sia ben poco da fare, ammettere le sconfitte e lasciare spazio ai merciai della parola “fumosa”, cedere alla mediocrità imperante che lentamente attanaglia e contamina terra e cultura?
Non sia mai detto!

sabato 11 settembre 2010

docenti e formatori, genitori, esploratori e guide


Viviamo una realtà fatta e gestita da teatranti nella quale siamo gli attori principali. Ognuno di noi sceglie un ruolo. Asseconda la propria indole e fa di tutto per non deludere le attese della gente che lo circonda.

Il copione, scritto dalla nascita, nella maggior parte dei casi si uniforma alla media, perciò, si è spinti in società, da mamma e papà, con le migliori intenzioni e quando queste prerogative sono ragionevolmente disattese, perché puntualmente lo sono, incominciano le incomprensioni tra genitori e figli.
Solitamente i conflitti nascono allorché il piccolo uomo ha la possibilità di confrontarsi con gli altri; osserva e fa paragoni.

Il bambino si accorge presto che deve gareggiare per essere il primo della classe, svelto nel linguaggio, servizievole e che raramente è trattato come persona che deve cercare la propria identità in armonia col suo essere.

Data l’esperienza acquisita, ritengo che l’indirizzo migliore per lo sviluppo armonico delle singole personalità in fase di crescita, valevole anche per gli adulti, sia trasmettere fiducia e libertà con l’ausilio di paste, oggetti per la manipolazione e la rivisitazione del vissuto. Lasciando, ovviamente, ampia libertà d’azione, formale e intellettiva.

.

sabato 15 maggio 2010

comunicazione visiva e arte

L’arte comunica sempre, a volte anche silenziosamente. Quando si è davanti alla tela bianca allora si incomincia ad ascoltarsi, e qualcosa si esprime sempre; in un colore, una forma, una sfumatura…ogni cosa si appropria di un valore simbolico, ha un suo significato e prende forma quasi inconsapevolmente…e in fieri si trasforma, si impossessa di sempre maggiori dettagli oppure li perde, li fa solo intravedere o si accentua di particolari. Non è mai definito, fino alla fine tutto può succedere e tutto può cambiare quando ci si esprime liberamente, ma non ha importanza, è sempre una catarsi seppure leggera e in punta di piedi che si lascia al gioco delle interpretazioni e soprattutto lascia qualcosa in chi ha saputo donarsi sulla tela.
La libera e pura espressione pittorica, anche dei profani e non artisti, interviene in modo sottile in una dinamica relazionale, con gli altri e con se stessi, quanto più è libera tanto più esprime, non per questo vuol dire che sia sincera, ma spontanea. Tutto quello che viene fuori ci mette in discussione sia in riferimento all’idea intima espressa che all’intento che si vuole suscitare in coloro che si soffermano a guardare, tanto da restare in attesa scrutando nell’altro ogni segno che doni valore alla nostra pur semplice rivelazione artistica.
Lasciarsi coinvolgere in questi sottili processi diviene ancora più semplice e naturale quando una presenza abile e carismatica come quella del maestro Mario Iannino si fa sentire costante e fiduciosa, riuscendo sapientemente a rinvigorire lo spirito creativo e profondo possibile in coloro che si rendono disponibili alla libera espressione.


ALCUNE RIFLESSIONI PEDAGOGICHE
L’espressione artistico-figurativa acquista il suo valore pedagogico nel potere inevitabilmente comunicativo di chi si esprime. E’ un gioco dove tutto è concesso e tutto va bene, non ci sono regole, ogni cosa può essere rivista e reinterpretata liberamente così da diventare il metodo comunicativo più ricco di particolari simbolicamente significativi, un contesto fatto di elementi che altrimenti sarebbero incomunicabili, censurabili. Non serve essere abili o artisti, basta semplicemente essere! E i bambini sanno essere in modo esplosivo e stupendamente ricco. Un’emozione, un evento, una situazione, un desiderio, tutto viene espresso nell’arte figurativa dai bambini, anche quello che diversamente rimarrebbe inconscio o censurato. I colori si uniscono alla loro fantasia e nel gioco rappresentano la loro semplicità e la loro ricchezza.

Luisa Mellace

sabato 24 aprile 2010

la magia dei colori, omaggio alle mamme



La magia dei colori: alchimie cromatiche per un futuro migliore.

Le novità inattese ma anche quelle prevedibili se vissute con armonia e gioia, assaporate senza sentirsi addosso il peso oppressivo delle attese personali o altrui, oltre a suscitare stupore, inducono attori e spettatori a osare di più e quest’osare conduce i giocatori, grandi o piccoli che siano, alla ricerca.
Una ricerca ludica fine a se stessa, almeno all’inizio dei “giochi creativi” che contempla sperimentazioni, osservazioni riflessive e studi.
L’azione culturale, condotta negli spazi creativi della parrocchia di Squillace lido, ha dato i suoi frutti e l’esposizione delle “magie cromatiche” aperta al pubblico dall’otto maggio in poi, che i partecipanti hanno voluto dedicare alla mamma terrena Natuzza Evolo, la mistica di Paravati, in rappresentanza di tutte, in quanto umile e compassionevole espressione pro-creativa per antonomasia e da lei risalire alla Madre Celeste, è la testimonianza di un percorso educativo comune.

L’occasione della ricorrenza mariana diventa un pretesto per riflettere su temi spesso ritenuti demodé.
La riflessione corale ha indotto a tradurre, attraverso la magia dei colori e dei segni grafici, i sentimenti che la figura materna sprigiona nelle culture dei popoli. E nell’accezione più ampia del termine, l’atto procreativo, nell’assumere valenze universali conduce l’analisi a logiche conseguenze riscontrabili nei mondi animale e vegetale con i relativi cicli vitali, senza il quale, l’uomo non potrebbe esistere.

Questi semplici concetti hanno dato l'input iniziale per la costruzione espositiva, aperta al pubblico nei locali della parrocchia S. Nicola in Squillace lido, in cui sono visibili i sentimenti espressi poeticamente in occasione della ricorrenza dedicata all’essere Madre, non tanto per favorire la mercificazione feticistica di effimeri prodotti ma, per analizzare assieme una figura dispensatrice di vita; protettiva, a volte iperprotettiva, magari assillante, comunque presente nella formazione e nella crescita armonica dei figli e di conseguenza della società.

Lo studio delle tecniche pittoriche è secondario se paragonato all’atto iniziale. Vale a dire: quella spinta naturale che induce i bambini a gesticolare, segnare con grafie incerte lo spazio davanti a loro e narrare. Il dialogo fantasioso dei bambini è puro, e poiché privo delle sovrastrutture mentali degli adulti, esprime nella totale libertà il pensiero infantile con naturalezza, allo stesso modo di come sugge il latte dal seno materno, gattona, si alza e fa i primi instabili passi per correre non appena acquista sicurezza e fiducia in sé.
Ecco, questo, in sintesi, può essere paragonato al percorso di chi vuole capire e adottare la pittura come linguaggio per esternare concetti e visioni poetiche.

Spesso i bambini, ma ancor più gli adulti, quando sono condizionati da esplicite richieste, se non possiedono la totale padronanza delle tecniche pittoriche, rifiutano di “giocare” col mezzo espressivo della figurazione perché non lo ritengono più un’attività ludica ma l’esplicitazione visiva di concetti altrui.
La prova da superare, perché di questo si tratta per il bambino, lo mette in ansia e la paura di sicuri insuccessi, e di essere deriso perché ha disatteso le intenzioni degli altri piuttosto che appagare il suo bisogno di dialogo giocoso, lo inibisce. Se a questo fattore si associano le fobie trasmesse dalla famiglia e dalla società per quanto concerne i concetti di pulizia e di bello, il quadro della diseducazione nei confronti della più alta attività umana è completo.
Per riavviare i partecipanti alla creatività ludica e renderli parte attiva, nei laboratori creativi, gli spazi e gli oggetti sono messi a completa disposizione dei fruitori. Qui, i partecipanti al gioco, sono tutti attori comprimari; liberi dall’assillo della proprietà in quanto il concetto di mio, tuo, suo è inesistente, giocano e sperimentano nuance a più mani. Interiorizzano il concetto di gioco trasmesso dalla magia dei colori e nella commistione del segno come estrinsecazione esistenziale dell’io allo scopo di fortificare l’autostima e per scrollare dalla mente l’assillo deviante del “bel” prodotto finito. E non solo! Lo spazio è personalizzato da quanti lo frequentano. Piccole impronte decorano le pareti; marchiano e delimitano il territorio, dialogano tra di loro, si sovrappongono, interagiscono negli spazi mentali di adulti e bambini e accolgono in un abbraccio corale quanti osano percorrere i sensibili sentieri poetici dell’anima e ritornare bambini.

(Mario Iannino)

mercoledì 3 marzo 2010

Fare creativo, autostima e crescita armonica nei laboratori ri/creativi




Oggi più che mai è indicato un ritorno alla quiete interiore; allontanarsi dal rumore mediatico e valutare serenamente le opportunità esistenziali racchiuse dentro di noi.

Valutare se davvero conveniente impegnare energie per il raggiungimento esclusivo del benessere materiale, diventare schiavi delle economie aziendali; essere drogati dalle luci della ribalta mediatica, che pare abbiano contaminato anche il web con lusinghiere esposizioni di blogger controcorrente e intellettualmente sani.
Insomma, essere condizionati dai miraggi o prendere piena coscienza delle nostre potenzialità e svilupparle in armonia con il bene supremo, vale a dire: l’amore per la vita?

Pensatori, filosofi, pedagoghi hanno lasciato indirizzi insegnamenti validi per eliminare ostacoli e sovrastrutture mentali inadatte al raggiungimento della serenità ma pare che l’uomo, se non soffre, non è contento!
Sembra assurdo ma spesso ci facciamo del male inutilmente. Rincorriamo traguardi fasulli e per raggiungerli siamo disposti a ogni bassezza. Mentiamo. Accusiamo innocenti. Violentiamo le coscienze. Smerciamo scorie tossiche. Provochiamo pandemie. Favoriamo ricerche scientifiche dubbie… Che dire: non è un bell’esempio di correttezza morale!

Nel frattempo, nelle periferie, i deboli, i diseredati soffrono la fame, il freddo e muoiono a causa di un semplice raffreddore, mentre i benestanti sprecano cibo, indumenti e prodotti tecnologici in tutta tranquillità.

Tutto ciò è con certezza la conseguenza logica di una serie incessante di teorie evolutive sbagliate, con le quali, l’uomo arrogante tenta di dare forme veritiere alla dissacrazione intellettuale e al saccheggio pratico dell’eco sistema terrestre. Ecco, quindi, che il fetente in questione assume un aspetto ben definito e che chiameremo: uomo arrogante! Senz’altro lontano dalle scuole di pensiero citate di seguito, non per esporre metodi e teorie in contrapposizione ma allo scopo di stimolare la riflessione e il dibattito circa la corretta prosecuzione naturale della specie secondo criteri, che personalmente ritengo saggi, del vivere civile.

Il concetto appare chiaro già nella ricerca di Rudolf Steiner proteso a elaborare una pedagogia che insegna ad apprendere continuamente dal vissuto quotidiano per tutta la vita.

Nella formazione steineriana non vi è traccia alcuna di nozionismo e questo, nelle intenzioni delle scuole, dovrebbe portare a uno sviluppo ottimale della personalità e della componente umanistica, scientifica, culturale oltre che artistica dello studente; inoltre non sono previste bocciature o altri rallentamenti nel percorso scolastico (tranne al liceo), poiché l'insegnamento è in relazione all'età dell'alunno. Nella formazione degli insegnanti steineriani è molto fondamentale il percorso di autoeducazione per risvegliare interesse, entusiasmo e spirito d’iniziativa in campo pedagogico.
Per Steiner la pedagogia è un‘arte ed il maestro vi deve essere portato ed avere una sorta di “vocazione". Un cattivo maestro genera cattivi alunni: una persona, pur preparata, che insegna per portare a casa lo stipendio, senza metterci la propria passione, non è degno di insegnare. L'insegnamento non è solo un freddo passaggio d’informazioni, ma è una relazione tra due esseri umani, in cui uno è assetato di conoscenza e l'altro è portato a trasferire tutto il proprio sapere umano ed intellettuale.

Anche Maria Montessori curò l’aspetto educativo dei deboli.
• S’interessò in particolare ai bambini con problemi psichici, ma stese delle teorie più generali.
• Il pensiero pedagogico montessoriano riparte dalla pedagogia scientifica come primo passo fondamentale per costruire un'osservazione obbiettiva dell'oggetto.
• L'oggetto dell'osservazione non è il bambino in sé, ma è costituito dalla scoperta del bambino nella sua spontaneità ed autenticità.
• Il principio fondamentale è la libertà dell'allievo.

Ancor prima, Tommaso Campanella nella stesura della società ideale esplicitata in “La Città del Sole” così teorizza il metodo educativo da adottare con i bambini:

• I piccoli «Solari» imparano giocando, correndo per le vie della città. Tutte le mura sono, infatti, istoriate, in modo da costituire una vera e propria enciclopedia visiva. Nel primo girone sono rappresentate le figure matematiche, una carta geografica di tutta la terra e le tavole riguardanti ogni provincia con i rispettivi riti, i costumi, le leggi e gli alfabeti delle varie lingue. Nel secondo girone sono raffigurati i minerali, le pietre ed i metalli, i mari, i laghi e i fiumi. Nel terzo, gli alberi, le erbe e le loro virtù medicinali, i pesci e il loro modo di vivere. Nel quarto sono riprodotti le varie specie di uccelli, rettili e insetti. Nel quinto gli altri animali terrestri. Le mura del sesto girone illustrano le arti meccaniche e gli inventori delle leggi, delle scienze e delle armi.

Altri formatori e pedagoghi moderni, intendono la scuola e le attività correlate come momento istituzionale con il compito di conferire agli allievi le conoscenze per accedere al mondo del lavoro.
L’una non pregiudica l’altra. L’importante è non eccedere nelle teorizzazioni strumentali degli allievi e pretendere concrete finalizzazioni tesaurizzanti piuttosto che reali crescite intellettive.

(Mario Iannino)

martedì 16 febbraio 2010

didattica creativa


Le poetiche visive non si concretizzano per abbellire anonime pareti ma, per un’intima esigenza di dialogo.

©archivio M.Iannino
libertà 

L’azione creativa nasce dal gioco. Un gioco non competitivo e conflittuale ma propositivo in cui la finzione visiva è sospesa in un’area fantastica e rimane lì, entro i confini giocosi dell’invenzione, a suggerire percorsi mentali dinamici e realizzare luoghi gratuiti in cui rifugiarsi, riflettere. Riflettere sulla vera essenza dell’uomo, analizzarne i controsensi; rileggere percorsi assodati, superare freni inibitori e dogmi comandati dalle culture dominanti; valutare il tutto in assenza d’indicazioni prestabilite così da aggiungere nuovi strumenti all’insegna della pura creazione.

La sospensione temporale, l’assenza di regole e la libertà d’azione pongono la mente in stato di quiete e convogliano le energie verso attività ri/creative. La ri/creazione fatta per puro diletto, quindi, lontana da coercizioni o volontà conflittuali indirizzate a primeggiare, è magia; punto d’incontro con le forze vitali universali.

In virtù di ciò la trasmissione giocosa di competenze pittoriche deve avvenire lentamente “senza regole”; senza aspettarsi il “bel dipinto” ma giocando e osando con materia e colori. A tal proposito, è istruttivo osservare i bambini poco scolarizzati: il loro approccio col medium è corposamente fabulatorio, usano pasta cromatica spessa e non si pongono il problema se accostandola sullo strato fresco si contamina o si sporca, loro seguono le storie mutevoli che hanno in testa e mentre stendono il colore dialogano. Ecco, ai bambini si deve lasciare ampia libertà d’azione e non si deve invadere il loro campo fabulatorio dettato dal puro piacere del fare.
Davanti ai bambini dobbiamo sempre tenere bene in mente che l’azione ludica non scaturisce dalla necessità funzionale di cosa sarà o a chi servirà il manufatto ma dall’esigenza creativa intrinseca dell’uomo che unisce sensibilità e estro fabulatorio.
Anche per gli adulti, il gioco pittorico, privo di regole, ha il fine gratuito della soddisfazione intellettuale. La stessa gioiosa soddisfazione dei bambini alle prese con i castelli di sabbia.
E gli Artisti sono eterni bambini, sempre pronti a ricominciare; disincantati e fortificati dagli ostacoli eretti dall’orda barbarica incontrata nel corso degli anni.

(da:appunti di grafia creativa, di Mario Iannino, 2005, editoriale progetto 2000 CS)

giovedì 11 febbraio 2010

momenti associativi: arte religione cultura




Squillace, arroccata sul colle, osserva dall’alto la recente estensione urbana.
©archivio M.Iannino
squillace, castello dei borgia

Lungo la strada provinciale, numerose abitazioni adagiate sulle colline protese verso il mare testimoniano la parsimonia e il legame della gente di Calabria al territorio d’origine.

Costruzioni realizzate in economia dai residenti, insediamenti turistici, villaggi residenziali, che d’estate accolgono una marea di turisti, rendono inadeguata la chiesetta della zona marinara di Squillace.

La chiesetta di S. Nicola ha spazi progettati per un esiguo numero di residenti e d’estate, la S. Messa è celebrata all’aperto.

Finalmente, Squillace Lido, propaggine del centro storico cassiodoreo, offre un riparo ai fedeli: sullo spiazzo affianco alla chiesa, da poco, si erge una pratica tettoia, inaugurata domenica 7 febbraio dal vescovo della diocesi di Catanzaro/Squillace, Mons. Antonio Ciliberti; nell’occasione, i parrocchiani hanno voluto testimoniare il loro affetto al prelato con un quadro realizzato nel laboratorio creativo e corredato da una pergamena che recitava:

Eccellenza reverendissima, Mons. Antonio Ciliberti,
Siamo “Quelli del lab/oratorio”
Un gruppo eterogeneo composto di adulti e ragazzi, ci incontriamo nel tardo pomeriggio tre volte alla settimana nei locali messi a disposizione dalla chiesa parrocchiale guidata dal nostro caro parroco padre Piero Puglisi.
I ragazzi, dopo le lezioni, hanno l’opportunità di giocare e frequentare un corso di pittura.
Il laboratorio creativo, tenuto dal maestro Mario Iannino, è un luogo dove ognuno estrinseca personalità e concetti creativi in armonia col proprio essere, in piena libertà. Il nostro spazio lo abbiamo personalizzato con le impronte cromatiche di piccole mani. In occasione della vostra benevole visita abbiamo voluto realizzare un’opera che tocca i temi della pace, della fede, della disoccupazione delle difficoltà della vita e le asperità che si incontrano non solo nella nostra regione. Così il maestro ha iniziato una lezione e ci ha fatto capire che quando osserviamo un quadro il messaggio del pittore si deve cercare nelle figure che compongono la tela perché ad ognuna di esse l’artista assegna un valore.
In virtù di questa lezione abbiamo voluto stigmatizzare nel quadro che le offriamo concetti verbali inerenti la ricerca interiore dell’uomo e la sua tribolazione per raggiungere uno stato di grazia in armonia con le parole del Vangelo.
Nello specifico, abbiamo trattato:
·         L’acqua come rappresentazione della vita;
·         la strada tortuosa, simboleggia le difficoltà che s’incontrano lungo il cammino di ognuno di noi per raggiungere la pace;
·         la vegetazione spartana, composta da piante di fichi d’india, rappresenta il carattere apparentemente rude del meridionale.
(Nel paesaggio calabrese, la pianta dei fichi d’india è una varietà vegetativa che cresce e fruttifica senza l’intervento amorevole dell’uomo persino sulle rocce. Ha foglie larghe e carnose punteggiate di aculei; anche il frutto, variegato nei colori e nel sapore, e protetto da una corazza carnosa ricoperta di spine, che, se lasciata macerare nell’alcol trasmette al liquore ottenuto qualità organolettiche digestive).
Un’ulteriore catarsi avviene nella trasformazione del fico d’india posto alla sinistra del quadro trasformato in grappolo di palloncini a rappresentare sogni e preghiere. Il fine ultimo della catarsi è raffigurato nei simboli cristiani della colomba e della croce abbozzati nel cielo.
Eccellenza, in questo quadro abbiamo voluto metterci tutti i problemi dell’uomo contemporaneo: sofferenze, lotte quotidiane, frustrazione per la mancanza di un posto di lavoro, quindi, soldi che non bastano mai specie se spesi per curare malattie. Ma, nonostante le ambage, abbiamo voluto evidenziare come questa comunità cerca di affrontare le difficoltà e non si ferma al primo ostacolo: confidando nella nostra maggiore forza riposta nella Luce, la Luce della fede che Cristo, per mezzo dei suoi operatori, ci trasmette.
Sicuramente eccellenza non sarà un quadro che starà appeso ad una parete per fare pendant con il salotto ma piuttosto con il cuore di ogni uomo che avrà l’opportunità di guardarlo…

Domenica 07 febbraio 2010/SV


sabato 23 gennaio 2010

la forza evocativa della metafora in pittura

Allegorie figurali in pittura.

Quando osserviamo un’opera pittorica tipicamente figurativa, per comprendere appieno il messaggio è opportuno considerare alcune semplici regole e ricordare che l’operatore per trasferire messaggi visivi complessi si avvale delle allegorie che il linguaggio comune assegna ai soggetti inseriti nell'opera e non considerare il quadro come un’operazione decorativa fine a se stessa da collocare sopra il divano perché fa pendant col salotto o il paralume. In sintesi: aprire la mente ai linguaggi della visione contemplativa; cercare le allegorie figurali prodotte dall’artista; accogliere, comprendere, dialogare.

La metafora pittorica condensa forza oratoria e alchimia grafica in pochi centimetri quadrati.

Alcune allegorie sono parte attiva dei linguaggi simbolici comuni. Tra questi, il simbolo della Croce è, per il mondo Cristiano, sinonimo di Amore Universale, mentre la colomba assurge a rappresentazione di Pace tra gli uomini, così come il ramoscello d’ulivo.
Anche un cuore graffiato sul muro o inciso sulla pelle esprime passione per qualcuno. E fin qui tutto scontato! Il problema si pone davanti a simbologie figurali personalizzate. Allorquando l’artista per realizzare nell’immediatezza visiva un tema complesso come la pace o altro esprime concetti pittorici inusuali. Innovazione e personalizzazione dei linguaggi stentano a essere recepiti dalla massa specie in quei territori poveri di stimoli culturali marchiati dall’infamia sociale della disoccupazione, dall’ignoranza e dalla sottocultura dei dirigenti.
In simili situazioni l’artista che vuole “parlare” alla massa ed esplicitare con la figurazione un qualsiasi tema sociale si guarda intorno, valuta le difficoltà oggettive e associa a qualcosa di caratteristico legato al territorio il dato peculiare del tema da sviluppare.
Trattandosi di un territorio prevalentemente montuoso come quello calabrese composto di poche pianure, dirupi, rocce, strade tortuose, vegetazione, sole, mare e stili di vita spartane, l’artista non può che correlare la calabresità al paesaggio, che, trattato diligentemente dall’uomo, diventa espressione di generosa ospitalità e sostentamento collettivo.

Nel paesaggio calabrese, la pianta dei fichi d’india è una varietà vegetativa spontanea che cresce e fruttifica senza l’intervento amorevole dell’uomo persino sulle rocce. Ha foglie larghe e carnose punteggiate di aculei; anche il frutto, variegato nei colori e nel sapore, è protetto da una corazza carnosa ricoperta di spine, che, se lasciata macerare nell’alcol trasmette al liquore ottenuto, qualità organolettiche digestive. Insomma, quanti ignorano le molteplici peculiarità della pianta, difficilmente riescono a trovare nessi logici del suo inserimento in un contesto figurale pittorico. Eppure chi conosce l’animo del meridionale in generale e Calabrese in particolare intuisce immediatamente la metafora tra la ruvidità esteriore dei calabresi e la spartana pianta in questione.

mario iannino


giovedì 21 gennaio 2010

Pittura e poesia, linguaggi di denuncia


Allegorie figurali in pittura.

Quando osserviamo un’opera pittorica tipicamente figurativa, per comprendere appieno il messaggio è opportuno considerare alcune semplici regole e ricordare che l’operatore per trasferire messaggi visivi complessi si avvale delle allegorie che il linguaggio comune assegna ai soggetti inseriti nell'opera e non considerare il quadro come un’operazione decorativa fine a se stessa da collocare sopra il divano perché fa pendant col salotto o il paralume. In sintesi: aprire la mente ai linguaggi della visione contemplativa; cercare le allegorie figurali prodotte dall’artista; accogliere, comprendere, dialogare.

La metafora pittorica condensa forza oratoria e alchimia grafica in pochi centimetri quadrati.

Alcune allegorie sono parte attiva dei linguaggi simbolici comuni. Tra questi, il simbolo della Croce è, per il mondo Cristiano, sinonimo di Amore Universale, mentre la colomba assurge a rappresentazione di Pace tra gli uomini, così come il ramoscello d’ulivo.
Anche un cuore graffiato sul muro o inciso sulla pelle esprime passione per qualcuno. E fin qui tutto scontato! Il problema si pone davanti a simbologie figurali personalizzate. Allorquando l’artista per realizzare nell’immediatezza visiva un tema complesso come la pace o altro esprime concetti pittorici inusuali. Innovazione e personalizzazione dei linguaggi stentano a essere recepiti dalla massa specie in quei territori poveri di stimoli culturali marchiati dall’infamia sociale della disoccupazione, dall’ignoranza e dalla sottocultura dei dirigenti.
In simili situazioni l’artista che vuole “parlare” alla massa ed esplicitare con la figurazione un qualsiasi tema sociale si guarda intorno, valuta le difficoltà oggettive e associa a qualcosa di caratteristico legato al territorio il dato peculiare del tema da sviluppare.
Trattandosi di un territorio prevalentemente montuoso come quello calabrese composto di poche pianure, dirupi, rocce, strade tortuose, vegetazione, sole, mare e stili di vita spartane, l’artista non può che correlare la calabresità al paesaggio, che, trattato diligentemente dall’uomo, diventa espressione di generosa ospitalità e sostentamento collettivo.

Nel paesaggio calabrese, la pianta dei fichi d’india è una varietà vegetativa spontanea che cresce e fruttifica senza l’intervento amorevole dell’uomo persino sulle rocce. Ha foglie larghe e carnose punteggiate di aculei; anche il frutto, variegato nei colori e nel sapore, è protetto da una corazza carnosa ricoperta di spine, che, se lasciata macerare nell’alcol trasmette al liquore ottenuto, qualità organolettiche digestive. Insomma, quanti ignorano le molteplici peculiarità della pianta, difficilmente riescono a trovare nessi logici del suo inserimento in un contesto figurale pittorico. Eppure chi conosce l’animo del meridionale in generale e Calabrese in particolare intuisce immediatamente la metafora tra la ruvidità esteriore dei calabresi e la spartana pianta in questione.

mario iannino

senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d'inverno.
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi, alzandovi.
Ripetetele ai vostri figli.
(...)
(se questo è un uomo; Primo Levi)
Fatti, vissuti in prima persona per non dimenticare! e solidarietà universale per evitare che si riproponga un periodo di oscurantismo morale e intellettuale genaralizzato.

mercoledì 26 agosto 2009

Semiotica e creatività al campo estivo uic Catanzaro



Parlare di semiologia ad una platea di ciechi può risultare assurdo!, ma grazie alla lungimirante azione di Luciana Lo Prete, presidente dell’unione ciechi di Catanzaro, anche questo anno, all'interno dei programmi riabilitativi del campo estivo per non vedenti e ipovedenti, è stato attivato il laboratorio di semiotica e creatività.

Laboratorio che invita i partecipanti all'analisi dei saperi e del fare umano.

Se consideriamo il dato iniziale dei prodotti finiti che troviamo facilmente nei supermercati, vale a dire il pane, la pasta e come l’uomo abbia aguzzato  l’ingegno e compreso come coltivare il grano, trasformarlo in farina, impastarlo, lasciarlo lievitare, cuocerlo, ci accorgiamo della complessità che sta dietro all'elaborazione/invenzione di una semplicissima ricetta.
Di come l’origine del pane, della pasta, ecc. divenuti beni compiuti dopo complesse fasi di lavorazioni, non esisterebbero se, appunto, non ci fosse stata una ricerca attenta degli elementi e della loro fusione.

Eppure, tutto ha origine da un insignificante semino; un piccolissimo puntino del quale si cibano gli uccelli che, opportunamente trasformato, moltiplica la materia e sfama intere popolazioni.

Quanti tentativi avrà fatto l’uomo per arrivare a tanto? Quando ha intuito che frantumando i semi e mischiando dell’acqua attenuava meglio la fame e quando ha capito che abbrustolendo l’impasto acquisiva sapore?
Quanti gesti avrà compiuto nel pestare o triturare la materia prima?

Quanti segni avrà graffiato sulle superfici per indicare le quantità diagnostiche?

Il “segno” inteso come elemento diagnostico, quindi, teoria e studio di ogni tipo di bersaglio linguistico, visivo, gestuale ecc., prodotto in base a un codice comunemente accettato, nella sua essenziale veste grafica, espressiva, plastica, gestuale, è esperienza “diagnostica”.

La diagnosi, nonché l'analisi dell’elemento plastico, all'interno del laboratorio, avviene mediante l’indagine tattile e l’esposizione verbale dei corpi analizzati.

In sintesi, individuato il “bersaglio” linguistico, si mette in pratica quanto esposto coniugando il sapere scaturito dall'esperienza gestuale con il fare concreto.

La manipolazione, essenziale, per realizzare oggetti familiari con paste, da una parte riporta a sondare l’origine e dall'altra il clone che diventa espressione personale.

Segno che si concretizza!

(mario iannino)

domenica 12 luglio 2009

m.iannino, oltre la parola, semiotica e creatività




Semiotica e creatività

LABORATORIO OLTRE LA PAROLA. Ente Nazionale Sordi. Calabria


Oltre la parola il di/segno condensa l’universo reale o immaginifico del singolo e lo espone, coerentemente alla personalità dell’autore, ad acculturati, analfabeti, adulti e bambini di qualsiasi etnia e stato sociale.

Il gesto chiarisce e raggiunge gli esseri, traduce la babele degli idiomi in chiari, immediati pensieri universali, anche se, strumenti, segni e metodiche del fare gestuale non sono tratti consapevolmente dall'atavico dizionario multietnico dell'arte visiva, la gestualità creativa implementa il piacere esplorativo dei sensi nella totale, invadente, curiosità del fare e appaga la naturale inclinazione umana al gioco intuitivo.

Intuizione e gioco sono aspetti caratterizzanti per la crescita intellettiva dell’uomo poiché la formazione acquisita attraverso la libera scelta del e col gioco, stimola la curiosità e induce il giocatore all’esplorazione.

Esplorazione intesa come azione indagatrice di eventi, episodi, scene, materia e concetti; che, isolata dai fenomeni utilitaristici di mercato, penetra l’ovvio, lo scandaglia, ne evapora gli umori, li condensa per riversali nel calderone propositivo dei linguaggi creativi. L’osservazione creativa, incentrata su effimere contaminazioni polimateriche occasionali, dà corpo a poetiche irreali e ingloba in un unico organismo plusvalenze variabili.

L’oggetto contaminato propone e va oltre il detto e visto. Non necessariamente in linea con la divina proporzione o con la dittatura del bello assoluto, è e rimane palestra per la mente che può o no piacere. Urtare sensibilità o offendere assolutismi estetici preconfezionati. Essere accattivante. Plastico. Involuto. Tetro. Drammatico… Comunque appaia agli occhi dell’osservatore, se catalizza l’attenzione, suscita interrogativi e lascia spazio a nuove ipotesi, il gioco ha colto nel segno: è riuscito laddove le teorie hanno provocato black out mentali o devianze concettuali inerenti i linguaggi dell’anima!

Il nuovo fare giocoso, anti/estetico, suggerito dalla commistione di notizie nasce e si alimenta di effetti plastici occasionali e da cromie popolari.

I linguaggi fluttuano nell’aria, sommergono oltre misura le esigenze reali della comunicazione; le commistioni visive multimediali, figurative, segniche, cromatiche, sovvertono ogni ordine e grado: creano l’imprevisto poetico!, d'altronde, chi ha deciso regole e tecniche grammaticali? L’uomo! Allora può decidere di abolirle, migliorarle, o avvalersi dell’area privilegiata dell’informazione temporanea, piagata da infinite combinazioni polimateriche: affiches lacerate su muri scrostati, insegne, graffi, combustioni, macchie, assi, strati levigati, butterati, in piano o sbilenchi. Pubblicità sbiadita, graffiti e manufatti corrotti, tutto ciò che i sensi assorbono diventa lavorio concettuale, sublimato o esasperato dalla sensibilità gestuale e dal ricordo del singolo.

Creatività è sinonimo d’incontro tra fantasia e operosità in assoluta libertà d’analisi; dalla fusione tra estro e scelta cognitiva di tecniche e mezzi espressivi avviene la trasformazione linguistica: l’azione gratuita della rivisitazione giocosa trasforma in valore semantico universale qualsiasi banalizzazione visiva.

Il plusvalore sviluppato dalla rivisitazione dell’oggetto attraverso lo contaminazione oggettiva e la consequenziale riproposizione poetica dello spazio conosciuto e occupato precedentemente dal medium, cresce o diminuisce d’intensità espressiva in sintonia col coefficiente reattivo dell’osservatore.

In sintesi, l’osservatore creativo trasforma le nuvole, le ombre o le macchie; le dilata o le comprime per appagare la sua disposizione mentale: crea animali, piante, cose, e con esse imbastisce storie fantastiche.

mercoledì 8 luglio 2009

LaborArt, spontaneità espressiva e socialità nella gestualità primordiale





Non c’è dubbio che a causa della velocità con cui i mezzi di comunicazione propagano le notizie, i messaggi visivi sviluppano un linguaggio ibrido, caotico, che annulla valenze estetiche, sociali, etiche e sovverte le implicazioni psicologiche di quanti sono investiti dall'onda mediatica.
L’assenza spazio temporale, a cui ci ha abituato l'evoluzione mediatica, ha il potere di livellare le realtà etniche mondiali; contaminare le culture e modificare la naturale evoluzione dei popoli attraverso l’ingerenza culturale del popolo “evoluto”, che, nel tentativo di erudire il resto del mondo coi propri proselitismi danneggia quei “primitivi” costretti alla “scolarizzazione” politica, sociale, religiosa.
È abnorme pensare ad un aborigeno, accovacciato sulle gambe col teschio/amuleto del caro estinto affianco, mentre estrae un pugno di larve da un tronco in decomposizione che, prima di cibarsene, guarda la telecamera e si segna con i simboli cristiani. O, che dialoga col mondo attraverso il palmare. O, peggio, essere assediati da enormi pannelli pubblicitari che costringono alla visione di violenze e sopraffazioni per esaltare e imporre un dato prodotto commerciale.
In simili circostanze è assurdo pretendere valori etici universali. Viviamo in giungle cementificate dall’arrivismo e dall’odio. Chi non possiede ricchezze materiali non esiste. Tutto è lecito! Questo è il messaggio che sovrasta la comunicazione. Spaccia la volgarità iraconda per spettacolo, la crosta per opera d’arte; così facendo, i padroni dell'etere e della carta stampata tarpano le ali di quanti non hanno mai avuto la possibilità di confrontarsi col grande pubblico; cosicchè, la verbosità incontrollata, tende a valutare il dato estetico secondo parametri superficiali; disconoscendo, magari, l'importanza della simbologia magica conferita ai manufatti nelle epoche antecedenti o, quella contemporanea delle realtà non verbali, ingenue, come, appunto, potrebbe essere qualche ipotetico gruppo aborigeno isolato dal frastuono dei mass media oppure di quanti prediligono il segno ingenuo della poetica infantile non contaminata dai saperi eruditi.

mario iannino

martedì 7 luglio 2009

LaborArt: linguaggio gestuale e ricreazione





Malgrado sorgano continue incomprensioni attorno ai linguaggi non verbali, (simbolici, prediscorsivi, ingenui, artistici, non filologici) inseriti in un contesto grafico-linguistico retto da regole lessicali accettate dalla cultura in atto, le incomprensioni verso forme espressive libere, dettate dalla disconoscenza dei valori simbolici, sono superate dalla comprensione istintiva che autonomamente si sintonizza sulle “frequenze tracciate dai caratteri simbolici universali”.
In sintesi: la creatività dettata dalla comunione empirica tra pratica e metodo, parzialmente inconscia, si avvale del sentimento legato all’educazione ed alla socialità della comunicazione diretta che, aggirando la ragione vigile, agisce in profondità ed esercita un’azione evolutiva naturale non contaminata dalla pacchiana arte che assembla falsi primitivi, ipotetici naifs costruiti per il mercato mediatico, spesso, conditi da assurde contaminazioni pseudoartistiche o artigianalità interetniche.
Il gesto espressivo trasla tutto e niente. Può essere gioco, narrazione fine a se stassa; messaggio, richiesta; regalo!, nella sua interezza gratuita dettata dalla spontaneità linguistica affine al gesto stesso: è il corpo che parla; trasferisce movenze, pensieri e non-pensieri. Atti che soddisfano l'attore principale.

mario iannino

venerdì 3 luglio 2009

LaborArt, incontri creativi a Catanzaro





Abbiamo discusso molto sul nome da dare al laboratorio creativo; il ventaglio di idee spaziava da: RicreAzione, con le molteplici implicazioni semantiche, a officina creativa, laboratoriando e cosi via; partendo dal presupposto che il logo dovesse concentrare le attività e gli intenti in maniera sintetica, semplice ed esaustiva ci siamo orientati per : laborArt! Sì, ci è sembrato azzeccato, anche se poco originale, ma questo aspetto è irrilevante: non si deve essere unici a qualsiasi costo, piuttosto, si deve possedere la consapevolezza dei propri limiti, confidare in se stessi e, con l'aiuto degli altri, superarli; quindi, unanimemente abbiamo deciso di chiamare così il nostro luogo d'incontro; lo spazio fisico in cui dare sfogo alla voglia di fare; dialogare, scherzare; ridere, esorcizzare, sfidare, deridere con sberleffi cromatici fobie comuni e inutili sovrastrutture mentali.
Cosa ci aspettiamo? Di sicuro sorrisi. Sorrisi da gente che ha sofferto e che probabilmente soffre ancora. Parole confidenziali, buttate lì a caso; gesti d'incoraggiamento per superare gli ostacoli della quotidianità attraverso il linguaggio poetico della gestualità pittorica.
Nel laborArt la creatività assume valenze multiple ed i manufatti sono la rielaborazione e riqualificazione di materiali comuni: cartoni d'imballaggi; oggetti usa e getta; vecchie bottiglie, ceramiche... e tutto ciò che suscita curiosità, piacere visivo e coinvolgimento psichico.

Mario Iannino

mercoledì 1 luglio 2009

Catanzaro, distrazioni creative: la prima volta



Distrazioni creative: la prima volta

L'espressione grafica esternata attraverso il fare giocoso della traccia cromatica diventa distrazione; atto, gesto, concretizzazione visiva che si realizza nell'attimo stesso in cui nulla si pretende da quanto tracciato. Il risultato finale è di per sé importante già per il fatto stesso di essere lì, impresso sulla superficie; ne occupa lo spazio e lo personalizza.

Il “passatempo” creativo privo di regole, gratifica l'io del giocatore, lo incita a cercare nuovi mezzi espressivi, accostare materia, colore, segni affini alla fabulazione mentale fino a quando decide di smettere perché ha raggiunto ciò che vuole.
Il fare giocoso inventa percorsi dialettici mobili; impronte amorfe; pensieri che si trasformano e interagiscono; linee e colori che assumono forme cromatiche ancestrali.

La “distrazione creativa” astrae dalla quotidianità, sublima o esaspera il sentire, comunque, induce alla quiete interiore: i sensi tendono a isolare, tenere fuori dalla sfera sensibile gli elementi di disturbo per personalizzare lo spazio d'azione.
L'esperienza segnica, vissuta come gioco, rafforza l'autostima in quanto, non dovendo subire esami o giudizi, il “prestigiatore segnico”, combina alchimie al di sopra di ogni aspettativa.
Il laboratorio creativo deve essere vissuto, quindi, come luogo di gioco; isola fantastica in cui godere di ogni piccolo gesto; confrontare e confrontarsi per vincere tutti, insieme!
Mario Iannino

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