martedì 7 settembre 2010

verso le elezioni: cambierà qualcosa?

Non so se gli esponenti della sinistra siano stati all’altezza della situazione politica italiana e se veramente hanno tentato di attuare i programmi cari ai “credenti”, vale a dire, a coloro i quali hanno speso energie per realizzare progetti di crescita solidale per mero spirito di servizio e sposato le cause, le battaglie, i programmi, tutti determinati a creare un clima di solidarietà tra la gente nel rispetto della cosa pubblica.

Di sicuro la destra ha attuato il suo, di programma. Un programma per niente liberale e sociale. Si evince dalle politiche “maroniane” indirizzate a respingere i profughi per non fare toccare loro terra italiana. E poco importa, al ministro Maroni, se il ritorno in patria dei migranti significa morte certa per fame o dissenso politico! L’ultimo suo editto configura l’espulsione per quanti non possono certificare un reddito e una casa dignitosa. … ma, signor Ministro?!, vale anche per gli italiani? No, perché, sa, ci sono molti italiani in queste condizioni o giù di lì, prossimi a cadere nello stato d’indigenza. O per noi è prevista un’altra ingloriosa fine?

Qua tutti, indistintamente, a destra e a sinistra, hanno perso di vista la realtà. Hanno dimenticato, se mai saputo, che i governanti sono eletti per risolvere i problemi contingenti e non per fare melina, continuare a fare proseliti, qualche legge giusta, molte inutili e forse dannose, accentuando le differenze culturali, politiche, religiose e economiche dei popoli che vivono nella Repubblica Italia.

lunedì 6 settembre 2010

cattivi maestri

I vecchi gerarchi del pci hanno ammazzato l’ideologia comunista!


Le mummie dell’ex Pci sono ancora tra noi. Il loro dissennato modo d’intendere e fare politica allontana i giovani dall’impegno sociale, li disorienta nelle scelte e avvelena l’eredità intellettuale dei vari dirigenti che hanno formato l’indimenticabile Berlinguer, insomma di quei Politici che hanno saputo tracciare una linea netta tra le cose lecite da perseguire e quelle da ostacolare con fermezza.
Quell’ideologia che esaltava la fratellanza tra i popoli e tendeva la mano ai derelitti; uomini emarginati che un tempo trovavano rifugio nella casa del proletariato che ospitava la cosiddetta classe operaia composta prevalentemente di terroni e polentoni uniti per il bene comune sotto la stessa bandiera nell’ideologia che voleva annullare le differenze culturali, economiche e sociali attraverso lo studio e il coinvolgimento solidale per un’emancipazione reale delle classi meno abbienti che, per egoismi atavici, hanno subito la storia e le angherie dei forti.

Senza farla lunga! Un tempo era impensabile invitare alla festa dell’unità un esponente dichiaratamente agli antipodi. Un personaggio ritenuto “nemico politico”. Uno che rappresentava il male politico da combattere.
Oggi, con estrema disinvoltura assistiamo a uno spettacolo spiazzante: Fassino che inveisce contro uno sparuto gruppo di contestatori. Ragazzi a sinistra che lanciano invettive, non importa a chi, importa, invece la reazione del dirigente ex pci che zittisce e mortifica la commovente passione, nonostante tutto, ancora presente in alcuni.
Fassino dimentica che questo fa parte della passione politica. Quella politica sentita, pacifista, che esprime spassionatamente gli umori della gente priva di voce perché mai nessuno darà loro la possibilità di parlare o confrontare tesi su palchetti o talk show televisivi.

Non fa parte, invece, del dialogo politico l’arroganza con cui si gestiscono le tavole rotonde. Dibattiti preconfezionati; con bigliettini passati al nemico per toglierlo d’impaccio. E la violenza verbale o fisica perpetrata di continuo.

Con ciò, non intendo asserire che non debbano collaborare col governo, anzi, dovrebbero essere le pietre d’angolo per la costruzione di un nuovo stato sociale. Dovrebbero fare proposte concrete senza tergiversare. E, se convinti che si debbano fare sacrifici, bene!, che lo dicessero!
Noi siamo qui! Pronti a lavorare per una società a misura d’uomo!

domenica 5 settembre 2010

Infibulazione e culture alternative

ma che politica e cultura, sono solo canzonette


Infibulazione, pene corporali con pseudo fini educativi, impiccagione, sedia elettrica e pena di morte in generale, sono concetti lontanissimi dalla cultura laica e cristiana.

Ragionevolmente ci indigna “garantire l’integrità sessuale” della donna attraverso pratiche assurde come raschiare le grandi labbra per formare una sorta di cintura di castità “naturale” lasciando solo un piccolo orifizio per urinare.

È impensabile per dei genitori cresciuti in stati democratici praticare l’infibulazione alla propria figlioletta o basare i rapporti sociali su rigidi, quanto violenti canoni educativi, anche se, ancora, si sente qualcuno dire che “mazze e panelli fanno i figli belli”, in realtà in nessuna famiglia si adotta la linea dura. L’emancipazione culturale suggerisce il dialogo, la comprensione e l’estrinsecazione spontanea di pensieri e bisogni, solidarietà e confronto leale nei rapporti sociali.

Unico attributo subdolo che condiziona i rapporti umani nelle realtà, cosiddette, evolute, è il tarlo della dipendenza psicologica, alimentato e deliberatamente attuato da insospettabili soggetti a capo d’importanti schieramenti. Signori che gestiscono poteri. Gente nota, legata da vincoli affaristici, che garantisce il bene e il male in seno alla società. Personaggi che giocano con i destini dei deboli e che non tentennano un attimo a infliggere pesanti sanzioni a chi sgarra, teorema, che, tradotto nei termini dell’antistato, significa, anche, eliminazione fisica, attentato, lupara bianca, stragi. Allora? Qual è la differenza tra la cultura “evoluta” europeista e quella sottomessa alle leggi fondamentaliste? Perché fa tanto scalpore la vicenda di Sakineh, la politica di Sarkozy contro gli Zingari, le intolleranze razziali nostrane e non si ha il coraggio di esternare onestamente quanto non va nei rapporti spiccioli in seno alla famiglia, nella scuola, insomma, nella società e nella classe dirigente? Siamo narcotizzati? O siamo tutti annichiliti dalle strategie delle vecchie faine della gestione politica, per cui, riteniamo opportuno indirizzare gli sguardi altrove piuttosto che iniziare a risolvere quelli vicini a noi così da poterli garantire scientemente agli altri?

sabato 4 settembre 2010

per Mario Caligiuri, Assessore alla cultura, nominato da Scopelliti

aore12
Carissimo Mario,

Conosco il tuo impegno e la caparbietà nel portare avanti validi progetti culturali, grazie ai quali la Calabria trarrà senz’altro giovamento, come Soveria Mannelli, d’altronde, che hai amministrato saggiamente con passione e un bel po’ d’inventiva per tanti anni.

È inutile ricordare le arretratezze storiche della nostra bellissima regione ma permettimi di dire che l’unico grande artista contemporaneo riconosciuto nell’olimpo dell’arte e, cosa di non poco conto dal punto di vista economico, dal mercato che ruota attorno ai prodotti artistici, è il Maestro Mimmo Rotella, scomparso qualche anno addietro; comunque, poco conosciuto e valorizzato in vita dal grande pubblico e dalle realtà culturali nostrane.

Perché ti ricordo questo figlio di Calabria? Perché ritengo che ci siano altri talenti da valorizzare. Diamo la possibilità a quanti possono aiutare la Calabria, farla diventare meta di turismo culturale e, perché no, attraverso il lavoro aggiungere carisma a una terra già carica di cultura ellenica, magnogreca e romanica.

Gli eventi in programma sono per la maggior parte eventi espositivi importati, composti di pacchetti preconfezionati di artisti conosciuti solo dagli addetti ai lavori che emarginano e mortificano ulteriormente le intelligenze locali. Ciò comporta il depauperamento delle nostre risorse, giacché non vi è un ritorno economico/culturale per la Calabria. D'altronde i numeri parlano chiaro, attorno ai grandi eventi finora realizzati non c’è partecipazione attiva e conseguenzialmente non esiste indotto che arricchisca le strutture alberghiere e ristorative.

Si sa, la cultura non paga nell’immediatezza, però, se la volontà politica spiana la strada con i mezzi a lei confacenti e forma una scuderia artistica calabrese, senz’altro, questa, sarà volano propulsore di ricchezze intellettuali e materiali per i calabresi.

Sono sicuro che grazie alla tua sensibilità e lungimiranza, si possono invertire gli ordini dei fattori attraverso proficui scambi culturali così da dare precisi segnali ai giovani, agli artisti e a quanti sono costretti di tentare la ventura altrove. È quasi come l’emigrazione sanitaria che spinge all’esterofilia.

Ribadisco: la tendenza si può invertire solo con l’aiuto di una politica culturale regionale tesa a scoprire e valorizzare talenti, giacché il territorio è privo di quella classe cosiddetta “illuminata” propensa a spendere risorse private nel mercato della cultura, salvo poi, investire cospicui capitali in prodotti di artigianato artistico suggerito dai mercanti.

Un caro saluto.

venerdì 3 settembre 2010

mestieri, c'era una volta in Calabria

C’era una volta, in Calabria.

"u zzappatura"



I castagni sono carichi. I ricci iniziano ad aprirsi; qualcuno, ancora verde, è già caduto tra le felci. Difficile vederlo, ma chi ha l’occhio allenato distingue subito le spine del riccio da foglie, legnetti e felci. Marco è lì col padre in compagnia di altri uomini che parlano tra loro: “ncigniamu e ccà!”* dice il padre ai contadini muniti di zappe, “rampamu u margiu de castagni luongu luongu u violu sinnò, si perdunu”.
Gli uomini si allineano. L’uno affianco all’altro alzano le zappe fin sopra le loro teste e le lasciano cadere nel terreno da rivoltare. Marco, più in là, raccoglie ricci, basta una bottarella nella “cresta” per aprirli e lui è un maestro nel farlo senza schiacciare le castagne tenere. La sua tecnica è semplice: col tacco sinistro tiene fermo il riccio e col destro imprime una leggera forza dall’alto verso il basso nella scriminatura formata dal verso delle spine. Ha le tasche piene di castagne verdi. Quelle sono destinate alla madre e alla sorellina. Lui le mangia sul posto, come testimoniano le bucce intorno.
Gli uomini nel frattempo hanno fatto un buon lavoro. Le felci non ci sono più e il terreno è zappettato e livellato a dovere. Resta ancora una fetta di prato da zappare. Gli uomini avanzano; le zappe si alzano e s’abbassano come le assi di un enorme ventaglio. Le lame addentano la terra rossa. I contadini fanno leva sul manico, sollevano la zolla, girano le zappe e frantumano la zolla col dorso.

* iniziamo da qua! Zappiamo il prato dei castagni delimitato dal viottolo sennò, le castagne andranno perse.

piove, governo ladro!

Piove! Si dice che agosto sia “capo d’inverno”. Infatti, dopo il 15 le giornate sono più corte e, dall’oggi al domani, i primi venticelli freschi soffiano sui corpi cancellando il caldo sofferto fino a qualche giorno prima.
C’è chi sospira sollevato e chi rimpiange il sole forte. Chi inizia la routine lavorativa con immensa nostalgia e chi si tuffa energicamente.
Non è cambiato niente! Solo il peso del calendario è ridimensionato; peso ch'è andato a gravare sugli anni che ognuno si sente addosso. Per il resto, tutto rimane invariato: le bugie della politica, gli schieramenti di parte, le ingiustizie, le assurdità dogmatiche delle religioni manichee che, pilotate da scaltri uomini d’affari, inducono i seguaci a compiere efferati crimini contro l’umanità.

Non è cambiata l’arroganza del potere che antepone la quadratura dei conti economici di uno Stato alla cultura e al welfare; governanti aziendali prestati alla gestione comune dello Stato di Diritto che attuano soluzioni sociali come se fossero in una qualsiasi azienda produttiva e mandano al macero intere famiglie pur di risanare i bilanci. Semplice! Molto semplice dire: le anomalie e le esuberanze sono il risultato delle politiche sbagliate dei governi precedenti!

Almeno i governi precedenti lasciavano la dignità di vivere. Ma questo lo sanno benissimo i nuovi ricchi, quelli che si sono arricchiti grazie ai favori della politica dei governi precedenti.

No! Non ci siamo! Il diritto alla vita è inalienabile! Chi governa deve avere il coraggio civile di guardare in faccia le realtà periferiche; i nuovi e vecchi poveri. Chi governa deve sapere perdere qualcosa di suo, qualcosa di superfluo, per lui ma non per chi stenta a mandare i figli a scuola. Deve scommettere nel sociale!

Altrimenti, a che vale dichiararsi contrari alla pena di morte, dichiararsi Cristiani praticanti, essere contro l’aborto e per la famiglia se poi, di fatto, si affama e uccide tutti i giorni con la rilettura delle leggi, la revisione e l’annullamento dello Stato di Diritto?

giovedì 2 settembre 2010

lettere di morte per Scopelliti

Lettere di morte a Giuseppe Scopelliti, presidente della Calabria.

Quattro lettere minatorie, indirizzate a Giuseppe Scopelliti, di cui una contenente due proiettili di pistola calibro 7,65, sono state recapitate questa mattina nella sede catanzarese della presidenza della giunta regionale calabrese.
Una delle lettere, giunte nell'ufficio di Presidenza situato nello storico Palazzo Alemanni in Catanzaro, contiene minacce e intimidazioni. E un’altra conclude le intimidazioni al Presidente Scopelliti con le firme, nomi e cognomi, dei principali capimafia delle cosche calabresi.

Davvero singolare, quest’ultima lettera intimidatoria. Quando mai si è visto che gli ‘ndranghetisti mandano biglietti firmati. Quelli hanno altri modi per far conoscere le loro intenzioni e, stando alle cronache, quando vogliono “giustiziare qualcuno” prima lo fanno e poi lasciano intendere che sono stati costretti dagli affari. D'altronde, il caso Fortugno, purtroppo, e non solo, la dice lunga sulle strategie malavitose.

Personalmente sono vicino a chiunque è bersaglio della violenza altrui e porgo il più caro solidale pensiero d’incoraggiamento e d’affetto al Presidente della Calabria, perché assertore convinto del rispetto reciproco tra persone. Un rispetto che ostacola all'insorgere, qualora ci fossero idee di soppressione fisica dei nemici, ai quali va, piuttosto, osservata la sacralità del mandato. ma gli 'ndranghetisti conoscono un solo tipo di società solidale, in seno alla quale, la convivenza pacifica è un eufemismo nel momento in cui qualcuno o qualcosa turba gli affari delle famiglie, per cui scatta la ritorsione, la delegittimazione e infine la violenza fisica nei confronti di chi difende lo stato di diritto solidale e le istituzioni.

Viste le modalità, rese note dalla stampa, sembra una burla. E per la tranquillità del presidente Scopelliti e per la Calabria, ce lo auguriamo tutti.

Nel frattempo le indagini proseguono dopo il solerte intervento degli agenti della Digos che hanno acquisito le lettere e i proiettili di pistola pervenuti a palazzo Alemanni, sede degli uffici di Presidenza.

il privilegio dell'avvocato

I privilegi dell’avvocato.

Era da tanto che avrei dovuto fare dei lavori in casa, ma le esigue finanze, fino a qualche mese addietro, me l’hanno impedito. Finalmente, dopo avere messo da parte un gruzzoletto, interpello alcune ditte. Confronto i preventivi di spesa e scelgo quello di un vecchio compagno di scuola.
Svuoto le stanze da restaurare e imballo la roba in robusti scatoloni.
Il mio amico si presenta con una squadra di operai ben assortiti. Ognuno di loro sapeva cosa fare. Di tanto in tanto qualcuno si rivolgeva a me per sapere, dove fosse una presa, dove spostare uno scatolone e altre minuzie. La cosa strana era che si rivolgessero a me chiamandomi “avvocato”.  Li lasciai fare. Non chiarì che il titolo non mi apparteneva, d’altronde i “dottò” si sprecano, per strada e in giro per il mondo. Andammo avanti così quasi fino alla conclusione dei lavori. E meglio sarebbe stato se avessi continuato a mantenere il riserbo. Infatti, chiarito il malinteso sul dottorato alcune cose cambiarono. Le piastrelle, contrariamente ai calcoli, diventarono insufficienti come pure la colla, il filo elettrico e la pittura.

Convenni che mantenere un titolo “onorifico”, per il tempo strettamente necessario, a volte, è da saggi.

mercoledì 1 settembre 2010

creatività, arte contemporanea e bravi artigiani

aore12
Per un mercato dell’arte sano, non drogato da falsità concettuali.

È disarmante costatare la duttilità del bello estetico e delle varie forme concettuali d’intendere il bello o il sublime oggi. Nonostante l’innumerevole letteratura in merito, e nonostante l’evoluzione linguistica e tecnica della visione, comunemente il bello è associato all’emotività congetturale cui è associato il manufatto artigianale e o artistico.
È sintomatica la reazione al bello laddove si magnificano forme elementari associate a un evento mediatico o di costume. Ancora oggi la gente ha bisogno di una narrazione affine alla propria cultura per indolenza, perché non ama il nuovo e detesta l’ignoto che mette in discussione le conoscenze spicciole e non trova spazi utilitaristici nella quotidianità. Però, la maggioranza silenziosa è pronta a urlare a comando! Non appena qualcuno che funge da guida espone una teoria e l’associa a un prodotto dell’uomo. Il concetto, bello o brutto, è accettato con facilità se rimanda mentalmente alla persona da ricordare, ai suoi insegnamenti, alla sua figura carismatica.
D’altronde è risaputo che la figurazione da sempre ha sopperito ai mille testi scritti e alle innumerevoli parole. La figurazione è immediata. Narra un episodio. Divulga concetti per immagini. Escludendo il dato propagandistico connesso alla figurazione, è da considerare, se si vuole dare una connotazione artistica seria, non tanto il valore estetico e la padronanza artigianale esecutiva, ma, il retroterra intellettuale dell’artista, del tempo in cui vive, delle tecniche usate per rendere comprensibile il concetto e renderlo visibile. In sintesi: i simboli ideati dall’uomo sono sempre gli stessi. Possono avere varianti dettate dalle mode e dai gusti momentanei, ma la radice rimane immutata. Per intenderci basta pensare alla Croce di Gesù. Due assi incrociate che servivano a dare la morte ai delinquenti comuni sono diventate l’emblema universale di una religione.
La simbologia della croce porta le coscienze Cristiane a Cristo Morto e Risorto, alla sua vita, agli insegnamenti lasciati agli apostoli e divulgati nei secoli. E chi la porta addosso e la venera è Cristiano.
E, posta sui tetti e sui campanili indica ai fedeli che quello è un luogo di culto: una chiesa.

Per fare ciò, non c’è bisogno di essere artisti basta essere dei bravi artigiani del ferro o della pietra e avere un po’ di creatività. La stessa creatività che fa vedere draghi, serpenti, figure allegoriche popolare il cielo; insomma, come quando si dialoga con le forme cangianti delle nuvole e li poniamo a due passi dalla realtà come fedeli compagni di viaggio.

oltre il recinto

Oltre il recinto.

Il filo di ferro spinato delimita proprietà; appezzamenti terrieri di gente lontana. Gente partita per chissà dove e mai più tornata. Gente stanca della vita nei campi. Figli di gente che ha tentato la fortuna altrove tornano per affiggere un “vendesi” ora che gli ultimi affetti sono estinti.
Il latifondo è un peso, un’incombenza che non produce ricchezza, opulenza immediata. Meglio cedere. Cedere ai pochi contadini rimasti o alle nuove tecnologie che stravolgono il paesaggio, non fa differenza per le nuove generazioni cresciute su internet.
Ragazzi che non distinguono piante di cetrioli e zucchine, che non conoscono le fasi lunari note ai vecchi per la semina, il raccolto, le conserve.
Ragazzi e ragazze tatuate, col piercing nella lingua, che sbiascicano stancamente parole e si coricano all’alba anche dall’aspetto piacevole ma privi d’idee. Ragazzi abituati al consumo veloce di affetti e materie.
Oltre e dentro il recinto!
Ragazzi senza futuro… per colpa di chi o cosa?

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