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domenica 4 aprile 2021

Anche a 90 anni i figli rimangono tesori da difendere

È un periodo che mi capita spesso di voltare i pensieri e lo sguardo all'indietro. Riguardo al passato non per nostalgia ma per scandirne i tempi. I passaggi epocali vissuti. Le opportunità e le sviste, gli errori. Le cose buone le sfioro appena. Quelle sono consolidate.

Non è quindi il sapore nostalgico del tempo passato di proustiana memoria a farmi ripercorrere alcuni momenti trascorsi anche se i luoghi e gli odori fungono da stimoli.

L'odore della salsedine trasportata dal vento e le nuvole di fumo che scappano su nel cielo sparpagliate schiacciate rimodellate e strapazzate dal vento di maestrale sopra i tetti della marina intrise di farina e pane caldo hanno un nome preciso nella mia testa.

Percorrevo quella strada tutte le mattine. Era una tappa obbligata: pizzelline e panini al burro, queste ultime spesso omaggiate dalla gentile signora del pane seduta dietro al bancone: queste per le bambine. Diceva con un sorriso. Oggi c'è troppo vento meglio se stanno in macchina ma quanto sono belle me le baciate.

Nostalgia? no. È il pensiero dolce che va a posarsi sui rami del tempo e visita i luoghi cari degli affetti.

I figli sono cresciuti. Adulti e genitori a loro volta ma per papà e mamma rimangono sempre tesori da proteggere.

giovedì 24 dicembre 2020

Catanzaro, c'era una volta

Da oggi e i giorni a seguire delle feste natalizie e fine e inizio anno siamo i zona rossa. Dovremmo essere in zona rossa. Dico dovremmo perché non si direbbe. Molti sono in giro per fare acquisti come se le limitazioni non ci fossero. Nei centri di spaccio alimentari la fila c'è. E in uno di questi negozi di generi alimentari incontro un caro amico col quale ricordiamo i tempi passati.

Qualcuno ricorda con nostalgia le grandi riunioni familiari con amici e conoscenti annessi. Le giocate, stretti stretti attorno al tavolo in cucina e nei soggiorni. Lo scatolo della tombola. Le bucce di mandarino per segna numeri. Le carte del mercante in fiera, quelle di scala e le napoletane. L'euforia, le battute e le grida per i premi vinti a tombola, mercante in fiera o nel giro di 7 e ½.

E come non ricordare i personaggi che popolavano le strade cittadine e le rendevano uniche col loro folkloristico fare: “Jèjè, u 'Ndensu, u Ciaciu fino al contemporaneo Ajialà”.

I venditori di ortaggi e prodotti in salamoia tradizionali: “u salatura, i castagni 'mpilati, i crucitti e ficu cu i nuci...”. E il simpatico “Salvatore da Decollatura” col suo carico di patate e cipolle Che non riusciva ad accontentare mai i clienti e tra un intervallo musicale fatto di canzoni e musica contadina e l'altro ripeteva con scherno: “ajiu i cipuddhi e voliti i patati ajiu i patati e voliti i cipuddhji”.




Storie del tempo passato che rimangono vive nei ricordi di chi ancora cammina e popola questa terra tra contraddizioni e volubili coerenze.

giovedì 5 gennaio 2017

Davanti casa di Quirino

Davanti casa di Quirino.



Vi sono altri punti di riferimento chiari come la chiesa, il macellaio e persino il mio vecchio studio eppure la prima cosa che è venuta alla mente è la casa di Quirino. Un appartamento in cooperativa edilizia costruita in economia popolare a tasso agevolato ed a società indivisa.
È uno di quei palazzoni sorti agli inizi degli anni ottanta a sud di Catanzaro in una zona di campagna: un terreno argilloso coltivato a ulivi e ortaggi, destinato, dal piano regolatore cittadino, a zona di edilizia popolare.

Il nuovo quartiere avrebbe dovuto essere la Catanzaro due, nome preso in prestito da qualche politico di allora dalla più conosciuta zona del nord: la Milano due di Berlusconi.

Le cooperative erano costituite per lo più dai vari organismi legati alle realtà consociative sindacali e politiche, nonché da privati cittadini che inseguivano il sogno della casa di proprietà a prezzi accessibili.

Fu qui che scoprì il lato privato del “compagno” Quirino. Prima, un sindacalista conosciuto in cgil, dirigente stimato e in seguito un politico indipendente di sinistra eletto nelle fila del pci per la politica regionale della Calabria.

lunedì 4 luglio 2016

Sanità, quando c'era l'INAM

E funzionava l'assistenza sociale.


La sede centrale dell'inam (l'istituto nazionale assicurazione contro le malattie) è ancora lì, nel centro storico di Catanzaro.
La cassa mutua, come si diceva una volta, erogava servizi sanitari ai cittadini e risolveva i problemi di piccola entità, il più delle volte, nell'immediatezza, subito dopo gli esami di routine fatti nei laboratori annessi e prescritti dai medici.

storica sede INAM, via Acri, Catanzaro


La specialistica in offerta era semplice: otorinolaringoiatria. Quindi orecchio naso e gola. E poi, ostetricia, ginecologia. Andrologia. Oculistica. Ortopedia.
Toglievano anche il gesso e prescrivevano i forni da fare nella stessa struttura di via Acri per accelerare e migliorare la calcificazione delle fratture ossee. Fu lì che m'ingessarono un braccio e feci la prima conoscenza della struttura medica. Ma il dato traumatico non fu questo. Bensì un altro:

domenica 28 febbraio 2016

Quindici anni

Dietro l'Immacolata.


La chiesa dell'Immacolata, legata al culto della Vergine Maria, patrona di Catanzaro, è un luogo caro ai catanzaresi tant'è che la piazza dove sorge il palazzo della prefettura (piazza prefettura, o piazza Rossi, appunto) è più nota come piazza dell'Immacolata.
Catanzaro, via G, Veraldi

Un tempo la vita sociale e culturale della città si condensava lì, in piazza Immacolata. C'era l'ufficio postale, l'istituto Galluppi, il teatro Comunale e il caffè all'aperto di Colacino che chiudeva la piazza con lo storico “stretto” prima di sfociare nel corso Mazzini dove i catanzaresi facevano la passeggiata e curisavano nelle vetrine dei negozi posti ai lati della strada.

Dietro l'Immacolata, leggermente decentrata c'era la piazzetta Serravalle e, proprio dietro le spalle della cattedrale, c'era, il portone del conventino dei frati che reggevano la chiesa.
Sono trascorsi tantissimi anni da quando le mie passeggiate mi portavano a passare da lì in compagnia dei miei amici.

mercoledì 15 ottobre 2014

Parole in cors(i)a

Ciao come va?
Che vuoi che ti dica... se ci s'incontra in un luogo come questo c'è sempre qualcosa che non và per il verso buono. Mia moglie ha un tumore. Sono due anni che lotta, lei da una parte e io dall'altra lottiamo contro un nemico infido e tenace. Almeno morisse, così finirebbe di soffrire. Smetterebbe di soffre lei e noi in famiglia che ormai abbiamo razionalizzato la malattia. No, guarda, quando vivi in prima persona questi drammi rivedi tutti i concetti. Non credi in niente e nessuno perché se tu a farne le spese e nessuno ti aiuta.

… ma tu che stai facendo? Stai continuando a dipingere? Non mollare! Tu hai talento! Io, che vuoi, per me era un passatempo … ho smesso di fare le uova al tegamino...


Così diceva quando dipingeva il sole che calava sul mare o che spargeva gli ultimi bagliori sui boschi della Sila: “sto facendo un uovo fritto”. Diceva; e nel dirlo sorrideva sommessamente.

Adesso, a calare è il suo umore. Le luci della gioventù si sono abbassate da un pezzo. È l'ora del crepuscolo. Un crepuscolo amaro che rende duro il suo cuore e affossa la poesia che un tempo lo induceva a prendere i pennelli e i colori per trasfondere sulla bianca tela l'epilogo di una serena giornata trascorsa sotto il sole mediterraneo.

martedì 27 maggio 2014

Uno sguardo al passato: Dario Scorza e Fedhan Omar, artisti

Se mi volto indietro, il ricordo torna vivo. E le persone che hanno avuto un peso continuano ad essere positivamente presenti:

1978, Catanzaro. Galleria d'arte “il pozzo”.

Gli interrogativi dei visitatori si differenziano di poco: Dove vive? Lei non ha studiato a Catanzaro.

Anche Dario Scorza mi pose le stesse domande. Eppure non era niente di ché. Figure stilizzate affini al mio modo di sentire d'allora che si discostavano dalla solita pittura vista fino a quel momento nei luoghi espositivi catanzaresi.

Ancora non ci conoscevamo e lui, Dario, si presentò dicendo di essere un sociologo amante dell'arte. In seguito, dopo numerose frequentazioni, appresi della sua passione politica (socialista) e dell'impegno assiduo che dirottava coinvolgendo tutti, amici e conoscenti, in operazioni a favore dell'associazionismo senza scopi di lucro.

Dario era un'anima sensibile. Osservatore attento della poetica visiva, non si poneva limiti o recinzioni mentali. Lui andava oltre e nella mostra dell'88 allestita nei locali dell'amministrazione provinciale di Catanzaro insieme al pittore Fedhan Omar lo dimostrò egregiamente.
Non si lasciava andare o catturare dagli sterili quanto inutili contrasti formali che ingabbiavano molti manieristi. Spaziava dalla pittura al decollage. Prendeva spunti da Fedhan Omar in pittura e Mimmo Rotella per i linguaggi metropolitani e andava oltre
La sua libertà intellettuale in arte gli concedeva ampiezze di vedute a 360°. analizzava, per come l'ho conosciuto, dapprima da spettatore e in seguito praticava la comunicazione poetica in pittura avvalendosi di medium poveri ma che gli consentivano piena libertà d'espressione.

Fedhan Omar lo ricordo perennemente pacato. Catanzarese d'adozione. La sua tranquilla meditazione ammantava le superfici delle sue tele, persino le più apparentemente caotiche. Costruiva dialoganti pannelli informali anche laddove spuntava la figura. E poi mi parlò della pittura frattale e del movimento che avrebbe voluto sviluppare. Poi le strade si sono divise. È la vita!

Parlare di loro oggi, ricordarli a quanti li hanno conosciuti e non, non so quanto sia rilevante viste le piaghe quotidiane che abbiamo creato nella società.
Consola, comunque, sapere che le loro opere pittoriche, simili a guardiani sulla soglia del tempo, rimangono a ricordare la loro sobrietà e l'onestà mentale che li ha contraddistinti.

giovedì 3 ottobre 2013

Video, dalla pellicola super 8 al digitale

http://aore12.blogspot.it
Anche se consentivano riprese a colori, le cineprese super 8 degli anni settanta, difettavano, oggi diremmo, di applicazioni basilari come l'audio o il controllo automatico delle immagini e altre impostazioni video di serie in dotazione persino nei menù dei moderni telefonini.

La mia prima cinepresa è stata una Bencini comet 22. una super 8, con la quale, se non si usavano le dovute attenzioni persino nella durata delle batterie, il rischio di perdere tempo pellicola e ricordi era un dato garantito. Lusso da evitare volentieri, visto i costi che aveva una pellicola di 15 metri con sviluppo incluso ma dalla durata miserevole.
Costi a parte, prima di iniziare a filmare per documentare un viaggio o un evento familiare era necessario munirsi di almeno quattro pellicole da assemblare dopo la registrazione e lo sviluppo.

Il cinema neorealista, più che la corrente impressionista, fu maestro per chi, come me, appassionato cineasta in erba, a quei tempi, si cimentava a catturare l'attimo fuggente. Ciononostante, gli errori, alcuni errori, inevitabilmente furono commessi e ne feci tesoro.

Si dice, in gergo dialettale, che la pratica rompe la grammatica. Io ritengo che il fare sorretto dalla teoria spalanca orizzonti imprevedibili e, nella comunicazione per immagini, lo studio associato alle arti applicate permette di raggiungere risultati inimmaginabili.

Oggi la tecnologia si è evoluta ed è entrata nelle case di tutti.
Adesso basta schiacciare un pulsante per registrare videoclip, imprigionare eventi o spaziare nella videoarte.
Il risultato finale dipende dalla sensibilità e dalla cultura di chi sta dietro l'obiettivo.

lunedì 9 maggio 2011

catanzaro, centro e periferia della memoria

aore12

©m.i.

C'è qualcosa di familiare in questo volto. Non so; la linea degli occhi, il naso, la bocca... se non fosse per le sopracciglia, a mio avviso, un po' troppo curate da farlo sembrare quasi una femmina per l’attenzione che ha usato per disegnarsele, potrei dire di vedere mio fratello con qualche decennio in meno.
Che potrà avere 'sto ragazzo; 20, 23 anni non di più.

La funicolare arriva da Catanzaro Sala a Piazza Roma in un batter d'occhio.
Giusto il tempo di costatare la sorprendente somiglianza dello sconosciuto che mi sta davanti con mio fratello.
È un attimo! D’altronde non siamo mica a Milano o Roma dove le metro pullulano di gente di razze diverse. Qui la funicolare, o meglio “a tranbìa” come la chiamiamo noi locali, è un giocattolino in confronto a una metro che si rispetti.
Un tempo “a tranbìa” collegava Catanzaro sala con il rione Ponte grande, periferia opposta, talmente lontana da sembrare un altro mondo specie nell’immaginario infantile, usava una tecnica di trazione semplice ma geniale: i vagoni che salivano erano tirati da un vagone cisterna pieno d’acqua mediante una serie di pulegge che avvolgevano e srotolavano il cavo di trazione, cosicché mentre la cisterna piena d’acqua scendeva a valle, dove si svuotava per risalire leggera, i passeggeri lentamente arrivavano a Piazza Roma e da lì, con tecniche di trazione elettriche, e prima ancora coi cavalli, proseguivano lungo il Corso Mazzini, piazza Matteotti, via Milano, fino ad arrivare nelle campagne della scuola agraria, oggi parco delle biodiversità, e infine a ponte grande. Ora, detto così e paragonandolo ai mezzi moderni sembra niente ma allora, negli anni ’50, era un viaggio degno di nota, non solo per il tempo che s’impiegava ma anche perché chi lo affrontava andava a villeggiare tra i castagni di S. Elia, nella presila catanzarese o, viceversa, per lavorare in città.

Oggi la “tranbìa” è usata da quanti vogliono salire in centro e non avere problemi col parcheggio della macchina; e visto che ce n’è uno ai piedi della stazione di Sala compreso nel prezzo del biglietto, quale migliore occasione specie per chi deve sbrigare una commissione, fare quattro passi o spese nei negozi del centro storico?

Anch’io sono sulle lastre di pietra grigia di piazza Roma incorniciate ai lati da cunette alla francese punteggiate con pietruzze bianche e grigie di varie tonalità. Le pietruzze non sono allineate e livellate col cemento, sono cementate ma irte e formano una sorta di graticola impraticabile dai pedoni. Le pietruzze, una miriade di soldatini sull’attenti, sono il risultato goliardico di un creativo ritornato bambino. Un bambino intento a giocare sulla spiaggia di Catanzaro Lido che per ingannare il tempo sul bagnasciuga allinea il suo esercito di pietre nella sabbia e s’inventa comandante di un grande, magnifico esercito alla conquista delle immensità marine. Me ne accorgo a mie spese dacché le sento penetrare nei piedi.
È da tanto che manco da Catanzaro e nel frattempo molte cose sono cambiate. Alcune sono cambiate in bene altre lasciano spazio alla critica e altre ancora la fomentano.
La funicolare è una di quelle cose buone. Peccato che copre pochissimi chilometri e le periferie sono ancora lontane dal centro storico nonostante le pompose M che nelle città solitamente indicano le stazioni della metropolitana. Qui le M indicano le fermate della vecchia ferrovia calabro-lucana: un residuato storico che cammina su rotaie a scartamento ridotto e che se adeguata alle nuove esigenze potrebbe davvero diventare una vasta rete metropolitana di superficie.

Ma non sono tornato per fare il suggeritore! Lasciamo questo compito agli amministratori e agli urbanisti, perché se ne hanno voglia senz’altro sapranno fare progetti di gran lunga migliori dei miei. Ecco, ad esempio, una cosa che farei volentieri a meno e non vorrei vedere: i dissuasori! Purtroppo, data la diseducazione civica di molti automobilisti che invadono le aree riservate ai pedoni, ai disabili e alle carrozzelle dei bimbi, ci vogliono, devono esserci per forza fino a quando non ci sarà una coscienza civica più emancipata!
L'atteggiamento strafottente dei pirati della strada è simile all'anarchia dei galoppini politici che invadono gli spazi elettorali altrui e insozzano le strade con volantini e santini che lasciano dappertutto, sui tergicristalli delle macchine, nelle buche delle lettere. Sono dei facinorosi prevaricatori che non gliene frega un cazzo degli altri, anche se a parole dicono il contrario. Sì, decisamente ci vorrebbe una rieducazione. Una sorta di lavaggio cerebrale catartico, che riporti i neuroni allo stato embrionale così da poterli curare con idee e propositi consoni. Insomma, si dovrebbe ripartire da zero.


giovedì 14 ottobre 2010

l'arcobaleno, il patto con Dio e l'amore della mamma

aore12
L'acquazzone ci colse di sorpresa. Non eravamo equipaggiati e per ripararci dalla pioggia entrammo nel casolare di campagna abbastanza fradici da dover mettere i panni ad asciugare al fuoco del camino. Mia madre, mentre mi tamponava con l'asciugamano, mi raccontò del diluvio universale; di come Dio volle punire Babilonia, capitale del peccato e degli eccessi goduriosi degli abitanti; del patto di Dio, dispiaciuto per l'estrema punizione inflitta agli empi, e dell'arcobaleno che incanta sempre, grandi e piccini, e suggella la promessa tra il Divino Creatore e l'uomo,  e cioè che non avrebbe mai più punito i malvagi con cataclismi universali perché avrebbe colpito anche gl'innocenti. ... i bambini sono la salvezza del mondo! mi disse stringendomi a sé.

giovedì 24 giugno 2010

omaggio a Enzo Toraldo, pittore catanzarese

Enzo Toraldo l’ho conosciuto negli anni settanta ma abbiamo preso a frequentarci e scambiare opinioni

artistiche verso la fine degli anni settanta, primissimi anni ottanta.

Lui era schivo taciturno con chi non conosceva, ma una volta presa confidenza dimostrava un sarcasmo non indifferente. Era simpatico, nonostante le battutacce sfottenti nei confronti degli altri amici pittori. E la sua simpatia metteva in ombra volgarità e invidie.

Il suo studio era situato dietro il vescovado in una costruzione vecchiotta ma in buono stato. Due stanze un corridoio e bagno si aprivano agli amici e ai visitatori. Lo stereo, perennemente acceso, diffondeva esclusivamente canzoni di Julio Iglesias: cantante pop romantico ed ex calciatore spagnolo, dall’aria triste come Enzo, d'altronde!

Un giorno io e mia moglie capitammo dalle sue parti e, approfittando della opportunità, salimmo a fargli visita. Enzo aprì dopo qualche minuto e lo trovammo intento a sorseggiare un whisky; aveva poco da fare e poiché da qualche tempo le aveva promesso un ritratto, la fece mettere in posa e iniziò a dare pennellate su una tela 50x70.

Bastarono poche pennellate per cogliere la sensazione voluta ma per come aveva combinate le mani e la faccia sembrava che avesse dipinto da giorni: sigaretta, straccio e whisky a portata di mano, e di tanto in tanto si tirava l’orecchio (era un suo modo per esorcizzare il malocchio). Enzo non amava dipingere con persone che gli stavano affianco o dietro il cavalletto. Piccole manie!

All’inizio dell’86, io aprii lo studio ai ragazzi in un quartiere a sud di Catanzaro e lui mi fece gli auguri a modo suo, per telefono mi disse con voce nasale: se professò auguri ma ricordati che a Catanzaro c’è un solo primario e quello sono io!
Detta così, per chi non l’ha conosciuto, può sembrare offensiva ma io mi sono messo a ridere di cuore.
Ci siamo incrociati velocemente anni fa sul corso cittadino, lui, più schivo del solito, mi salutò pacatamente e andò via subito. Aveva perso il solito umorismo, malato da tempo, dopo qualche mese si spense.

mario iannino

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