venerdì 28 gennaio 2011

Laboratori creativi, fucine culturali per il sociale

©arch.M.Iannino
Progetti bocciati in Calabria o accolti svogliatamente dagli enti locali, dalla politica in generale e da un certo ceto sociale, decollano a Milano dimostrandone la validità! e mentre scorrono le immagini, nell'auspicare una medesima evoluzione mentale anche da noi, mi assale un po' di amarezza e, rasentando la sfiducia, una sorta di stanchezza accumulata negli anni mi fa sussurrare:

Perché a Milano sì e qui da noi non funziona? l'interrogativo accompagna spontaneo le immagini della rubrica costume e società del tg2:

©archivio M.Iannino
Bambini che giocano col colore; persone adulte che dipingono, scambiano concetti; sorseggiano un the o un caffè mentre i figli impastano colori con le mani e osservano le trasformazioni cromatiche che appaiono, come per magia, sotto i loro occhi. eppure, sono le stesse cose che vado divulgando e proponendo da oltre trent’anni! per ultimo nella parrocchia di Squillace lido e lì c’è stato un ottimo riscontro di adesioni. Mamme e bimbi, entrambi entusiasti, frequentavano e vivevano con gioia gli incontri ri/creativi.
©archivio M.Iannino
Il laboratorio ha funzionato, eppure, non si capisce perché, in Calabria le idee costruttive, sane, che aiutano nella crescita, nell’aggregazione, non decollano mai! Ripeto, sono trent’anni e sempre c’è stato entusiasmo e volontà, da parte mia e di quanti hanno avuto l’opportunità di esserci, aprirsi al confronto, e quindi fare proseguire gli appuntamenti ludici creativi, che, purtroppo, sono naufragati miseramente di fronte banali questioni economiche.
©arch.M.Iannino
Sarebbe riduttivo addebitare alla crisi economica attuale il fallimento giacché, ripeto, è dai primi anni ottanta che dedico energie e tempo a progetti analoghi.
Purtroppo, da noi, vige una sorta di ostilità repressa, non esternata ma attuata nei confronti di chi è disposto a mettere in gioco capacità individuali e collettive gratuite. Una sorta di sadismo sociale che spinge a buttare fango anche sulle azioni nobili degli uomini pur di non vedere decollare progetti educativi elementari. Progetti culturali nati dalla passione per il sociale e dalla volontà di confrontarsi, mettersi in gioco. Azioni, queste, concrete, importanti per la società, specie se attuate da privati cittadini non necessariamente identificati in una cordata di potere politico, religioso, economico.
Che sia questo a spingere la gente seria di Calabria ad andare via o rintanarsi in torri d'avorio?, vale a dire ammettere amaramente che ci sia ben poco da fare, ammettere le sconfitte e lasciare spazio ai merciai della parola “fumosa”, cedere alla mediocrità imperante che lentamente attanaglia e contamina terra e cultura?
Non sia mai detto!

mercoledì 26 gennaio 2011

il silenzio dei vivi al Politeama di Catanzaro

27 gennaio 2011, il Silenzio dei vivi in scena al Politeama di Catanzaro

Ho ricevuto un invito: ragazzi che conosco fin da quando erano bambini e che ho visto crescere si sono dati al teatro; hanno studiato diligentemente e ora sono riusciti a costituire un gruppo e lavorare insieme nonostante le difficoltà oggettive in cui versa lo spettacolo e la cultura in generale.
L’invito, dicevo, informa della messa in scena di un’opera teatrale tratta da un libro autobiografico di una signora ebrea che ha conosciuto le sofferenze della deportazione: Elisa Springer.
Secondo una nota della regia che ha rivisitato i testi "L'opera racconta con sentimento e trasporto, ma anche con un velo di ironia e comicità, l'oscura pagina della Shoah, dello sterminio degli ebrei, degli zingari, dei Testimoni di Geova, degli omosessuali e di altre minoranze durante la Seconda Guerra mondiale ad opera dei nazisti. 'Il silenzio dei vivi' racconta di milioni di uomini, donne e bambini senza distinzione di razza, sesso, religione o appartenenza politica, che sono passati per il 'camino' dei forni crematori. Uno spettacolo intenso che pratica non il rito del ricordo ma il culto della memoria. Lo spettacolo si snoda sotto la guida di un parodico Hitler e intende apportare un contributo originale alla memoria, sempre meno coltivata, di quanti perirono a causa di un folle progetto, al ricordo di una pagina di storia che sempre più si tramanda solo e soltanto mediante la manualistica scolastica sterile.
La regia è di Giovanni Carpanzano; musiche originali di Rosario Raffaele; coreografie di Francesco Piro, Paolo Orsini e Rosella Villani.
Tra gl’interpreti Paola Tarantino, catanzarese, che ha studiato a Roma, laureata in letteratura e filosofia con indirizzo spettacolo, diplomata alla scuola di teatro “circo a vapore di Roma”.

Ma torniamo al libro ispiratore e alla sua autrice per capire appieno e ricordare il clima di quei tristi anni di guerra e oppressione.
Elisa Springer aveva 26 anni quando venne deportata, nell'agosto del 1944 ad Auschwitz e ha scritto "Il silenzio dei vivi" ad oltre cinquant'anni di distanza da quel tragico momento storico.
Figlia di una ricca famiglia viennese, Elisa Springer ha perso nello sterminio i genitori e la quasi totalità dei parenti. Scappata in Italia nel 1940 per sfuggire alle persecuzioni in Austria, è stata arrestata nel giugno del 1944 a Milano e da lì deportata ad Auschwitz-Birkenau in agosto. In seguito è stata rinchiusa anche nei campi di Bergen-Belsen e Theresienstadt. Dopo la liberazione è tornata a vivere nel nostro paese, a Manduria, in provincia di Taranto.
Ecco, attraverso le sue parole il ricordo di quei momenti drammatici e le considerazioni seguenti in un vissuto apparentemente tranquillo e normale nell’Italia liberata:
"Mi ricordo molto bene di Bolzano. Quando sono tornata dal lager, nell'estate del '45, siamo passati per la stazione. C'erano decine di bambini che ci gettavano le mele. E' stata una cosa bellissima".
ciononostante, all’inizio nessuno voleva ascoltare. Il mio silenzio è stato causato dal silenzio degli altri. Questo è il motivo per cui tantissimi sopravvissuti ancora oggi non parlano.
Il titolo del libro, "Il silenzio dei vivi", ha dunque un duplice significato. Nei vivi sono compresi un po' tutti: noi sopravvissuti, ma anche tutti gli altri che hanno taciuto o non hanno voluto sapere.
Oggi finalmente si può affrontare pubblicamente il tema dello sterminio. Quando ho visto il Papa andare ad Auschwitz e che sui giornali e in televisione l'argomento veniva trattato con sempre maggiore attenzione, mi sono convinta che era arrivato il momento di raccontare la mia storia. Per
anni, noi sopravvissuti, le vittime, ci siamo quasi vergognati di essere scampati al lager.
Dopo la guerra ho insegnato inglese e tedesco in provincia di Taranto. Una volta un alunno mi ha
chiesto cosa fosse quel numero che avevo tatuato sull'avambraccio. Ho tentato di spiegarlo, ma i ragazzi si sono messi a ridere. Mi sono vergognata. E' stata una pugnalata al cuore. Allora ci ho messo sopra un cerotto: non volevo più essere derisa. Un cerotto che ho tenuto per molto tempo.

Oggi vedo un cambiamento: se ne parla molto di più, specialmente a scuola. Anche se, come ho detto, si paga ancora il silenzio delle generazioni precedenti. Un anno fa sono andata in un liceo di Vienna. I ragazzi erano molto attenti, curiosi. A un certo punto ho raccontato un particolare che
non compare nel libro, e cioè che nel campo di Bergen-Belsen ero nella stessa baracca di Anna Frank. Uno dei ragazzi si è alzato e mi ha chiesto "chi è Anna Frank?", non la conoscevano! Una cosa gravissima. Molti di questi giovani hanno avuto i nonni che hanno fatto la guerra, che hanno votato per l'annessione alla Germania. Questa ignoranza deriva proprio dal fatto che i loro padri e i loro nonni - non dico solo per malafede, ma forse anche perché se ne vergognano - hanno fatto diventare il passato nazista e lo sterminio dei temi tabù. Tanto da tenere nascosto uno dei classici sul lager e all'indomani del successo elettorale di Haider mi sono sentita male. Ero molto agitata. Purtroppo sembra che la gente si sia dimenticata completamente di quanto è accaduto. Probabilmente nel voto c'è anche una rivolta contro gli immigrati. E la cosa non mi fa certo stare tranquilla. Dopo Auschwitz non si può condurre una vita normale. Ci si fa l'abitudine. Ci pensi sempre, con dolore. Chiudi gli occhi ed è là. Ma ci si abitua a vivere col dolore. Oggi mi sento alleggerita, grazie agli incontri che sto facendo da due anni per presentare il libro. Quando
Parlo sento che la gente mi capisce e, a volte, mi sento felice.

Non ce l'ho con i tedeschi. Per me l'umanità è tutta uguale. Siamo tutti figli di uno stesso dio. Bisogna solo saper distinguere i buoni dai malvagi. Molti sopravvissuti non riescono nemmeno a pronunciare la parola "Germania". Io no, perché allora non bisognerebbe rifiutare soltanto la Germania, ma anche l'Austria. Non dimentichiamoci che nel '38, oltre il 90% della popolazione ha votato l'Anschluss. Anche l'Italia ha fatto la sua parte. Io sono stata arrestata a Milano su denuncia di un'italiana. Per non parlare, poi, del collaborazionismo in Ungheria, Polonia, Francia. Non si può
prendersela solo con la Germania.
Auschwitz? Non si può descrivere con un'immagine. Auschwitz significava vivere continuamente nel terrore, con la paura di non sapere se fra 5 minuti sarai ancora in vita. Bastava sentire il fischietto del campo che significava "tutti fuori, selezione", e non sapevi che sorte ti toccava. Auschwitz significava dover scavalcare continuamente mucchi di cadaveri, compagne che morivano di sfinimento e da sole, svegliarti alla mattina accanto a un cadavere. Si diventava quasi indifferenti alla morte: io mangiavo il mio pezzo di pane mentre vedevo caricare su un carrello pile di corpi. Auschwitz significava essere una persona morta, vivere come un automa finché era possibile. E vivere solo di ricordi. Pensavi solo al passato.
Recentemente ho rivisto il viso di Joseph Mengele in alcune foto. Non reggo quello sguardo, non lo posso guardare. Non sopporto quella faccia. Lo vedo sempre davanti a me, con gli occhi fissi su di noi. Noi non lo potevamo guardare, dovevamo tenere sempre lo sguardo verso il basso o al di sopra della sua testa. Con un cenno del pollice ti dava la vita o la morte. Appena arrivati ti mandava al gas o in campo, e poi faceva le selezioni ogni 15 giorni. Bastava un foruncolo o una piaga per finire nel camino. Una volta mi hanno bruciato con un ferro rovente su una coscia perché avevo sorretto una
compagna durante un lungo appello. Mi hanno chiamata fuori dalla fila e mi hanno punita davanti a tutte. Ho scampato il gas solo perché, quando la ferita era ancora aperta, non ci sono state selezioni.
Ad Auschwitz abbiamo subito degli esperimenti medici senza saperlo. In lager abbiamo perduto tutte il ciclo mestruale con gravi conseguenze. Quando sono tornata sono stata ricoverata oltre un mese a Milano. Pensavo che non sarei mai stata in grado di mettere al mondo un figlio.

Dopo 50 anni sono tornata a Birkenau. Non è cambiato niente, è come se entrassi a casa mia.
Conosco ogni angolo, ogni pezzetto". Insomma non c'era niente di nuovo, perché io vivo con quella visione. L'unica cosa che mi ha colpito un po' è stato l'arrivo a Birkenaun, sulla rampa dove veniva effettuata la prima selezione, vedere quei binari, quel portone grande... Mi sono
ricordata quando sono passata là sotto, il 6 agosto 1944. E' stato un attimo. Siamo arrivati alle 3 di notte. Abbiamo visto tutto questo filo spinato. Il lager era illuminato a giorno. Non sapevamo cosa ci aspettava, ci illudevano che saremmo andati in un campo di lavoro. Vedevamo le fiamme uscire dal camino, e sentivamo la puzza, ma pensavamo che fossero i vestiti che venivano bruciati. Pensavamo tutto tranne che fossero esseri umani.
Cercavo di ricordare i momenti sereni, prima dell'Anschluss. Pensavo ai miei genitori. Alla mia vita a Vienna. Ho avuto sempre la volontà e lo spirito della sopravvivenza. Non volevo morire e non mi sono lasciata morire. Mi sono sempre detta "un giorno finirà". Ed è stata la mia fortuna. Poi mi ha aiutato anche il fatto che parlavo perfettamente il tedesco. Dovevi ubbidire immediatamente ai comandi, e chi non capiva veniva preso a frustate: per un corpo già debole significava morire.
Per sopravvivere ognuno cercava di formarsi un piccolo gruppetto. Io avevo una mia amica, Edith Epstein, una viennese con cui ho fatto tutta la prigionia. E ci siamo date fare insieme per sopravvivere. Ma non tutte erano così. Una notte ho visto una madre rubare il pane alla figlia da sotto la testa. Gridavano, litigavano, poi la ragazza è stata uccisa. Molte si azzuffavano per il cibo
o per il posto per dormire.
Levi ha scritto: c'è Auschwitz, dunque non c'è Dio.
Io la penso diversamente. Non è stato dio a mettere l'uomo in ginocchio, ma il contrario. Dio esiste, dio c'è e non ha voluto tutto questo. E' sempre l'uomo il colpevole. Ho pregato dio. Gli ho sempre chiesto di aiutarmi. Molti, in lager, hanno perso la fede. Ma se io non l'avessi avuta, non so se ne sarei uscita viva. Quando mi sentivo abbandonata dialogavo con dio, è così che così sono riuscita a superare i momenti più duri.

le attività del Cavaliere

lussuria, povertà intellettuale, ambiguità politica


Il casino Ruby e le attività extrapolitiche del cavaliere infiammano le pagine dei giornali e forniscono legna da ardere per la fornace satirica dei comici di tutto il mondo. La spazzatura mediatica si assomma alla già tanto vituperata idea degli italiani all’estero che, in tono di disprezzo, sono apostrofati “pizza”. Sì, pare che l’estero, per quanto riguarda l’opinione pubblica fatta di pettegolezzi e mediocrità intellettuale, ci veda come il paese della pizza, del mandolino e della mafia. Inutile tentare di fare piaggeria del tipo “ma il popolo è intelligente e non si lascia imbrogliare dalle parole” perché i fatti danno ragione a quanti sostengono che l’esempio dei padri educa i figli. È deprimente assistere alla turpitudine mediatica, all’assurdità delle difese a oltranza fuori dagli uffici preposti.
È vero! Il povero cristo che non ha i mezzi per difendersi e farsi assistere da stuoli di luminari della “giustizia” è incriminato anche se ruba per mangiare o dare da mangiare alla famiglia, mentre chi ha le spalle coperte può permettersi la qualunque , tanto per rimanere in tema.
Sì, ci vuole una revisione dei meccanismi giudicanti, è necessaria una nuova legge che snellisca i processi ma è altrettanto impellente che la politica italiana, vescovi e vaticano compresi, si diano una mossa e dicano chiaramente con parole chiare che non lascino la possibilità di molteplici interpretazioni alla politica chiacchierona che volge a proprio uso e consumo parole e fatti.
Il problema attuale degli italiani non è Ruby se ruba i cuori ma chi ruba la purezza, il merito dei giovani, chi regala, vende o compra lauree e titoli. Chi antepone l’aspetto fisico alla genialità o molto più semplicemente allo studio serio di quanti credono nel merito e non nei favoritismi.
Il mondo reale non è fatto di veline e festini. È fatto di operai, contadini, muratori e impiegati che non sanno come sbarcare il lunario e dopo una faticosissima giornata pensano solo di poter riposare in pace e non avere il problema della spesa alimentare del giorno dopo.
Questo è lo stato d’animo reale del paese! Questo è quanto si ravvisa oggi.

martedì 25 gennaio 2011

spazio Artisti in Calabria, Rotella, Marziano, Toraldo, Celi, Mamone

aore12
Giovanni Marziano, olio su tela, (1978)
Massimiliano
Rivoluzione industriale, rivoluzione culturale, anni di plastica, società dell’usa e getta. Sono termini coniati per definire i vari fermenti sociali e culturali esplosi nei mitici anni sessanta.

Anni importanti per la crescita culturale mondiale.

In America come in Europa si vive un clima effervescente, si passa dalla fase preistorica industriale del ferro all'impiego dei derivati del petrolio, alla plastica; e grazie alla ricerca, in poco tempo, gli utensili di nuova generazione invadono i mercati, le case e infine le strade; ed è proprio dalle strade che inizia la trasformazione dell’oggetto.

Da oggetto alienato che ha concluso la sua funzione vitale, diventa, per mano dell’artista, un’altra cosa.
Diventa linguaggio; testimonianza di un’epoca.

È l’evoluzione del pensiero duchampiano; il ready made; l’oggetto ritrovato che sviscerato dalla sua funzione originale si fa linguaggio altro.
La provocazione di Duchamp contamina il fotografo e artista Man Ray e il resto della cultura visiva degli anni 60.
Anche Andrew Warhola, meglio conosciuto come Andy Warhol si lascia contaminare dai fermenti innovativi di quegli anni e sfrutta al massimo le potenzialità pubblicitarie. Infatti riprodusse, anzi fece riprodurre gli oggetti fotografati o disegnati in serie, e li immise sul mercato dell’arte.

Le serigrafie di Warhol sono diventate un cult. Per alcuni sono opere d’arte degne di nota mentre per altri no! Comunque si voglia intendere, è da convenire che Andy Warhol ha avuto quell’attimo d’illuminazione Zen, come diceva Mimmo Rotella, che lo ha spinto oltre il comune senso della visione settoriale parcellizzata.
Insomma, Warhol si trova nella condizione storica di poter proporre multipli a basso costo e a chiunque.
D'altronde è da sciocchi stare a lisciare la tela per giorni quando basta un clic ben azzeccato; l’importante è l’idea; il linguaggio poetico che l’artista evoca col suo gesto e trasmette. Anche la pittura, intesa come lavoro artigiano è preistoria! Perché non avvalersi delle nuove tecnologie?
 Indubbiamente, il bel dipinto rimane l’unico mezzo per dimostrare valenza pittorica, ma nulla di più!, se non vi è dentro l’anima di chi lo ha realizzato!

Anche Mimmo Rotella, coi suoi decollage, è stato bistrattato e offeso. I detrattori non hanno capito la genialità dei linguaggi metropolitani. Cosa che invece Mimmo Rotella ha saputo raccogliere e donare all’arte.

Gli anni sessanta sono stati anni importanti per la crescita culturale e sociale; hanno dato spunti a scienziati, tecnici, industrie, lavoratori, artigiani e artisti in generale.
Le innovazioni, contaminando i percorsi di pensiero, determinano nuovi lemmi nei linguaggi creativi; da ciò si evince la consequenziale fioritura formale dei lessici figurali ed è altrettanto ovvio che chiunque li adoperi ne tragga beneficio; per cui, anche la figurazione intesa in senso strettamente tradizionale trova possibilità esplicative differenti. Viene da sé che il pittore della domenica non rimane tale in eterno e neanche il neofita; se ama davvero l’arte e la reputa volano di crescita collettiva si spinge al di là del fattore puramente formale pittorico, approfondisce studi e ricerche per migliorare pensiero e linguaggio.

Negli anni 70 sono visibili i risultati dei fermenti esplosi nel decennio precedente.

Consumismo e pubblicità la fanno da padroni. Inutile elencare gli artisti che a vario titolo hanno adoperato materiali pubblicitari per esprimersi e smuovere le coscienze. Molti di questi prodotti ora si trovano nei musei o fanno bella mostra nelle esposizioni private, altri li hanno staccati dalla parete e riposti in cantina.

Anche se, i linguaggi innovativi, in certi casi, hanno creato nuovi geni o mostri giacché Sacro e Profano è stato mescolato per tesaurizzare anche i prodotti effimeri, è indubbia la valenza semantica apportata dall'osservazione creativa dei Maestri.

Gli anni settanta sono importanti per chiunque, anche per me!
Sono gli anni della frequentazione culturale e artistica; gli anni dell’impegno sociale anche attraverso la pittura. Incontri e scontri dialettici con gli amici pittori e poeti che sfociano nella costituzione di un centro culturale nel ’77.
Alcuni di quegli amici non ci sono più, altri continuano nel lavoro artistico. La loro presenza, comunque, rimane viva.

Ho già parlato, in post precedenti, di Enzo Toraldo, Aniceto Mamone, Pino Celi. Adesso aggiungo Giovanni Marziano.

Di Giovanni Marziano c’è in casa una presenza costante: la tela col ragazzo in maschera realizzato nel suo vecchio studio di via arcivescovado, nel centro storico di Catanzaro.
Ricordo Giovanni in uno dei rari momenti di pausa. Si discuteva di tutto e si scherzava. Gli chiesi un dipinto. Lui mise una tela sul cavalletto, fece sedere Massimiliano, mio figlio, e iniziò a lavorare. Dopo qualche ora mi diede la tela e mi disse: ecco è Massimiliano tra qualche anno.

In effetti il ragazzo raffigurato aveva qualche anno anagrafico in più; ma lui, Giovanni, da artista attento, seppe ravvisare i tratti che col tempo si sarebbero, e si sono, palesati in un Massimiliano grandicello.

Ovviamente nessuno è rimasto ancorato all'esperienza iniziale. Io faccio ricerca e studio i linguaggi visivi e tutto ciò che stimola la creatività attraverso il gioco. Giovanni ha sempre voluto cimentarsi nella figurazione e oggi produce un linguaggio che ha radici profonde, che per certi aspetti può trovare assonanze nella poetica di Warhol e ben oltre; una figurazione precisa, reale più della realtà stessa, che potrebbe essere, a mio avviso erroneamente, inserita nel filone dell'iperrealismo, perché non credo che questa sia la giusta collocazione, anzi risulterebbe riduttivo giacché nasce e si sviluppa attraverso i nuovi media asserviti, però, alla creatività soggettivizzata di Giovanni Marziano. Insomma, siamo agli sviluppi estremi di teorie e pratiche di artisti come Man Rey, che rivisitati concettualmente oltre che tecnicamente assurgono a "concetti visivi" unici e vanno a coprire quella parte di figurazione narrante, ancora cara nella finzione visiva, e ricercata dai più.

lunedì 24 gennaio 2011

nasce la fondazione calabresi nel mondo

L’Ansa, oggi lancia una notizia che sembra positiva e forse lo è per rilanciare il buon nome della Calabria e valorizzare i calabresi nel mondo.

D’acchito, ciò che lascia perplessi sono le incessanti nascite di associazioni e fondazioni costituite a vario titolo dentro e fuori i confini regionali ai cui vertici sono, solitamente, designate persone note della politica e dell’editoria, dell’industria e del mondo del lavoro ma che fino ad oggi ben poco hanno fatto per il rilancio d’immagine della nostra regione.

Nel porgere i migliori auguri di buon lavoro alla nascente fondazione, auspichiamo che l’incontro di oggi a palazzo Alemanni tra il presidente Scopelliti e i membri della fondazione sia foriero di nuovi corsi di pensiero positivo mirato a riscattare i calabresi.


Così la notizia:
''Quello che presentiamo oggi è uno strumento che avrà un ruolo di primo piano nella valorizzazione del rapporto tra la Calabria e i tanti calabresi che vivono e operano fuori dai confini della regione''. L’ha detto il presidente della Regione Calabria, Giuseppe Scopelliti presentando a Catanzaro la Fondazione Calabresi nel mondo.

La Fondazione è presieduta dall'on. Pino Galati. Il CDA è composto da: Pippo Marra, direttore e presidente AdnKronos, dall'imprenditrice Pina Amarelli, Beniamino Quintieri ex presidente dell'Ice e Francesco Zoccali, direttore generale dipartimento presidenza della regione.

conoscere la Calabria


©archivio M:Iannino
il terzo guerriero (bozzetto)
Mettiamoci comodi. Immaginiamo di essere seduti davanti al camino, d'inverno. Fuori il buio avvolge la campagna, gli alti e robusti castagni sonnecchiano sfiorati dal vento fresco. Il pastore, vigile, con l'orecchio teso, pronto a prevenire l'assalto del lupo e scacciarlo con colpi caricati a sale, osserva il cielo stellato. pensa al lavoro impellente, alla mungitura e alla lavorazione del latte; al luogo dove portare la mandria al pascolo, mentre la moglie prega e rivolge la mente a Dio e ai suoi servi che ha voluto mandare nei luoghi sperduti della Calabria per alleviare ferite ataviche.

Come quando si è piccoli, con parole semplici ma cariche di affetto, raccontiamo episodi di cultura contadina, misticismo, folklore, cultura contemporanea, paesi.

Parliamo di persone che sono rimaste in Calabria, per scelta o necessità, comunque, convinte che serva l'improcrastinabile impegno di ciascuno di noi per risolvere problemi atavici legati alla durezza dei luoghi.

Parliamo  di noi calabresi e no, del rapporto col resto del mondo se vogliamo davvero contribuire alla crescita e contrastare quanti vogliono affossare la nostra bella terra sfruttando il giogo dell'ignoranza amplificato dai "sentito dire" arricchendo i loro discorsi con la delazione e i luoghi comuni, bandendo, però, piagnucolii e autocommiserazioni, per porgere e evidenziare con determinazione le positività presenti sul territorio regionale.

Parliamo, insomma, di quanto accade d'avanti a noi. Osserviamo i fatti a ore 12 e li esponiamo con estrema onestà intellettuale per testimoniare quanto di buono è stato fatto e pungolare per quanto ancora si può fare.

Parliamo di:
©archivio M.Iannino
"tempi" mario iannino
Cucina mediterranea e sapori di Calabria.  
Calabria mistica ,attraverso l'esempio di Natuzza Evolo e fratel Cosimo Fragomeni.
conosciamo Percorsi culturali, luoghi, paesi e artisti.
nonché Costumi e società. dalla Magna Graecia ai bretti, fino ai giorni nostri.

se questi sono uomini...

È ormai risaputo: l’Italia detiene il primato della classe politica più ballerina che possa esserci al mondo. E se negli altri stati basta una gaffe o una semplice scappatella per dimettersi da poltrone di potere qui da noi è l’opposto. Più punti si raccolgono con azioni riprovevoli e maggiore è la stabilità governativa.
Nulla di nuovo, quindi!
La cosa strana è che pare si siano stracciati alcuni articoli fondamentali della Carta Costituzionale e ancora si assiste ai balletti di palazzo: si deve dimettere, ha calpestato l’art. 54; no dimetti tu! No no lui no! È il più amato dagli italiani. Il popolo lo vuole, lo dicono i sondaggi! Nel transatlantico di pasoliniana memoria i balletti continuano a suon di valzer, appassionati tanghi e sberleffi che entrano dalle finestre semichiuse mentre l’ultima scialuppa di salvataggio affonda tra i mari tumultuosi delle disparità sociali col beneplacito delle opposizioni che per mascherare l’inettitudine fanno finta di litigare o impedire flebilmente il perpetrarsi dell’agonia berlusconiana.

domenica 23 gennaio 2011

Questione morale, da Stefania Craxi a Totò Cuffaro

È davvero deprimente una politica così! Sviluppata e asservita per magnificare gli uomini di potere. Quegli uomini o donne che avrebbero dovuto curare gli interessi della collettività ma hanno ritenuto opportuno curare i propri interessi piegando ai propri voleri o a quello dei partiti la dialettica politica in atto nelle democrazie.
Noi cittadini assistiamo a molteplici gesti di arroganza eseguiti da chi dovrebbe lavorare per migliorare i rapporti e la cultura dei cittadini e delle istituzioni.

A parte la bagarre politica incentrata tutta sui poteri del premier e della sua impunibilità per procedimenti che non hanno niente a che vedere col suo mandato ma che sono legati a espedienti di basso livello e che non voglio neanche accennare giacché riempiono le pagine di tutti i giornali nazionali e stranieri e fanno perdere la faccia a tutti gli italiani, l’ultima imposizione forzata da parte di una rappresentante della Repubblica Italiana consiste nella cerimonia della piazza di Lissone al padre defunto: Bettino Craxi.

C’è da chiedersi: a chi serve imporre o dedicare il nome di una strada a una persona che non raccoglie i consensi degli abitanti della zona e del paese?
Cittadini che hanno subito ribattezzato la piazza in onore di Sandro Pertini, indimenticabile uomo politico del partito socialista italiano, partigiano e Presidente degli italiani..

Non si meraviglino, questi signori se i cittadini si allontanano dalla politica e ritengono di non dovere concedere loro fiducia!

Altro avvenimento toccante, di tutt’altra natura, è risultato l’episodio odierno dell’ex governatore della Sicilia Cuffaro; il quale, sentita la condanna dei giudici si è consegnato nelle mani della giustizia dopo avere atteso, raccolto in preghiera insieme alla famiglia, il verdetto, confidando e affidandosi alla Madonna senza inveire contro i giudici o la magistratura ma dichiarandosi fiducioso.

sabato 22 gennaio 2011

la modestia dei grandi, qualità in disuso

©mario iannino
m.iannino, 2010; sottovuoto

Troppi artisti in giro ma l’arte dov’è?


Mi riprometto sempre di non dare peso a certe decorazioni dozzinali, definite con facilità da altri, arte, e trattare certa decorazione come puro hobby, d’altronde ho sempre asserito che l’attività creativa è principalmente una condizione ludica e, contemporaneamente, intellettuale; che rivisita il vissuto individuale e collettivo; ma sembra che tutto cospiri contro la mia volontà. Da ogni dove la mediocrità intellettuale salta il fosso della ragione critica: pittori della domenica, studenti liceali o dell’accademia, piuttosto che trovare gioia e sollievo dall’attività ludica, si sentono artisti consacrati non appena giocano con la figurazione, il gesto, i colori. Gente, questa che presta il fianco agli avventurieri del web ma anche ai vecchi mercanti della sottocultura iconica. Insomma cadono nella rete di un mondo mercantile pieno di persone disinvolte che definiscono con estrema facilità arte un bel dipinto lisciato, un bimbo con le guanciotte rosa e la lacrimona, la donnina stilizzata, le chiazze di colore che ricordano vagamente Mondrian o l’astrattismo in generale purché ricavino qualcosa.

Sia ben chiaro: non c’è nessuna intenzione di denigrare o demotivare chi si diletta in pittura, attività consigliabile a chiunque voglia ritrovare se stesso e intende conoscere i linguaggi dell’anima di tutti i tempi, anzi, tutt’altro! L’analisi vuole evidenziare che c’è una diffusione disordinata di quadretti decorativi immessi sul mercato con costi esorbitanti e c’è un altrettanto mercimonio esponenziale di pseudo artisti che cavalcano la disinformazione con l'aiuto di furbi mercanti per cavare sangue dalle rape e inventano percorsi culturali ad hoc anche per i neofiti in preda alla smania di comparire e essere presenti anche laddove necessita una sensibilità superiore. Sensibilità in antitesi alla cultura dominante contemporanea che aiuta a crescere; proporre e indirizzare quanti hanno lavorato, se hanno lavorato e osservato, sondato ogni aspetto semantico dei linguaggi dell'arte visiva, così da offrirli a coloro che ancora non hanno capito il vero senso e ruolo dell’Arte nella società.

venerdì 21 gennaio 2011

pregiudizi e ignoranza alla base dell'odio razziale o ideologico


Pregiudizi


Nell’immaginario collettivo e nel privato, l’idea che si forma nel tempo su un dato personaggio, un luogo, la storia stessa, è la summa dei vari messaggi verbali e visivi che implementano le esperienze dirette o indotte. Esperienze accumulate nella quotidianità, attraverso la pratica e il contatto umano se si tratta di persone attinenti le attività lavorative; oppure considerazioni superficiali se riferiti a conoscenti o personaggi pubblici.

Solitamente il substrato emotivo è composto di poche ma solide convinzioni: gli affetti; gli amici, i nemici e gli indifferenti. Stato, strettamente correlato ai risultati ottenuti o negati in seno alla società.
Nei rapporti interpersonali le sfumature: simpatico, antipatico, amico, nemico, saccente, presuntuoso, buono, cattivo, preparato, lavoratore, serio, vagabondo o fannullone, dipende dallo stato d’animo di chi le pronuncia e dall’ipotetica conoscenza altrui.
Luoghi comuni, sentito dire, il perdurare di notizie vere o presunte giocano ruoli importanti nella costruzione di sovrastrutture mentali specie se mirate a destabilizzare concetti etici. Per intenderci meglio: per cavalcare l’odio razziale basta creare un nemico e appioppargli nefandezze e oscenità immorali: lo zingaro ruba; i comunisti si mangiano i bambini; il negro è sporco; i turchi puzzano e via cianciando. Ora, sappiamo bene che non tutti gli zingari rubano e nessun comunista si mangia i bambini anzi vorrebbe, in sintonia con la sua ideologia, un mondo più giusto, ugualitario che non lascia indietro i poveri e gl’indifesi, che ci fosse una ridistribuzione più equa delle ricchezze e che il lavoro servisse a realizzare la parte sublime dell’essere. Eppure, c’è chi usa l’appellativo “comunista” come un epiteto e i ragazzi che non conoscono la storia e la letteratura socialista si spaventano al solo pensiero di incontrarne uno o dare la propria fiducia politica. Come già detto, le brave persone sono distribuite da una parte e dall’altra. Esistono brave persone tra gli zingari, i marocchini, gli ebrei, gli afghanistani, palestinesi. Coreani, italiani, cinesi. Ma anche no! Sta a noi sapere discernere il bene dal male, il buono dal cattivo, e riconoscere il saggio dal millantatore. Per essere certi di non sbagliare o quantomeno ridurre al minimo le possibilità di errori c’è un piccolissimo segreto: sgombrare la mente dai pregiudizi!

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